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Paradigma relazionale, morfogenesi e capitale sociale

2. La società nel suo farsi: paradigma relazionale e analis

2.6 Paradigma relazionale, morfogenesi e capitale sociale

Riprendendo lo schema AGIL della sociologia illustrato in figura 1.1, nel precedente capitolo, per la teoria relazionale della società il paradigma è tale per cui la società è rappresentabile come una rete21. Sotto numerosi punti di vista, per utilizzare il titolo di uno dei tre libri della trilogia l’età dell’informazione di Manuel Castells – uno degli studiosi che ha maggiormente contribuito alla diffusione del paradigma di rete a livello internazionale – la società attuale sembra effettivamente configurarsi come una società in rete (2002). E tuttavia, l’utilizzo di questo paradigma – senza le dovute attenzioni – presenta il rischio, nella sua applicazione empirica alla società trans- moderna, di rimanere un paradigma statico: di descrivere cioè il mutamento strutturale, piuttosto che il farsi della società in termini morfogenetici. Emblematica al proposito è la network analysis quale metodologia che si appoggia ad un paradigma che si definisce

interazionismo strutturale (Forsè; Tronca, 2005), attraverso il quale si

analizzano le relazioni all’interno appunto di una struttura, la rete, fatta da individui. Sicuramente uno dei metodi di ricerca che più è in grado di far emergere le dimensioni relazionali, intangibili – quelle fondamentali alla valorizzazione e generazione del capitale sociale – la network analysis è tuttavia una metodologia che rimane legata ad

21

Per Donati «il lavoro scientifico della sociologia si svolge attorno a quattro punti cardinali:

L) l’approccio (visione o teoria più generale – a sfondo filosofico – dell’intera società;

I) il paradigma (cioè una logica e un linguaggio, per esempio quello che intende la società come rete);

G) la singola teoria (cioè la risposta al problema sociologico di partenza);

A) la metodologia (cioè un insieme di metodi e tecniche di ricerca empirica che vengono usati come strumenti di indagine, comprensione ed esplicitazione dei fenomeni) (1998, XII)».

Si rimanda, inoltre, al proposito, allo schema relazionale riportato nella Figura 1 del primo capitolo.

un approccio statico. Attraverso questo metodo, infatti, data una determinata definizione della situazione normalmente in termini funzionali di successo o insuccesso della struttura, il metodo rende pienamente atto, attraverso ad esempio la rilevazione di buchi

strutturali, dell’esistenza e dell’importanza delle relazioni come

interazioni tra i nodi della rete. È evidente come questo metodo funzioni e sia applicabile non per conoscere la società nel suo farsi, ma per rappresentare le interazioni in una struttura funzionale. La sua staticità dipende dal fatto che i nodi sono gli individui: la rete è una struttura di strutture.

Riconoscendo pienamente l’importanza della metafora della rete, dal punto di vista paradigmatico ma non metodologico – ossia come strumento interpretativo e descrittivo della società, piuttosto che come metodologia di analisi (network analysis), per le finalità del presente lavoro, sia dal punto di vista teorico, sia dal punto di vista empirico, si assume il paradigma relazionale nella sua forma di rete, così come previsto nello schema AGIL della sociologia relazionale di Donati, rispecificato, tuttavia, alla luce del paradigma della mobilità introdotto dal sociologo inglese John Urry. Attraverso questa integrazione risulta più chiaro che la rete è strutturalmente e funzionalmente contingente perché i suoi nodi, come il suo contenuto, sono mobili, fluidi. Il paradigma della mobilità descrive la società come mobile: a ben vedere non esiste più la società, bensì le società; non si può più parlare di sociologia, ma di sociologie; non di paradigma di rete, bensì di

paradigma delle reti mobili.

I nodi della rete sono infatti empiricamente dei discorsi, delle tematizzazioni – all’interno delle quali si inserisce la sociologia – e non degli individui o dei sistemi sociali. Nell’età dell’informazione la società è allo stesso tempo nodo, parte di una rete e rete composta di

nodi: una rete al plurale, in cui i discorsi emergono e si differenziano continuamente in rete, modificandosi l’essere dei singoli nodi e delle singole infinite reti22.

Come argomentato nel capitolo precedente, gnoseologicamente la società è relazionale in primo luogo perché la fonte del dato empirico è una relazione tematizzante, indipendentemente dal dato, cioè dal tipo di rappresentazione che effettivamente emerge. Ne deriva che il discorso epistemologico, ossia la rappresentazione della società, è, in quanto cultura, emergenza simbolica di una relazione tematizzante. Pertanto, l’affermazione per la quale la società è una rete di individui o di sistemi o di tematizzanti, non dipende da alcun presupposto di tipo ontologico (nel senso di presupporre che la società sia una struttura i cui nodi sono persone o individui o i sistemi), bensì gnoseologico. Il presupposto gnoseologico per cui parlare di qualcosa implica supporre che ci sia un parlante, è prioritario, o in ogni caso ugualmente importante, rispetto al presupposto ontologico per cui parlare di qualcosa implica supporre che esso sia qualcosa. In fondo, passare dallo studio della società all’analisi del “farsi” della società implica proprio questo: spostare l’accento dall’essere, all’emergere delle cose, dalla struttura del dato, alla fonte del dato. Si evita così di confondere il paradigma relazionale con l’interazionismo strutturale, che vede la rete come una struttura funzionale i cui nodi sono gli individui interagenti. I nodi della rete sono invece empiricamente dei discorsi, delle tematizzazioni. La fonte del dato, nel momento in cui viene rappresentata – attraverso il discorso – è, infatti, cultura e non natura – utilizzando questi termini nel senso proposto da Sergio 22

Per questo motivo sarebbe forse meglio rispecificare il paradigma di rete come paradigma delle reti mobili. Il discorso appena affrontato rende atto di come per l’analisi della società trans-moderna si debbano utilizzare con solo una logica, ad esempio quella binaria, ma anche altre logiche, come ad esempio la logica fuzzy, in grado di tenere in considerazione le cosiddette leggi ordinate del caos.

Belardinelli (2002). Piano gnoseologico ed epistemologico vanno tenuti distinti: gnoseologicamente la società è relazione perché empiricamente il discorso simbolico emerge dalla relazione tematizzante. Epistemologicamente la società è discorso come rete di discorsi, come detto, tematizzazione, i cui nodi sono tematizzazioni.

Lo schema della relation tematizzante AGIL, illustrato in figura 1.4, nel primo capitolo, nella misura in cui mette in relazione diverse tematizzazioni, rappresenta la relazione tematizzante come network. Si tratta tuttavia – lo si ribadisce – non di una rete di individui, ma di tematizzazioni. Nonostante si possano intendere per tematizzanti delle persone, le tematizzazioni alle quali essi partecipano non coincidono con essi, ma derivano da una relazione, rappresentano in ogni caso un dato relazionale. Dal punto di vista metodologico diviene pertanto necessario distinguere tra fonte del dato come relazione e dato relazionale – ossia individuo, azione o sistema o relazione – come oggetti del discorso. Tutto ciò a conferma del fatto che i nodi della rete non sono tematizzanti, ma le tematizzazioni – i loro discorsi.

D’altra parte, ci si domanda, è forse dimostrabile che dal punto di vista epistemologico, il simbolo, il dato empirico che emerge da un’intervista non strutturata, sia imputabile solo all’individuo oggetto della ricerca? Non è piuttosto anche merito dell’intervistatore,

soggetto della ricerca? Il numero di tecniche e manuali che

ammoniscono ed educano gli intervistatori sulla necessità di condizionare il meno possibile, o se si vuole, allo stesso modo tutti gli intervistati, non rende in fondo conferma del fatto che ciò che emerge da quella ricerca è un unico dato empirico relazionale? Quell’intervista è tematizzazione relazionale. Lo stesso vale per un questionario strutturato: si tratta sempre di un dato che nonostante la standardizzazione dello strumento, dipende da una relazione

tematizzante come fonte del dato. La fonte del dato empirico può solo essere relazionale. Perciò quando si parla di rete di individui agenti, questa è una tematizzazione, un discorso che emerge da una fonte relazionale. Non si mette in discussione la capacità di rappresentare l’esperienza di vita di questa rappresentazione. Ciò che interessa sottolineare di questa affermazione non è il rapporto ontologico che essa intrattiene con l’esperienza di vita, ma solo quello gnoseologico.

Distinguere tra fonte del dato e dato è un’operazione fondamentale per una sociologia che intende studiare la società nel suo farsi. Non si mette in discussione che i concetti di individuo, di persona, di relazione, di sistema sociale, o di società come rete di individui non possano essere utili o rappresentare efficacemente l’esperienza di vita. Indubbiamente possono esserlo perché l’esperienza di vita può emergere effettivamente come individuale o relazionale o sistemica. Non è questo il punto. Ciò che è importante è riuscire a rendere conto del fatto che la società può emergere differentemente e che questa emergenza non dipende dalla cultura emersa, ossia dal discorso, ma dipende dalla relazione tematizzante quale azione naturalmente culturale, cioè capace di generare cultura in termini morfogenetici. Ma questo implica per la sociologia non limitarsi a valutare il grado di inclusione/esclusione di un individuo da un determinata cultura, oppure valutare il condizionamento di una o più reti sull’individuo o di uno o più individui sulla rete.

L’emergenza della tematizzazione, della cultura, dei simboli, è un fenomeno partecipato ed espressivo della natura, è l’evidenza empirica della naturale socievolezza degli uomini. L’errore compiuto dalla sociologia moderna e post-moderna è stato quello di dare priorità alla cultura rispetto alla natura, all’espressione, rispetto alla capacità espressiva. Una sociologia in grado di spiegare la società nel suo farsi

pone invece l’accento sulla capacità espressiva della relazione, piuttosto che sul dato relazionale che emerge dalla relazione tematizzante. Prima e piuttosto che appartenere ad una cultura ed esserne portatori, gli uomini si caratterizzano per la naturale capacità di generarla, in termini di produzione e riproduzione. La generazione della cultura a differenza della cultura come prodotto, è vita, è partecipazione sentimentale, emotiva.

La rilevanza di queste dimensioni, che si possono definire intangibili, e che divengono sempre più importanti nelle nostre società, non trovano spazio in una sociologia che opera in termini di accoppiamento o adattamento strutturale, che vede ora l’individuo, ora la struttura come cause del mutamento sociale. Rappresentare la relazione come rete, struttura funzionale, i cui nodi sono degli individui, non pare modificare di molto questa impostazione: il fatto di spiegare che la persona X possa influenzare positivamente o meno la persona Y o che queste due, individualmente o assieme, possano influenzare la rete, o anche che la rete possa condizionare l’individuo o gli individui sembra confermare questa considerazione sulla network

analysis.

Estremamente diverso è invece parlare del tematizzante X o del tematizzante Y: la loro tematizzazione è sempre il prodotto di una relazione che come detto rimane la causa prima dell’emergenza empirica della società. Non si parla pertanto di individuo agente, ma di persona tematizzante, questo è il referente empirico – inteso proprio come colui che riferisce il dato empirico – della sociologia. Un dato che si è dimostrato essere non individuale, ma relazionale.

Nella relazione tematizzante la persona è presente come portatrice di una propria cultura, ma anche con i propri sentimenti e il proprio corpo, la propria anima, “per chi pensa o sente di averla”, e soprattutto

la propria capacità di generare simboli in relazione, una capacità che è diversa a seconda delle relazioni e non a seconda del singolo individuo. L’emergenza simbolica è espressione non solo del tipo di vocabolario posseduto dalla relazione, ma anche dalla simpatia, dall’emotività e da fattori altri che influenzano l’emergenza relazionale del dato empirico. Di fatto, nell’età dell’informazione, siamo in termini estensivi, tutti presenti all’interno di un network intrecciato di discorsi ai quali partecipiamo intensivamente in modo diverso. Sia emergenza estensiva, sia intensiva dipendono da numerosi fattori sia tangibili, sia intangibili, in ogni caso relazionali.

L’aspetto dell’estensione e quello dell’intenzione sono sempre presenti nell’emergenza simbolica. Espressione della natura, la cultura nel suo emergere è sempre associata ad un grado di condivisione emotivo e sensibile dei partecipanti alla tematizzazione. Misurare entrambi questi aspetti è una delle sfide che la società trans-moderna lancia alla sociologia. Dimostrare che sono le relazioni a fare la differenza implica anche tenere conto degli aspetti intangibili della società. Indubbiamente l’enorme crescita dei flussi di merci e persone, i fenomeni migratori, il relazionarsi continuo della persona con la diversità, in una parola la mobilità quale espressione principale della cultura materiale odierna, ha contribuito in modo significativo all’individualizzazione oltre che delle persone, anche delle relazioni sociali, a rendere cioè unica ogni relazione tematizzante.

Questa unicità della natura, che emerge come unicità della cultura, richiede lo sviluppo di una teoria in grado di spiegare la morfogenesi del sociale. L’obiettivo della sociologia diviene quello di preoccuparsi della capacità espressiva, assieme intensiva ed estensiva della società, rispetto alla natura. Laddove la capacità espressiva – dimensione tangibile della società – è da intendersi in termini di emergenza

culturale, sia simbolica, discorsiva, sia di pattern relazionale della società, quella intensiva è da intendersi come partecipazione emotiva, condivisione del modello di società emerso. Essendo questo dato espressione della natura, la sua utilità contribuisce appunto a rendicontare e quindi confermare o eventualmente esprimere il desiderio di modificare il vissuto.

Le due dimensioni estensiva ed intensiva dell’emergenza simbolica del sociale, sono espressione del tipo di relazionalità interna alla relazione tematizzante e del grado di relazionalità che la relazione tematizzante desidera. Per questo motivo l’analisi delle tematizzazioni attraverso lo schema della relazione tematizzante AGIL, risulta estremamente utile ai fini dell’analisi del capitale sociale quale proprietà di una relazione, intesa come istituzione sociale nel suo farsi. Il capitale sociale, come vedremo nel capitolo terzo, è, se letto in chiave dinamica – di socialità nel suo farsi e nel suo divenire – la capacità di una relazione di valorizzare sé stessa e le passate, come le future relazioni, in una parola valorizzare la relazionalità in termini estensivi ed intesivi, quale risorsa, cioè mezzo, ma anche fine non di una società, ma della naturale socievolezza propria alla natura, alla capacità della natura di esprimersi attraverso la produzione simbolica (che comprende ma non si limita alla capacità di riprodurre una cultura identica).

Valorizzare e generare capitale sociale implica l’emergere di una espressività estensiva e intensiva che confermano la possibilità del farsi della società come esperienza unica, nella quale non è tanto l’istituzione o la persona ad essere protagonista, quanto piuttosto la relazione. E ciò avviene quando l’emergenza simbolica e la dinamica relazionale si accompagnano quali dimensioni tangibili estensive della relazionalità istituzionale, ad una forte intensità del vivere sociale.

Poco importa sapere se 10 persone su 15 condividono un valore di condotta istituzionale, se non hanno in termini istituzionali/sociali, la possibilità di realizzarlo. Parimenti poco rilevante è sapere che si verifica un determinato comportamento, senza sapere se questo è associato ad un credo, ad un interesse razionale o irrazionale, sul quale investire il futuro dell’istituzione. Pare che l’interesse per tutti i fenomeni sociali che vengono studiati sotto il nome di capitale sociale siano accomunati proprio dall’esigenza di riuscire a rendere conto del come nonostante in una certa istituzione possano essere condivisi dei valori, o una determinata condotta, l’output, ossia il risultato, in termini quanti-qualitativi, sia diverso rispetto a quello atteso. Perché la gente vuole qualcosa e ne fa un’altra? Perché un’istituzione desidera un determinato obiettivo e non riesce a raggiungerlo? Ovviamente per la sociologia moderna e in generale per una sociologia che lavora in termini di accoppiamento strutturale o adattamento strutturale, laddove i desiderata istituzionali sono identici ai desideri individuali degli appartenenti all’istituzione, allora non ci dovrebbero essere problemi sull’output. Se la maggior parte delle persone vuole il bene della società, allora è logico supporre che si comporterà per il bene della società. Eppure, la prassi conferma piuttosto il contrario. E questo non può che essere per due ragioni o qualcuno afferma cose diverse da quelle che fa, oppure vorrebbe fare, ma non riesce a farlo. E lavorando – si spera non ingenuamente – per questa seconda ipotesi, allora si devono cercare quelle variabili relazionali, intangibili, che sole riescono a spiegare il perché esiste differenza tra due istituzioni che si prefiggono stessi valori e usano stessi metodi, ma ottengono risultati diversi; oppure il perché una stessa azienda con lo stesso capitale umano ed economico, possa veder aumentare o diminuire, la propria produttività, indipendentemente dalle condizioni di mercato. Non si tratta di differenze strutturali, di capitale culturale o di capitale

umano, ma di capitale sociale. La produttività di una persona non dipende solo dalla sua struttura culturale, dalle sue competenze, dalla condivisione dei valori dell’azienda in cui lavora, ma anche dai rapporti relazionali intra ed extra istituzionali dai quali dipende la possibilità di ogni persona di poter contribuire al massimo agli obiettivi istituzionali condivisi.

L’interesse per il capitale sociale da parte dell’economia aziendale, piuttosto che dell’economia politica o della sociologia e della scienza politica, è proprio legato a queste rilevanti considerazioni. Insomma, non è vero che la struttura non conta, non è vero che le persone non fanno la differenza. Ma la particolarità della società trans-moderna consiste nel fatto che struttura, persona e ambiente naturale e spirituale – ma si potrebbe aggiungere anche qualche altro elemento causale/generativo proprio ad una ontologia pluristratificata e

onnicomprensiva – non sono variabili indipendenti, bensì tutte

interdipendenti nel determinare l’emergenza di una nuova esperienza. La sfida per la sociologia non è rappresentata dal definire una tantum quale tra le cause emergenti rappresenta la forza maggiore. Oltre a considerare tutte le cause e eventualmente ad identificarne di nuove, obiettivo della sociologia è quello di gestire in modo dinamico la relazionalità e l’interdipendenza tra di esse per mantenere e raggiungere una qualità di vissuto, la cui bontà si misura attraverso la cultura, ma risiede nel vissuto, nell’esperienza.

In una società nella quale ogni individuo può contribuire in modo significativo all’emergenza di una cultura differente, gestire e valorizzare l’unicità delle relazioni sociali rappresenta la sfida più importante da vincere. Il capitale sociale della società non è la singola cultura, così come non è il singolo individuo, è la relazione: in essa, infatti, risiede la capacità di fare (emergere) la differenza.