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CAPITOLO 2. IL CAMBIAMENTO STRUTTURALE DELL’ECONOMIA BRASILIANA:

2.2 L’ipotesi della deindustrializzazione

L‘evidenza di una riduzione del peso del settore manifatturiero sul PIL mostrata in precedenza ha aperto, negli anni più recenti, un dibattito sull‘ipotesi che l‘economia brasiliana stia sperimentando un processo di deindustrializzazione, che può essere definita come la riduzione della quota del valore aggiunto manifatturiero sul PIL o dell‘occupazione industriale sul totale dell‘occupazione nell‘economia (Oreiro e Feijò 2010). In proposito, Rowthorn e Ramaswamy (1997) puntualizzano che tale fenomeno è configurabile come ―naturale‖ nel processo di sviluppo di un‘economia. All‘inizio del processo, il settore agricolo è quello che occupa la quota maggiore della forza lavoro. Con l‘aumentare del PIL pro capite, l‘economia entra in una seconda fase dello sviluppo nella quale la forza lavoro si sposta verso il settore manifatturiero. Raggiunta la maturità industriale, e a livelli crescenti del PIL pro capite, il settore manifatturiero libererà forza lavoro che sarà occupata nei servizi. La deindustrializzazione, quindi, non è un processo di per se negativo, potendo anche considerarsi come un segno del miglioramento degli standard di vita della popolazione. Palma (2005) osserva, tuttavia, che in Brasile vi è stata una riduzione della quota del prodotto industriale sul PIL e un aumento della quota nell‘occupazione nei servizi prima che il paese raggiungesse un livello di reddito pro capite medio-alto. Secondo l‘autore, questo fenomeno è

dipeso dal repentino passaggio da un‘industrializzazione basata sulla sostituzione delle

importazioni a politiche di liberalizzazione commerciale che avrebbero indotto una riallocazione delle risorse a favore di produzioni basate sulle risorse naturali o intensive di lavoro. Per tale

motivo, quella brasiliana si configura come una ―deindustrializzazione negativa‖ che l‘autore

ritiene essere stata accelerata da quella che lui definisce un ―nuovo male olandese‖ (Dutch Desease). La Dutch Desease è un fenomeno, formalizzato da Corden e Neary (1982), che si riferisce alle conseguenze dei cambiamenti strutturali in un‘economia aperta derivanti dalla coesistenza, nel settore del commercio internazionale, di sub-settori in forte surplus che finanziano sub-settori in forte deficit. Viene denominato Dutch Disease poiché tale fenomeno fu sperimentato dall‘Olanda negli anni settanta, quando la scoperta di giacimenti di gas naturale causò una riallocazione delle risorse nel sistema economico. Il boom di esportazioni di gas naturale fece apprezzare in termini reali la moneta nazionale che, conseguentemente, depresse le esportazioni negli altri settori industriali. Tuttavia, Palma (2005) chiarisce che in Brasile non vi è stata la scoperta di nuove risorse naturali ma quello che lui definisce ―nuovo male olandese‖ ha solo a che vedere con il repentino cambiamento del paradigma di politica

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economica intervenuto in Brasile dalla fine degli anni ottanta e intensificato negli anni novanta dopo il Plano Real del 1994.

Il tema della deindustrializzazione nell‘economia brasiliana è analizzato anche da Nassif (2008) il quale parte da una critica al lavoro di Palma (2005). In particolare, Nassif (2008) osserva che la perdita di partecipazione dell‘industria nel PIL è un fenomeno circoscritto alla seconda metà degli anni 80, prima che le riforme di liberalizzazione commerciale fossero implementate. Tale periodo è stato inoltre caratterizzato da un forte calo della produttività del lavoro, in un contesto di forte stagnazione economica ed elevata inflazione. Tra il 1991 e il 1998, l‘industria ha mantenuto il suo peso costante, con aumenti di produttività ma riduzione dei tassi di accumulazione del capitale. Dopo il 1999, vi è stata una riduzione della produttività, associata a bassi tassi di investimento. In altre parole, dal 1990, l‘andamento instabile della produttività e i bassi livelli di investimento hanno impedito al settore industriale di tornare ai livelli prevalenti la prima metà degli anni 80. Pertanto, sebbene tra il 1990 e il 2000 il PIL abbia sperimentato un basso tasso di crescita, l‘industria di trasformazione nazionale è stata in grado di mantenere un livello stabile di partecipazione medio annuale alla PIL per l‘intero periodo. Ne segue che, secondo l‘autore, non si possa parlare di deindustrializzazione. Per quanto riguarda la possibilità di un ―nuovo male olandese‖ Nassif (2008) osserva che l‘evidenza empirica suggerisce che non si è verificata una riallocazione generalizzata dei fattori produttivi verso comparti intensivi di risorse naturali, né si può osservare una specializzazione delle esportazioni brasiliane in prodotti

intensivi di risorse naturali o lavoro30. Secondo Nassif (2008) la causa del cambiamento della

struttura produttiva dell‘economia brasiliana va rintracciata quindi nella scarsa performance dell‘economia nel suo complesso che ha impedito al settore manifatturiero di tornare ai livelli sperimentati nella prima metà degli anni ottanta.

Una visione intermedia a quella di Palma (2005), per il quale il Brasile sta sperimentando una deindustrializzazione negativa, e quella di Nassif (2008), che ritiene che non si possa parlare di deindustrializzazione, è offerta da un rapporto dell‘Instituto de Estudos para o Desenvolvimento Industrial (IEDI 2005). Nel rapporto dello IEDI (2005) si ritiene che nel caso brasiliano non si possa attribuire una connotazione ―negativa‖ al processo di deindustrializzazione, ma si può parlare di ―deindustrializzazione relativa‖. In particolare, si chiarisce che la riduzione del peso del prodotto industriale sul PIL a partire dalla seconda metà degli anni ottanta è un dato oggettivo, che non viene messo in dubbio. Inoltre, la deludente performance del settore industriale non è stata compensata da un‘altrettanta positiva

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performance nei settori che hanno sostituito l‘industria nella formazione del prodotto interno lordo. Tuttavia, l‘industria mantiene una significativa diversificazione, con filiere e settori produttivi importanti in quanto a capacità tecnologica. Non vi è stata quindi una deindustrializzazione nel senso di perdita irreparabile nella struttura industriale e delle sue capacità dinamiche. Il rapporto dello IEDI (2005), tuttavia, sottolinea che un motivo di apprensione, in particolare per i policy makers, dovrebbe venire dal confronto tra la dinamica industriale dell‘economia brasiliana e quella dei principali concorrenti internazionali del Brasile, in particolare i paesi asiatici31. In proposito, secondo Sarti e Hiratuka (2011) sebbene nel corso degli anni ottanta e novanta l‘industria brasiliana abbia perso peso nel sistema industriale mondiale, essa continua ad avere un ruolo importante nell‘industria tra i paesi emergenti e in via di sviluppo. Alcuni comparti, del settore dei trasporti (ad esempio, automobili e aerei) o della meccanica continuano ad essere importanti sia nella struttura produttiva nazionale che nel confronto con altri paesi emergenti. Inoltre, secondo gli autori, la struttura produttiva brasiliana rimane diversificata e, cosa più importante, in grado di generare processi dinamici che hanno effetti positivi sull‘intera economia. Come chiarito nel precedente capitolo, infatti, nel peridoto della crisi del 2008-2009, l‘economia è stata principalmente trainata dalla domanda interna (e non dalle esportazioni) e questo ha favorito l‘espansione di una gamma più ampia di comparti industriali che, a loro volta, hanno sostenuto la domanda interna. Secondo Sarti e Hiratuka (2011), quanto mostrato durante la crisi finanziaria lascia supporre che l‘industria brasiliana, se opportunamente sostenuta da politiche industriali, può tornare ad assumere il ruolo di motore della crescita che ha rivestito fino alla fine degli anni settanta. In altre parole, gli autori ritengono che il dibattito sull‘industria dovrebbe concentrarsi non tanto sull‘esistenza (e sulle eventuali cause) di un processo di deindustrializzazione quanto sulle prospettive dinamiche dell‘industria brasiliana, in altre parole sulla possibilità che il settore manifatturiero torni a essere il principale motore dell‘economia del paese, posizionandosi competitivamente sui mercati internazionali.

I prossimi paragrafi saranno dedicati all‘analisi della struttura produttiva brasiliana, analizzando sia la sua composizione settoriale sia la sua dinamica, come essa è mutata nel tempo e come si posiziona a livello internazionale. Tale analisi è utile per valutare se le attuali politiche industriali brasiliane, che saranno analizzate negli ultimi due capitoli del presente lavoro, sono coerenti con i problemi della struttura produttiva dell‘economia.

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2.3 Il cambiamento della struttura produttiva brasiliana:1973-2007