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CAPITOLO 3. IL BRASILE E IL RESTO DEL MONDO: LA SPECIALIZZAZIONE

3.2 Il contenuto tecnologico dell’export brasiliano

Nelle classificazioni dei prodotti in base al contenuto tecnologico proposte dalle organizzazioni internazionali quali la CEPAL (2007, capitolo 4) e l‘OCSE (Hatzichronoglou 1997), i settori in cui il Brasile presenta una specializzazione, o che negli anni recenti hanno mostrato una dinamica particolarmente favorevole, sono classificati tra i settori a media-bassa o bassa tecnologia. In altre parole, ad eccezione del settore automobilistico, dell‘aeronautica e del comparto farmaceutico62, il Brasile presenta svantaggi comparati nei settori a più alto contenuto tecnologico quali il materiale elettrico e per le comunicazioni e la meccanica. In particolare, il Ministero del Commercio Estero brasiliano classifica il contenuto tecnologico delle esportazioni utilizzando una classificazione mutuata da quella dell‘OCSE, prima richiamata, e riportata nella figura 3.563.

62 Nella nostra classificazione, la farmaceutica è compresa nel settore ―chimica‖.

Nel prossimo capitolo sarà dedicato un approfondimento settoriale alla farmaceutica quando si parlerà dell‘innovazione nell‘industria brasiliana.

63 Occorre prestare attenzione nella lettura della figura 3.5. La classificazione dell‘OCSE è stata elaborata con

riferimento ai paesi industrializzati e si basa sulla percentuale di spesa in ricerca e sviluppo effettuata dai diversi settori industriali. Tuttavia, tale classificazione non tiene in debita considerazione la struttura settoriale dell‘economia. Ad esempio, il materiale elettrico e per le comunicazioni è classificato tra i settori ad alta tecnologia, indipendentemente dal fatto che nel paese siano eseguite solo le attività di montaggio e assemblaggio o tutto il processo produttivo, dal design e sviluppo del prodotto fino alla commercializzazione. Con specifico riferimento al caso brasiliano, il settore farmaceutico, ad esempio, è inserito tra i settori ad alta tecnologia. Tuttavia, il settore è dominato dalle multinazionali le quali realizzano la spesa in ricerca in sviluppo in filiali all‘estero. Inoltre, nella classificazione OCSE, le attività di raffinazione del petrolio sono classificate tra i settori a media-bassa tecnologia, quando la Petrobras è la principale impresa del paese e tra le prime multinazionali al mondo per spesa in ricerca e sviluppo.

Si veda l‘appendice al capitolo per le corrispondenze settoriali della classificazione utilizzata dal Ministero degli Esteri de Brasile.

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La figura 3.5 mostra che tra il 1996 e il 2008 le esportazioni non industriali hanno guadagnato peso nella struttura dell‘export brasiliano, con particolare riferimento agli anni duemila, quando la loro quota è passata dal 16,6% del 2000 al 28,3% del 2008. La quota dei beni ad alta e media-alta tecnologia, che tra il 1996 e il 2000 registra un aumento dal 27,1% al 35,6%, negli anni duemila ha sperimentato una continua riduzione raggiungendo il valore del 26,1% nel 2008. I beni a bassa e media-bassa tecnologia, che ricoprono la percentuale maggiore delle esportazioni brasiliane, dopo aver sperimentato una riduzione della propria quota tra il 1996 e il 2000 (dal 56,5% al 47,9%), registrano una ulteriore riduzione tra il 2004 e il 2008, passando dal 50% al 45,6%. In altre parole, come già visto (vedi figura 3.2), negli anni più recenti la quota di beni manufatti esportati (per tutti i settori classificati in base al contenuto tecnologico) si è ridotta a favore delle esportazioni non industriali.

Figura 3.11. Brasile: esportazioni in base al contenuto tecnologico, 1996-2008 (% sul totale)

Fonte: nostre elaborazioni su dati SECEX (2011)

Per un‘analisi della bilancia commerciale brasiliana in base al contenuto tecnologico si veda, in particolare, FAPESP (2011). 0 10 20 30 40 50 60 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008

Alta e media-alta tecnologia Bassa e media-bassa tecnologia Prodotti non industriali

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Nel capitolo precedente è stato chiarito che le opportunità per un paese di crescere, ed eventualmente di sperimentare un processo di convergenza con i paesi industrializzati, dipendono anche dalla sua struttura produttiva. In particolare, una struttura produttiva diversificata e con un maggior peso dei settori a più alto contenuto tecnologico può favorire la crescita e lo sviluppo di un‘economia. Tuttavia, nel già citato lavoro della CEPAL (2007), confrontando le economie dell‘America Latina con quelle dell‘Asia e di altri paesi industrializzati, emerge che una determinante della crescita economica ha a che vedere anche con la correlazione tra la diversificazione produttiva e la specializzazione commerciale. In particolare, una struttura produttiva specializzata verso produzioni a basso contenuto tecnologico, associata a una struttura delle esportazioni orientata verso beni non industriali e risorse naturali, riduce le opportunità di crescita economica. Nel rapporto, ad esempio, si confronta l‘esperienza di crescita dell‘Uruguay con quella della Nuova Zelanda, due paesi simili per grandezza geografica, e specializzati nell‘esportazione di risorse naturali. Tuttavia, si chiarisce che, a differenza dell‘Uruguay, la Nuova Zelanda possiede una struttura produttiva con un contenuto tecnologico che ha permesso all‘economia di convergere verso livelli di reddito dei paesi industrializzati. In altre parole, l‘evidenza empirica mostra che una specializzazione nell‘esportazione di risorse naturali non implicata che anche la struttura produttiva sia relativamente più specializzata verso settori a basso contenuto tecnologico. Tuttavia, in un rapporto dell‘UNCTAD (2003) si evidenza che i paesi asiatici, in particolare la Malesia, la Tailandia, l‘India e la Cina negli anni ottanta e novanta hanno sperimentato un cambiamento strutturale nella direzione di un maggiore peso di beni manufatti a più alto contenuto tecnologico sia nella struttura produttiva sia nel paniere di beni esportati, e questo processo ha consentito a tali paesi di crescere più rapidamente di quelli dell‘America Latina. McMillian e Rodrik (2011) chiariscono che i settori manifatturieri ad alto contenuto tecnologico possiedono maggiori capacità di aumentare la produttività del sistema economico e, quindi, consentire all‘economia di sperimentare migliori performance di crescita. In particolare, gli autori evidenziano che i cambiamenti di produttività del lavoro in un‘economia possono avvenire all‘interno dei settori e tra i settori. Inoltre, ad un lavoratore disoccupato, per definizione, è associato il minor livello di produttività. Secondo gli autori, nella misura in cui il cambiamento strutturale si manifesta nella direzione di settori che non sono in grado di assorbire l‘occupazione, il livello di produttività del sistema economico si riduce, limitando quindi la crescita dell‘economia. In altre parole, i settori intensivi in risorse naturali, pur operando ad elevati livelli di produttività settoriale, non generano aumenti dell‘occupazione paragonabili a quelli del settore manifatturiero. Di conseguenza, un

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cambiamento strutturale nella direzione di beni intensivi in risorse naturali non è in grado di assorbire la disoccupazione generata negli altri settori e, quindi, condurrebbe a una riduzione della produttività del sistema economico. McMillian e Rodrik (2011) inoltre trovano che paesi come quelli dell‘America Latina e dell‘Africa, a differenza dei paesi asiatici, che hanno una quota relativamente alta di beni intensivi in risorse naturali nell‘export sono svantaggiati proprio perché, come detto, i settori intensivi in risorse naturali non generano occupazione paragonabile al resto del settore manifatturiero.

Il percorso di specializzazione commerciale dell‘economia brasiliana è quindi connesso alle dinamiche del prodotto industriale analizzate nel precedente capitolo. In particolar modo si è chiarito che negli anni più recenti, in Brasile si è aperto un dibattito sulla possibilità che l‘economia stia sperimentando un processo di deindustrializzazione e che le liberalizzazioni commerciali possano aver indotto un processo di specializzazione verso settori su cui l‘economia già presentava un vantaggio comparato nelle risorse naturali. Inoltre, è stato chiarito che alcuni analisti ritengono che non si possa parlare di deindustrializzazione, nel senso di rottura irreparabile della struttura produttiva industriale, ma sia più corretto parlare di ―deindustrializzazione relativa‖ (IEDI 2005), poiché la struttura produttiva rimane diversificata e complessa. Tuttavia, sempre lo IEDI (2007, p 4) ritiene che, sebbene nel breve periodo la sostituzione di beni industriali (finali e intermedi) prodotti localmente con quelli di importazione possa condurre a miglioramenti in termini di efficienza e di costi, ―nel lungo periodo, tuttavia, questo processo può essere nocivo poiché destruttura le relazioni o previene la formazione di connessioni che portano alla generazione e diffusione di conoscenze, tecniche e effetti positivi di agglomerazione e di interazione tra i produttori ed i loro fornitori specializzati‖. In altre parole, le attività agricole ed estrattive non possiedono le medesime capacità dei beni a più alto contenuto tecnologico di generare connessioni con il resto del settore produttivo e, quindi, la perdita di importanza di questi ultimi nella struttura produttiva e nel paniere di beni esportati può limitare le capacità dinamiche dell‘industria e la crescita dell‘economia nel lungo periodo. In proposito, secondo le analisi della Sociedade Brasileira Pró-Inovação Tecnológica (PROTEC 2010), i deficit tecnologici della bilancia commerciale brasiliana sono offuscati dalla miopia dei governi di fronte la crescita economica che il Brasile sta sperimentando in questi ultimi anni. In particolare, i governi preferiscono ―commemorare‖ i surplus della bilancia commerciale, sostenuti principalmente dai prezzi delle commodities agricole, senza considerare l‘insostenibilità di lungo periodo di questo modello. La continua sostituzione dei prodotti tecnologici nazionali con quelli importati, in particolare i beni intermedi industriali, nel lungo periodo può indebolire anche i settori che

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oggi sostengono le esportazioni brasiliane. Il ridimensionamento dell‘industria nazionale della meccanica e di beni capitali, infatti, comporta anche una riduzione della domanda di materie prime, prodotte in Brasile, utilizzate nei processi produttivi. In proposito, come evidenziato da Sarti e Hiratuka (2011), il recente ciclo di crescita dell‘economia brasiliana, guidato inizialmente proprio dall‘espansione delle esportazioni di commodities, ha innescano un circolo virtuoso, inducendo investimenti anche negli altri settori dell‘economia, non orientati al mercato estero. Tenuto conto che il principale partner commerciale del Brasile è la Cina la quale, tra l‘altro, per sostenere il suo processo di crescita necessita di materie prime, le prospettive di medio-lungo periodo per l‘economia brasiliana sono positive. In altre parole, la Cina ha saputo superare con successo la crisi finanziaria, a differenza dei paesi del Nord America e dell‘Europa, e quindi la sua domanda per le commodities brasiliane rimane sostenuta. Tuttavia, Sarti e Hiratuka (2011) pensano che per rafforzare questo circolo virtuoso tra esportazioni e sviluppo del mercato interno, occorra integrare maggiormente i settori produttivi, come la meccanica o l‘elettronica, con i settori voltati all‘esportazione per rendere questi ultimi più efficienti e competitivi. La meccanica e l‘elettronica, data la loro capacità di generare connessioni a monte e a valle nelle filiere produttive, sosterrebbero ulteriormente la crescita degli investimenti e, quindi, del mercato interno. In altre parole, Sarti e Hiratuka (2011) ritengono che con investimenti selettivi verso alcuni comparti/settori sia possibile sfruttare la domanda estera per potenziare il mercato interno che, in un contesto di recessione economia a livello internazionale, costituisce un punto di forza dell‘economia brasiliana. La strategia discussa costituisce, di fatto, quella attuata dal governo brasiliano, il quale dal 2004 ha avviato dei programmi di politica industriale che puntano, da un lato, a rafforzare la posizione del Brasile sul commercio internazionale e, dall‘altro lato, a potenziare settori/comparati ritenuti strategici come la meccanica, la farmaceutica e alcuni segmenti del settore elettronico, come i semiconduttori. Inoltre, come già ricordato, nell‘ultimo piano industriale, il Brasil Maior, si punta esplicitamente al rafforzamento del mercato interno. Tuttavia, permangono dei problemi di natura macroeconomica su cui sono concordi sia le posizioni come quelle dello IEDI (2007) e Sarti e Hiratuka (2011), che quelle di economisti che pensano che il Brasile stia sperimentando un processo di deindustrializzazione e Dutch

Desease (Bresser-Pereira e Marconi 2008): l‘eccessivo apprezzamento del tasso di cambio

connesso alla politica di elevati tassi di interesse condotta della banca centrale limita le esportazioni brasiliane e, quindi, il raggiungimento degli obiettivi di politica industriale. Sulle problematiche connesse all‘implementazione delle politiche industriali negli anni recenti si

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tornerà nel capitolo quarto, mentre nel prossimo paragrafo sarà analizzata la struttura dei partner commerciali del Brasile, con particolare riferimento al ruolo della Cina.