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CAPITOLO 3. IL BRASILE E IL RESTO DEL MONDO: LA SPECIALIZZAZIONE

3.4 Gli Investimenti Diretti Esteri

3.4.1 La capacità del Brasile di attrarre Investimenti Diretti Esteri

Il Brasile storicamente è stato un recettore di IDE, come nel caso delle multinazionali dell‘industria automobilistica che, come ricordato, hanno installato proprie filiali nel paese sud americano già negli anni cinquanta. Tuttavia, come chiarito da Mattos et al (2008), la crisi degli anni ottanta e le prospettive negative di ripresa dell‘economia hanno interrotto il flusso di investimenti dall‘estero. Negli anni novanta i programmi di privatizzazione, in particolare nei servizi di pubblica utilità e nelle infrastrutture, hanno generato un nuovo flusso in ingresso di investimenti da parte delle multinazionali. In particolare, seguendo Castro (2005a), nel

1990 il governo brasiliano vara il Plano Nacional de Desestatização (PND)72, il programma di

privatizzazioni che rimane in vigore per tutti gli anni novanta, e gestito dal Banco Nacional de

Desenvolvimento Econômico e Social (BNDES)73. Tuttavia, tra il 1990 e il 1994, i risultati

del PND sono stati molto modesti, in quanto furono privatizzate solo 33 imprese statali, mentre le imprese federali (tra cui le imprese di pubblica utilità e le banche) vennero inserite solo successivamente nel programma. Secondo Castro (2005), il numero modesto di privatizzazioni realizzate in questi anni può essere ricondotto, tra l‘altro, al fatto che molte imprese pubbliche presentavano una cattiva situazione finanziaria e, quindi, avevano bisogno

72 Per un‘analisi critica dei contenuti e dei processi che hanno portato all‘elaborazione del Plano Nacional de

Desestatização si veda Saurin e Pereira (2008)

73 E‘ opportuno ricordare che in Brasile le prime privatizzazioni sono state avviate nel 1985. Tuttavia, esse

avevano come principale obiettivo la vendita delle quote azionarie di imprese private detenute dal BNDES. Al BNDES e al suo ruolo nell‘economia brasiliana, anche durante il periodo delle privatizzazioni, è dedicato il quinto capitolo del presente lavoro.

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di essere risanate affinché si potesse manifestare un interesse per la loro acquisizione. Inoltre, prosegue Castro (2005), le imprese in alcuni settori non potevano essere cedute a soggetti stranieri, dati i vincoli legislativi imposti dalla Costituzione del 1988. Tuttavia, nel 1995, il Presidente Fernando Henrique Cardoso, al suo primo mandato, pone le privatizzazioni come obiettivo prioritario. Come ricordato da Giambiagi (2005), per consentire la privatizzazione delle imprese di pubblica utilità furono approvati due emendamenti costituzionali che, da un lato, ponevano fine ai monopoli statali nel settore (ad esempio, la Telebrás)74 e, d‘altro lato, consentivano l‘accesso ai capitali stranieri. Inoltre, la stabilizzazione dell‘economia a seguito del Plano Real del giugno 1994 che, di fatto, ha eliminato l‘inflazione, ha generato anche una profonda crisi del sistema bancario. Il governo Cardoso ha quindi avviato un programma che prevedeva la ristrutturazione e la vendita delle banche pubbliche e consentiva ai capitali stranieri di accedere sul mercato finanziario nazionale75.

Le riforme degli anni novanta hanno quindi aperto i mercati brasiliani alle imprese straniere e, di conseguenza, i flussi in ingresso di IDE hanno sperimentato l‘aumento ricordato in precedenza e mostrato nella figura 3.7. Inoltre, l‘apertura dei mercati e le privatizzazioni hanno comportato un aumento del peso delle multinazionali nell‘economia brasiliana: il peso percentuale delle multinazionali sul PIL brasiliano è passato dall‘8,6% del 1995 al 14,7% del 2005 (Gonçalves 2011).

Sebbene l‘economia brasiliana sia stata un recettore di IDE sia negli anni novanta che nel decennio successivo, gli investimenti delle multinazionali hanno assunto caratteristiche differenti nei due decenni, che hanno a che vedere con la loro natura qualitativa e con i settori interessati dalle attività di investimento.

Come mostrato nella figura 3.8, negli anni novanta gli IDE in ingresso hanno assunto prevalentemente la forma di fusioni e acquisizioni (F&A). Nel 1998, ad esempio, la percentuale di F&A sul totale degli IDE in ingresso è stata pari al 67,3%. Negli anni immediatamente successivi le privatizzazioni, tra il 1996 e il 2000, in media, le operazioni di F&A hanno riguardato il 45,5% delle attività di investimento, mentre tra il 2001 e il 2008 la percentuale di F&A sugli IDE è stata pari al 17%.

74 Per un‘analisi delle privatizzazioni delle imprese di pubblica utilità gli anni novanta si veda BNDES (2000).

75 Sui programmi di ristrutturazione del settore bancario negli anni novanta e sul ruolo delle banche pubbliche si

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Figura 3.14. Brasile:Fusioni & Acquisizioni in rapporto agli IDE in entrata (%)

Fonte: nostre elaborazioni su dati UNCTAD (2011)

La natura di F&A assunta dagli IDE in ingresso negli anni novanta si può comprendere in modo migliore analizzando i settori interessanti dalle operazioni di investimento sia nel periodo successivo le riforme, che negli anni più recenti. La distribuzione settoriale degli IDE costituisce, infatti, la seconda principale differenza tra le due fasi che caratterizzano i flussi di IDE negli ultimi due decenni. In proposito, nella figura 3.9 è riportata la distribuzione settoriale degli IDE in ingresso per il 2000, l‘anno in cui si registra il più alto flusso di IDE nella prima fase (vedi figura 3.7), e il 2008. In particolare, si può osservare che nel 2000, l‘80% degli IDE è stato diretto verso i servizi76

, mentre nel 2008 gli investimenti esteri sono stati diretti anche verso l‘industria (31,9%) e l‘agricoltura e l‘industria estrattiva (29,6%).

76 Nel 1998, i servizi hanno attratto l‘87,5% degli IDE, in particolare nei settori dei servizi alle imprese (30,5%),

dell‘intermediazione finanziaria (29,1%), delle poste e telecomunicazioni (12,6%) e nei servizi legati alla distribuzione di acqua, luce e gas (10,8%)

Elaborazioni su dati BCB (2010) 0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 F&A/IDE (inflows)

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Figura 3.15. Brasile: Investimenti diretti esteri (inflows), per settore, 2000 e 2008 (%)

Fonte: nostre elaborazioni su dati BCB (2010)

Come ricordato da Giambiagi (2005), secondo l‘obiettivo iniziale del Plano Nacional de Desestatização (PND), le privatizzazioni delle imprese pubbliche avrebbero dovuto aumentare gli investimenti nell‘economia e, contemporaneamente, liberare risorse pubbliche per altri investimenti (ad esempio, nei programmi sociali). Le privatizzazioni sono poi state intensificate durante il primo mandato del governo Cardoso per attrarre capitali esteri al fine di risanare gli squilibri del bilancio statale e della bilancia dei pagamenti. I capitali stranieri avrebbero dovuto compensare l‘insufficienza di risparmio domestico, traducendosi in nuovi investimenti e, quindi, consentendo all‘economia di crescere. Tuttavia, secondo Sarti e Laplane (2002), dal punto di vista macroeconomico le privatizzazioni non hanno raggiunto i risultati sperati poiché, come visto nei precedenti capitoli, il tasso di investimento dell‘economia brasiliana non ha fatto registrare un incremento a seguito degli investimenti diretti esteri. In altre parole, secondo gli autori, ci sarebbe dovuta essere stata una correlazione tra ingresso degli IDE e tasso di investimento dell‘economia che non si è verificata. Secondo Sarti e Laplane (2002), questo è da ricondursi al fatto che gli IDE, avendo preso forma principalmente di F&A e essendo stati indirizzati prevalentemente verso il settore dei servizi, non hanno avuto la capacità di espandere e potenziare la struttura produttiva dell‘economia. In altre parole, dal punto di vista macroeconomico, il risultato delle privatizzazioni è stato quello

2,2% 29,6% 17,0% 31,9% 80,9% 38,5% 0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90% 100% 2000 2008

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di avere la stessa struttura produttiva con una diversa proprietà, non più nazionale ma straniera.

Nel precedente capitolo, si è avuto modo di ricordare che una delle differenze tra il Brasile e i paesi asiatici, in particolare la Cina, risiede proprio nel differente percorso che i due paesi hanno seguito per integrarsi nei network di produzione globali. Negli anni novanta, gli IDE diretti verso la Cina sono stati in prevalenza greenfield che, quindi, hanno accresciuto le capacità produttive e tecnologiche dell‘economia. In proposito, Minian (2009) evidenza che la Cina, e altri paesi asiatici come l‘India, hanno modellato le loro politiche industriali proprio per inserirsi nei network di segmentazione della produzione a livello internazionale guidato dalle multinazionali. Secondo l‘autore, i processi di segmentazione della produzione a livello globale, intesi come la rottura del modello verticale di produzione nei paesi industrializzati e la riallocazione della produzione verso i paesi emergenti, è stato favorito, da un lato, dall‘aumento dei costi di produzione nei paesi industrializzati e la conseguente ristrutturazione dei processi produttivi verso una organizzazione di tipo modulare (la gestione separata delle diverse fasi del processo produttivo aumenta l‘efficienza microeconomica). D‘altro lato, tali processi sono stati favoriti dalla continua riduzione dei costi di transazione a livello internazionale connessa agli sviluppi tecnologici. Tuttavia, evidenzia Minian (2009), il processo di segmentazione della produzione a livello internazionale ha avuto un successivo sviluppo poiché nei paesi asiatici (ma anche in Russia e nei paesi dell‘Est Europa) i governi hanno saputo creare dei vantaggi di localizzazione con politiche industriali attive mirate ad attrarre investimenti e, contemporaneamente, investendo in settori strategici come nelle infrastrutture e nei sistemi educativi. In Brasile, come sarà chiarito nel prossimo capitolo, negli anni novanta non è stato attuato alcun tipo di politica industriale, poiché si riteneva che le liberalizzazioni commerciali e finanziarie, le privatizzazioni e una politica macroeconomia di contenimento dell‘inflazione avrebbero dovuto condurre automaticamente alla crescita economica.

Terminato l‘effetto delle privatizzazioni e dei processi di ristrutturazione dell‘economia degli anni novanta, tra il 2001 e il 2003 gli IDE in ingresso hanno sperimentato una riduzione. Tuttavia, la ritrovata stabilità macroeconomica e la crescita sostenuta di cui l‘economia brasiliana ha beneficiato dal 2004 hanno condotto ad un nuovo flusso di ingessi di IDE. In proposito, si è già chiarito che la natura degli IDE negli anni recenti si differenzia dai flussi di investimento negli anni novanta in quanto a settori e natura qualitativa dell‘investimento, ed è quindi interessante analizzare verso quali settori si sono indirizzati gli investimenti stranieri negli anni recenti. Nella tabella 3.6, sono riportati i comparti che hanno ricevuto percentuali

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maggiori di IDE nel 2008, con riferimento al settore manifatturiero e al settore agricolo e estrattivo. Come mostrato nella tabella 3.6, nell‘industria estrattiva, il 92% degli IDE è stato diretto verso le attività legate all‘estrazione dei minerali metallici e del petrolio, mentre nel settore manifatturiero gli IDE sono stati diretti per il 48% verso la metallurgia e le attività di raffinazione del petrolio e per il 16% verso il settore alimentare. In altre parole, gli IDE sono stati diretti verso quei settori dell‘economia che negli anni recenti hanno sperimentato una dinamica migliore rispetto al resto dell‘economia.

Tabella 3.18. Flussi di IDE in entrata – Agricoltura, Industria estrattiva e manifatturiera, 2008 (% sul totale settoriale)

Fonte: nostre elaborazioni su dati BCB (2010)

La tabella 3.6 nasconde anche un‘altra differenza tra i flussi di IDE degli anni novanta e quelli degli anni recenti. In particolare, nei precedenti paragrafi si è chiarito che le attività estrattive, la metallurgia e il settore alimentare, verso cui nel 2008 è diretta la percentuale maggiore di IDE, sono settori molto orientati all‘esportazione. Al contrario, con riferimento ai flussi di IDE cumulati tra il 1996 e il 2001, Fernandes e Campos (2008) trovano che circa il 60% degli investimenti esteri è stato diretto verso settori come la chimica e farmaceutica, la meccanica e l‘industria elettronica che possiedono una bassa propensione all‘esportazione ma un‘alta propensione all‘importazione, in particolare di beni intermedi, con effetti negativi sulla bilancia dei pagamenti. Il risultato di Fernandes e Campos (2008) è coerente con le analisi effettuate sia in questo capitolo che nel precedente, dove è stato mostrato che negli anni novanta vi è stato un aumento dell‘importazione di beni intermedi e, con riferimento al industria elettronica, nel precedente capitolo si è chiarito che sebbene sia aumentata la presenza di multinazionali, l‘industria brasiliana rimane dipendente dall‘importazione di

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componenti dall‘estero. In proposito, Gonçalves (2011) evidenzia che la partecipazione delle imprese multinazionali nelle importazioni totali del Brasile è passata dal 36,5% del 1995 al 57,5% del 2005. L‘autore attribuisce a tale dinamica l‘aumento del coefficiente di penetrazione delle importazioni che è stato analizzato in apertura di capitolo (vedi figura 3.1) e, tenuto conto che le imprese multinazionali mantengono un peso specifico superiore nei settori a più alto contenuto tecnologico, questi fenomeni spiegano in parte i deficit commerciali dell‘economia brasiliana proprio nei settori a più alto contenuto tecnologico. Secondo Gonçalves (2011) quindi, il cambiamento della struttura commerciale dell‘economia brasiliana e l‘upgrading tecnologico della struttura produttiva dipendono in larga misura dalle strategie delle imprese multinazionali.

Come si chiarirà nel prossimo capitolo, nei programmi di politica industriale il governo brasiliano ha tenuto in considerazione la presenza di multinazionali nella struttura produttiva brasiliana. Alcuni strumenti previsti dalle politiche mirano a rafforzare l‘integrazione delle multinazionali con il tessuto produttivo locale per favorire gli effetti di spillover tecnologico, ad esempio, incentivando le multinazionali ad installare sul territorio brasiliano i propri centri di ricerca e sviluppo e cooperare con le università e i centri di ricerca pubblici.