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Società trans-moderna e unicità delle relazioni sociali

2. La società nel suo farsi: paradigma relazionale e analis

2.5 Società trans-moderna e unicità delle relazioni sociali

Commentando una citazione di Harvey sulla rivoluzione mobiletica, Scidà afferma che la diffusione dell’utilizzo dei moderni mezzi di trasporto e di comunicazione ha modificato a tal punto il nostro modo di rappresentarci il mondo che sul piano soggettivo non solo si vive in un continuo presente ma, «per usare uno slogan pubblicitario delle MCI Telecommunications, nella percezione che ormai “Non ci sarà più nessun “là”. Saremo tutti qua”…. Oggi, tendenzialmente scomparsi con la rivoluzione mobiletica e quella telematica gli “altrove”, anche gli altri sembrano destinati a scomparire o quantomeno a divenire invisibili in quanto somiglianti a

“noi” tramite la frequenza alla scuola di omologazione cui tutta l’umanità è democraticamente invitata a partecipare (quanto meno ai corsi dell’obbligo!) esponendosi al sistema della comunicazioni di massa (Scidà, 2000: 18-19)».

L’enorme divario tra le possibilità comunicative delle diverse società ed etnie e la mancanza di un filtro tra mittente e destinatario fa sì che i contatti tra le diverse culture risultino «…di fatto, assai squilibrati di modo che il centro metropolitano mondiale finisce col dominare sulle realtà culturali delle periferie pretendendo spesso di assimilarle a sé,…(Scidà, 2000: 19)». Le contrapposizioni moderne tra mondo urbano e mondo rurale a livello nazionale, e Nord e Sud o Ovest e Est a livello internazionale, sono gradualmente affiancate e sostituite da quella centro e periferia. Questa nuova contrapposizione legata al modello di vita metropolitano sopra descritto, diffusosi a livello nazionale grazie all’automobile, si sta ulteriormente sviluppando a livello internazionale. Il trasporto aereo low cost e il trasporto ferroviario Alta Velocità (progettato per viaggi intermetropolitani su distanze tra i 150 e i 500 chilometri) contribuiscono alla creazione di un sistema reticolare mondiale di supermetropoli, punti strategici, assieme di forza e di debolezza, della società trans-moderna19.

In questo sistema reticolare, caratterizzato dall’omogeneizzazione del significato e della funzione dei nodi e delle “maglie” della rete, in cui anche la periferia rischia di scomparire, la sensazione è quella di vivere tutti qua. Conflitti interetnici, povertà, cultura, divengono gradualmente un problema metropolitano e interpersonale.

19 L’intensità di questo fenomeno dipenderà anche dall’eventuale crescita del

La rivoluzione mobiletica e telematica hanno reso globale la struttura metropolitana e hanno qualitativamente reso fluido il sociale. Il qua è anche e soprattutto una questione relazionale, temporale, prima che spaziale. La vita della società fluida è contingente perché legata ai singoli individui. La mobilità è infatti un fenomeno sociale

totale (Kaufmann, 2002) nella misura in cui dipende

contemporaneamente da caratteristiche politiche, economiche, culturali, relazionali. Essendo inoltre legata alle caratteristiche naturali e psicologiche di ogni singolo agente, la mobilità si caratterizza per essere un fenomeno specifico a ogni particolare essere umano.

Il vivere tutti qua è legato all’impossibilità di poter osservare, analizzare e descrivere la mobilità senza riferimento al potenziale agente. La mobilità non è una funzione o una struttura della società, tanto meno un sistema sociale. È la proprietà di un ibrido (Urry, 2000) inteso quale uomo – ogni specifico uomo – in relazione ad un sistema societario, contingente. Il sociale mobile non è argomentabile senza riferirsi all’unicità dell’uomo.

La rivoluzione mobiletica ha ridotto lo spazio e i tempi tradizionalmente dilatati che «…hanno per lunghi millenni svolto per le comunità locali la non inutile funzione, non diversa da quella che in biologia svolge la membrana per la cellula, di proteggere le comunità particolari …(Scidà, 2000: 19)»; e ha reso «almeno potenzialmente e sebbene per certi versi solo in astratto, ogni individuo cittadino del mondo, prossimo a ciascuno, vicino a tutti».

La crescita dell’individualismo come perdita di importanza della comunità rende oggi possibile la relazione uomo – società.

Il problema interno alla sociologia sistemica (riassumibile nel domandarsi se l’uomo sia dentro o fuori il sistema sociale, o

societario) perde di significato. L’uomo e la società sono in relazione. L’appartenenza diviene una funzione della partecipazione.

Oggi più che mai apparteniamo politicamente a una nazionalità o a più nazionalità, ma siamo “societariamente” unici. Non siamo sic et simpliciter italiani, marocchini, tedeschi, americani, siamo qualcosa di più e di diverso. A fianco di un’appartenenza funzionale al gruppo, alla collettività, si inseriscono nuove appartenenze legate al consumo, al lavoro, all’amicizia e alla famiglia, sempre più contingenti e connesse alla partecipazione personale. La categoria statica

dell’appartenenza cede il passo alla categoria mobile della partecipazione, con tutto ciò che questo comporta in termini di responsabilità e di rischio.

La sfida che deve affrontare la società trans-moderna, assieme fluida, globale e contingente, è quella di costruire un ordine sociale e societario nella relazione interpersonale, ossia tra uomini in relazione sì con le società di appartenenza, ma anche in grado di andare oltre il relazionismo delle molteplici verità in relazione alle diverse etnie, società e comunità discorsive – per utilizzare un concetto chiave del pensiero di un altro grande sociologo che si è interessato al problema della mobilità, Karl Mannheim (1957)20.

Storicamente parlando i processi di integrazione che hanno riguardato le organizzazioni sociali e politiche precedenti la società trans-moderna, hanno sempre richiesto tempo per veder nascere e crescere identità culturali collettive ed etniche (civiltà) nuove. Ma una cultura immutabile, sempre identica a sé stessa non è mai esistita, né mai esisterà. Si tratta piuttosto di migliorare il rapporto interetnico e

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In Ideologia e Utopia del 1929, Mannheim (1957) riprende il concetto e il significato di mobilità sociale, introdotto due anni prima da Pitrim A. Sorokin (1927).

interculturale istituzionale e interpersonale nel qui e ora per una finalità che va oltre la contingenza dell’emergenza empirica del sociale.

Ciò significa basare l’ordine sociale più sulla capacità di ogni uomo di generare società, di parteciparvi, piuttosto che di appartenervi. Questo implica adottare un approccio in grado di descrivere la società nel suo farsi: non finalizzare la ricerca alla definizione e verificazione della cultura – stabilendo cosa sia e non sia cultura – ma alla descrizione della sua emergenza e del suo impatto in termini qualitativi sull’esperienza di vita da cui emerge. Questa emergenza simbolica rappresenta la consapevolezza che la società ha di sé stessa, ed è solo prendendo atto del suo essere che può eventualmente modificare il suo divenire in un discorso dinamico non finalizzato a verificare il proprio esserci – poiché questo esserci è comunque vero – bensi volto a migliorarne la qualità. Come affermato nel primo capitolo, la società e la cultura, in quanto discorsi, emergono empiricamente come simboli. Ci sono due possibilità di leggere quest’emergenza, una statica, che identifica l’essere del simbolo con l’essere della fonte, l’altra dinamica che intende l’emergenza del simbolo come un’espressione dell’essere della fonte. Utilizzando i termini di cultura e natura così come impiegati da Sergio Belardinelli (2002), laddove l’approccio statico definisce la natura con la cultura, quello dinamico intende il dato come espressione della natura. la cultura è pertanto un mezzo, ma non il fine di una relazione tematizzante, il cui obiettivo non è la riproduzione della cultura, ma semplicemente la produzione di cultura nei termini di morfogenesi e morfostasi. Se due tematizzanti entrano nella relazione tematizzante con due bagagli culturali diversi, la loro esperienza di vita e la relazione tematizzante cui partecipano e non appartengono, ha in

quanto dotata di proprietà non riproduttive bensì emergenti la proprietà di poter generare una nuova cultura. Con la precisazione che se a livello di fonte la presenza o meno di diversi tematizzanti è ciò che conta, così come contano gli aspetti ambientali, spirituali, culturali…, a livello culturale l’emergenza simbolica, empirica è in ogni caso relazionale. Proprio perché l’emergenza empirica non si può fissare – nel senso che una cultura identica a sé è una possibilità difficile – per questo approccio, non è rilevante definire la realtà, ma lavorare ai fini del miglioramento della sua qualità.

Sintetizzando, a fare la differenza non è la cultura, così come non sono gli individui. A fare la differenza è in ogni caso la natura: ed è attraverso la naturale relazione tematizzante che empiricamente emerge la cultura, come identica o diversa da sé. Per questo motivo sono le relazioni a fare la differenza: ogni relazione tematizzante, ossia ogni relazione dalla quale emerge cultura diviene, nella società trans-moderna tendenzialmente unica, per la crescente possibilità che ogni tematizzante ha di poter partecipare in maniera autentica a generare un nuovo discorso.

È nella misura in cui si prende in considerazione non solo l’idea di tematizzanti come portatori di una cultura, ma come capaci di generare, in relazione, nuova cultura, che si possono affrontare e descrivere nel loro farsi i fenomeni della società trans-moderna. Una società che deve affrontare in maniera nuova il rapporto tra civiltà, etnie, gruppi, identità, non in termini di scontro tra discorsi, ma di capacità di generare un nuovo discorso. La possibilità della valorizzazione della capacità generativa della relazione tematizzante, piuttosto che della salvaguardia di un discorso pregresso e della sua differenza rispetto ad un’altro, invita alla messa a punto di una teoria e di un metodo che indipendentemente dal risultato, che può essere di

morfostasi o morfogenesi rispetto alla cultura precedente, è in ogni caso in grado di rappresentare e vedere la relazione tematizzante, come capace di generare nuova cultura, il che significa rendere unica ogni relazione tematizzante.

Esiste qualcosa che precede e segue ogni discorso. E questa non è la cultura, ma è la natura, ivi inclusa la naturale capacità non degli uomini, ma delle relazioni tra gli uomini di generare dei simboli, creare cultura assieme. E l’idea del creare la cultura è ben diversa dall’idea di appartenervi. Solo un paradigma e un metodo in grado di rendere conto dell’unicità delle relazioni consente non tanto e non solo di rappresentare un mutamento sociale, ma di spiegare la società in divenire e di asservire la cultura alla natura.

Affermare che ogni relazione è unica, non significa riconoscere che esistono verità in relazione. Tutti i discorsi sono veri nella loro emergenza empirica; il problema riguarda piuttosto la loro bontà e la loro capacità di fare, realizzare il bene e il male nei confronti della natura. Detto ciò nessuna relazione, nessuna etnia, nessuna società, nessun sistema linguistico possono possedere o determinare o stabilire una volta per tutte cosa sia la verità. La verità è una proprietà partecipata e non posseduta dalla cultura. Questa è la grande risorsa della società trans-moderna per un dialogo e per un nuovo ordine del sociale fluido e mobile. Il problema della partecipazione alla verità diviene una questione morale, di qualità della cultura rispetto alla natura, piuttosto che di contenuto.