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Capitale sociale, società e ordine sociale

3. Teoria sociologica e capitale sociale

3.1 Capitale sociale, società e ordine sociale

Nell’ultimo decennio in ambito economico, politologico e sociologico, sia a livello internazionale, sia a livello nazionale, si è notevolmente sviluppato l’interesse per i concetti di società civile e capitale sociale. Entrambi i concetti devono la loro diffusione principalmente all’opera di Robert Putnam su La tradizione civica

nelle regioni italiane (1993). Come per il concetto di società civile,

che in ordine cronologico è stato il primo a ricevere l’attenzione della comunità scientifica e non solo, anche il concetto di capitale sociale è utile alla descrizione di quei fenomeni di natura intangibile senza i quali l’economia e la politica e la società in generale non possono funzionare bene. Probabilmente per la sua maggiore disponibilità a essere impiegato per l’analisi di realtà non solo macro, ma anche meso e micro-sociali, il concetto di capitale sociale sembra aver incontrato più fortuna di quello di società civile, realtà che in base all’attuale letteratura, coinciderebbe con la dimensione macro del capitale sociale (Donati, 2003).

La natura intangibile cui il capitale sociale rimanda, rende alquanto problematica sul piano empirico, l’identificazione di un referente univoco, cosa che se da una parte ha generato un dibattito teorico vivace e interdisciplinare, ha dall’altra reso estremamente difficile il confronto scientifico. L’ambiguità nell’uso del termine viene spesso vista come un limite del concetto di capitale sociale, come ragione per

cui occorre maneggiarlo con cura (Bagnasco, 2001). Eppure, proprio questa sua caratteristica sembra confermare l’utilità di questo concetto per cogliere gli aspetti emergenti della società trans-moderna, globale e relazionale (Donati, 2005), che pare contraddistinguersi, come afferma Belardinelli, per il ritorno della natura nella cultura (2002). Un ritorno che implica – come argomentato nei precedenti capitoli – una svolta epistemologica attraverso la quale rispecificare sia l’oggetto della sociologia dal punto di vista ontologico, sia il rapporto tra soggetto e oggetto con particolare riguardo alle finalità della scienza e all’ordine sociale. Questo capitolo continua il discorso teorico precedentemente iniziato contestualizzandolo rispetto al tema del capitale sociale.

Riprendendo un passo significativo del saggio di Georg Simmel,

Concetto e tragedia della cultura – citato dallo stesso Belardinelli ne La normalità e l’eccezione – nell’attuale società, sembra riemergere

l’esigenza di vedere gli uomini più come capaci di generare cultura che non di sentirsi appartenenti ad una determinata civiltà. Nel saggio contenuto in Arte e civiltà, sostiene, infatti, il sociologo tedesco: «il valore specifico della cultura è inaccessibile al soggetto se non lo raggiunge attraverso realtà obiettivamente spirituali; e queste sono valori di cultura solo in quanto sono tappe di quel cammino che l’anima percorre da se stessa a se stessa, da quella che si può chiamare la sua condizione naturale alla sua condizione culturale» (1976: 92). Ma questa condizione culturale, che solo può essere raggiunta attraverso l’oggettificazione – ossia un dualismo tra soggetto e oggetto – non implica un annullamento della soggettività nella civiltà oggettiva degli automatismi sistemici – «come se la mobilità dell’anima morisse nel proprio prodotto» (1976: 88). Questo percorso dell’anima attraverso l’oggettificazione non si ferma al dualismo

soggetto/oggetto, nei termini di natura/civiltà, ma si fa sintesi, ritorna ad unità nel diventare cultura, cosa che avviene quando questo cammino si accompagna a quelle manifestazioni intangibili – che rendono la cultura ciò che Donati definirebbe un bene relazionale, ossia quel bene che solo può essere prodotto e fruito assieme, in relazione. «Certamente per il senso culturale dell’oggetto, che è ciò che infine conta per noi, il fatto decisivo è che vi sono concentrate la volontà e l’intelligenza, l’individualità e il sentimento, le forze e lo stato d’animo di singole anime (e anche la loro collettività)» (Simmel, 1976: 89). Ancora «La cultura nasce, e questo è veramente essenziale per la sua comprensione, quando si incontrano due elementi, nessuno dei quali di per sé la contiene: l’anima soggettiva e un prodotto spirituale oggettivo» (Simmel, 1976: 86). Lo spirito soggettivo deve abbandonare la propria soggettività, ma non la propria spiritualità, per vivere quel rapporto con l’oggetto attraverso il quale si attua il processo della sua acquisizione della cultura. Questo è l’unico modo in cui la forma di esistenza dualistica, posta immediatamente con l’esistenza del soggetto si organizza in una relazionalità intimamente unitaria (1976: 87)». Dunque mentre il prodotto delle forze oggettive può aver valore solo soggettivamente, il prodotto delle forze soggettive viceversa ha valore per noi solo oggettivamente (1976: 90).

È evidente che studiare la cultura in questi termini è assai diverso da studiare la civiltà sistemica di Parsons e di Luhmann. Non si vuole con questo affermare che la sociologia debba diventare arte, forma espressiva; tuttavia si conferma la necessità di rivederne gli strumenti euristici e le finalità. Se si intende il senso culturale dell’oggetto così come appena definito con le parole di Simmel, non stupisce che le teorie maggiormente in grado di comprendere la società nel suo farsi – cioè la mobilità dell’anima, da sé stessa, a sé stessa – siano quelle che

riescono a tener conto di una ontologia omnicomprensiva. E la nozione di capitale sociale, il suo rinviare ad un oggetto comunque intangibile, proprietà indiscussa delle relazioni che fanno capo agli individui, ma anche alle società, rappresenta a questo proposito una prova per la sociologia, l’economia e la scienza politica.

La necessità di dover ricomporre ad unità spirito oggettivo e soggettivo, quale senso ultimo del fare cultura e dell’essere della cultura, impone una riflessione della sociologia e della scienza in generale non solo sulla definizione dell’oggetto e del modo di conoscerlo, ma anche e soprattutto sull’ordine sociale. Da una parte si ha la domanda inerente al cosa comporta analizzare un oggetto che è indefinito, che dipende da soggetto e oggetto del conoscere e soprattutto che misura dimensioni tangibili e intangibili, proprie non all’individuo, non alla società, ma alle relazioni tra individui e istituzioni. Dall’altra – ed è questa la domanda più interessante – il capitale sociale invita a rispondere in modo nuovo alla domanda sul come intendere l’ordine sociale, aspetto che in una società la cui caratteristica principale è quella di farsi – divenire – dipende più dalla partecipazione delle persone alla società che non da un rapporto di appartenenza, letto in termini di inclusione/esclusione e di reciproco condizionamento.

Nelle pagine successive si procederà alla descrizione del pensiero dei principali autori che si sono interessati al tema del capitale sociale. Si effettuerà inoltre una classificazione delle teorie in base al referente della nozione, per confermare la natura intangibile, per così dire, del referente empirico del concetto di capitale sociale. Successivamente si presenteranno invece gli approcci al capitale sociale sulla base del modo di intendere il rapporto tra individuo e società, cercando di cogliere eventuali linee di continuità tra questi e la sociologia classica,

moderna e post-moderna, da Marx a Luhmann rispetto al modo di intendere l’ordine sociale. In relazione ad entrambe le questioni si argomenterà il perché della scelta della teoria relazionale della società per l’analisi del capitale sociale. La teoria di Donati, ontologicamente ed epistemologicamente basata sul principio della relazione, è maggiormente adatta a spiegare un fenomeno che è nella sua natura intangibile, intrinsecamente relazionale. Integrata dalla proposta gnoseologica presentata nel primo capitolo, questa teoria è inoltre estremamente adeguata a rendere conto di come, in una società come quella trans-moderna, globale e multiculturale, il capitale sociale di una società non sia la civiltà, ma la capacità naturale riconosciuta ad ogni singolo uomo di generare cultura, piuttosto che di appartenervi. In relazione ad entrambe le questioni si risolve in maniera originale la problematica inerente al così detto fatto irritante della società – descritto nel primo capitolo – perché la causalità del sociale risiede nella relazione e non nell’individuo o nella società: il capitale sociale non è né dal punto di vista strutturale né dal punto di vista funzionale qualcosa che possa essere generato dall’individuo o dalla società, indipendentemente dalle relazioni. Prodotto nelle relazioni, esso dipende dalla capacità naturale delle persone – cioè degli individui in relazione – di vivere assieme il processo di generazione della cultura, quel processo che nei termini di Simmel implica un cammino dell’anima che dalla natura torna alla natura, attraverso la cultura. Laddove dal punto di vista ontologico si superano l’individualismo e l’olismo metodologici, dal punto di vista della negentropia, si supera la visione dell’ordine sociale come adattamento o accoppiamento strutturale, condizionamento dell’uomo sulla società o viceversa condizionamento della società sull’uomo. Se il mantenimento e il mutamento dell’ordine sociale quali problemi fondamentali alla

sociologia moderna e post-moderna dipendono in termini quantitativi dall’inclusione e dall’esclusione degli individui nelle società, il farsi della società trans-moderna dipende dalla capacità delle persone di saper fare, generare cultura in relazione.