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Capitolo primo: il lavoro mobilita l’uomo

Il vangelo secondo Precario Storie di ordinaria flessibilità di Stefano Obino

5.6 Capitolo primo: il lavoro mobilita l’uomo

Quando il titolo è ancora in sovrimpressione sentiamo emergere dalla colonna audio lo squillo di un telefono, poco dopo ci viene mostrato il primo piano di una ragazza che dorme; segue ancora uno schermo nero su cui compare questa volta il nome della protagonista: Marta. Continuando a ricorrere all’hard cut la ragazza viene mostrata nel sonno attraverso diversi piani e angolazioni; nel frattempo il suono del telefono, aumentato progressivamente di volume, sveglia Marta che afferra l’apparecchio e lo porta al volto. Della conversazione percepiamo solo la voce assonnata della protagonista che prende accordi per un appuntamento; nel frattempo una soggettiva ci mostra una sveglia che segna le sette e ventiquattro. Seguono una serie di primi piani di taglio identico che

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145 mostrano Marta intontita mentre continua a rigirarsi nel letto, tra di essi un’altra soggettiva inquadra la pagina di un calendario: è luglio e il giorno trenta è cerchiato di rosso, sempre in rosso sta scritto “consegna ixtat”. Tutta la scena è trattata con inquadrature strettissime come primi piani o dettagli, che si susseguono senza fornire mai una visione più ampia del profilmico.

A questo punto viene inserita una transizione particolare che simula un movimento velocissimo della camera verso desta; in sincrono nella colonna audio è avviato un suono che richiama proprio il rumore di un passaggio ad alta velocità: il timbro è molto ricercato, arricchito di alcuni effetti di eco e riverbero che gli infondono un sapore irreale. Questa modalità di collegamento tra inquadrature segna la conclusione della porzione di capitolo dedicata a Marta, e introduce la presentazione di un altro personaggio.

La nuova immagine che appare a transizione conclusa è un primo piano in bianco e nero di Alberto Sordi, si tratta di una foto di scena del film Un

americano a Roma (regia di Steno, 1954) che immortala un momento della

famosissima scena dei maccheroni. A questa inquadratura, che dura soltanto pochi secondi ne segue un’altra di campo identico, ma con un taglio speculare: ancora un primo piano dove però il soggetto guarda in direzione opposta. Si mostra il volto di una ragazza con lo sguardo assorto nel fuoricampo: la direzione incrociata degli occhi dei due volti suggerisce la lettura della prima inquadratura come una soggettiva del personaggio mostrato subito dopo. Tuttavia l’inquadratura ancora seguente è un campo medio che ci svela l’interpretazione corretta dello spazio diegetico: il poster ritraente Alberto Sordi è appeso su una parete alle spalle della ragazza. L’immagine iniziale della sequenza deve essere quindi interpretata come una “falsa soggettiva” perché non rispetta affatto le condizioni dello sguardo del personaggio86.

86 Gianni Rondolini e Dario Tomasi, op. cit.

146 Il campo medio ci mostra la ragazza seduta ad un tavolo apparecchiato per la colazione, dal fuori campo fa il suo ingresso un altro personaggio: un ragazzo in pigiama che si siede al tavolo dando le spalle alla telecamera. Tra i due, probabilmente marito e moglie o conviventi, comincia una conversazione trattata con i classici campo e controcampo a cui si alternano alcuni piano più ampi; la coppia parla del lavoro del ragazzo che lo ha tenuto occupato fino a tardi la sera precedente, lei lo incita a fare il modo che le persone credano in lui, e a farsi notare di più. Uomo e donna finiscono poi a parlare di lei e dei suoi impegni giornalieri, la conversazione si snoda tra le frasi assonnate del ragazzo e qualche insinuazione ambigua della ragazza: si comprende facilmente che c’è del risentimento taciuto. Il sentore che qualche cosa nella coppia non funziona è confermato poco più avanti, quando sul finire della scena lei si alza per uscire di casa e prima di andarsene si avvicina a lui con l’intenzione di salutarlo con una bacio, ma si trattiene impietrita, lui non si accorge di niente e continua con la sua colazione. Una sorta di “bacio di giuda” mancato che in nessun modo lascia presagire il tradimento che si scoprirà successivamente nel film, ma forse tenta di suggerire lo stato d’animo della ragazza, incapace di affrontare quel gesto con la solita leggerezza. A questo punto ci viene svelato il nome del ragazzo protagonista di questa seconda storia, per mezzo della solita sovrimpressione su fondo nero: Mario; proseguono ancora per qualche secondo i primi piani di lui mentre fa colazione, poi una transizione identica alla precedente introduce una nuova sequenza.

Fin dalla prima inquadratura di questa nuova sezione la colonna audio presenta un brano musicale di sottofondo molto delicato e pacato; la voce del personaggio poi si caratterizza come voce interiore, arricchita con un riverbero molto marcato. La protagonista sta parlando con se stessa dandosi suggerimenti di comportamento e postura; la musica e la voce interiore si esauriranno con la presentazione del suo nome in sovrimpressione: Dora.

147 Le prime inquadrature della scena ritraggono Dora che sbadiglia, si alza dal letto e controlla la propria postura, per questo si fa uso soprattutto di primi piani e di qualche piano americano di profilo. A seguire un campo medio mostra anche qualche particolare della stanza: una porta finestra con una lunga tenda bianca consente alla luce di entrare e porre in controluce il soggetto che, vestito con un abito rosso a pois, risalta al centro di un riverbero candido e quasi surreale. Il controluce sarà riproposto diverse volte nel proseguo del film, usato soprattutto per sottolineare momenti di particolare coinvolgimento; questa scelta illuminotecnica così ricercata e coraggiosa si costituisce a tutti gli effetti come una cifra stilistica originale e riconoscibile de Il vangelo secondo Precario.

Di seguito Dora viene ripresa di spalle in un mezzo busto mentre si guarda allo specchio; sono compresi nell’inquadratura anche i cartelli appesi alla parete, che riportano a caratteri cubitali frasi di incitamento per la propria autostima: “io sono bella”, “io credo in me stessa”, “io VALGO!”. Dora pronuncia, rivolta allo specchio, frasi simili a quelle dei cartelli e questa volta percepiamo la sua voce naturale. Al mezzo busto si alternano primi piani ripresi dalla stessa angolazione in cui ancora si può scorgere la nuca, il collo e le spalle di Dora, mentre è il suo riflesso ad essere reso con la messa a fuoco corretta.

Verso la chiusura della scena la protagonista è seduta sul letto e sceglie la sua “mollettina porta fortuna”, ancora una volta riemerge la voce interiore che le dà gli ultimi suggerimenti; infine Dora si concede con un breve primo piano in cui fa un occhiolino rivolta in macchina. Questo gesto colpisce lo spettatore perché si rivolge direttamente a lui, incrinando per un attimo l’illusione del racconto, e violando il privilegio spettatoriale di vedere senza essere visti: questo ammiccamento verso il pubblico si definisce interpellazione. Tale atteggiamento comunicativo comporta il manifestarsi esplicito dell’autore che figurativizzandosi nell’elemento interpellante, in questo caso Dora, chiama lo

148 spettatore direttamente in causa e gli svela in un certo modo le regole del progetto comunicativo del film87.

La sequenza si conclude con Dora ormai vestita di tutto punto che si guarda un’ultima volta allo specchio, mette gli occhiali e avanza verso la telecamera accompagnata da un brano musicale di sottofondo. Fin da questa presentazione, quindi, il personaggio di Dora si caratterizza come del tutto insicuro di sé e molto apprensivo, ma se ne evidenzia anche l’originalità caratteriale e la creatività. In tutto questo primo capitolo de Il vangelo secondo

Precario Dora è l’unico protagonista a compiere un atto così potente e

destabilizzante dal punto di vista narratologico: in qualche modo sembra si vogliano lasciare intuire le potenzialità “magiche” del personaggio, le quali verranno più avanti svelate.

La presentazione della quarta ed ultima storia si avvia con la solita transizione, che ci mostra un esterno giorno in cui un ragazzo sta caricando delle buste molto voluminose e colorate nel bagaglio di un maggiolone. Il montaggio è molto veloce e dalla inquadratura a figura intera si passa immediatamente ai dettagli, che seguono i movimenti delle mani mentre afferrano le borse. Di seguito entra in campo anche una ragazza che comincia una conversazione agitata con l’altro personaggio: lei lo rimprovera di farle fare tardi, di trattare con poca cura le buste che sta mettendo in macchina e di essere “out” perché non comprende le dinamiche del successo. La scena è costruita per mezzo di un montaggio molto serrato di primi piani; si conclude con lo schermo nero e il nome Franco sovrimpresso, in coincidenza perfetta col rumore del portellone della bauliera che si chiude.

La sequenza continua riaprendosi in sincrono con un altro rumore, quello della portiera anteriore sinistra che si chiude. Adesso la coppia è salita in

149 macchina, ma il maggiolone che non parte diviene il pretesto per ricominciare a litigare, questa volta tirando in ballo mutui, finanziamenti a carico e soldi che non bastano mai. Rosa, la moglie, rinfaccia a Franco che questi argomenti sono soltanto alibi, lui ammette che sono appunto “alibi da poveri”. Nel litigio gli attori sanno adoperare una recitazione molto spontanea e realistica, il dialogo poi è ricco di espressioni colorite e non rinuncia a qualche risvolto ironico.

Una transizione mai usata sinora, ottenuta grazie a una dissolvenza verso il colore bianco, ci congiunge alla nuova sequenza che si apre col mezzo busto del personaggio rimasto coinvolto nell’incidente stradale a inizio film. La colonna audio ripropone il rumore dello scontro, e uno zoom conquista il primo piano del protagonista proprio quando lui apre gli occhi, come a risvegliarsi da un sogno. A seguire un controcampo ci mostra un signore barbuto dietro ad una scrivania: l’ambiente è asettico e avvolto da una luce bianca molto intensa. Il dialogo tra i due personaggi si basa su un grosso equivoco: il ragazzo crede di trovarsi in un commissariato e di essere stato condotto lì dopo l’incidente, il signore di fronte a lui invece lo informa di essere passato “a miglior vita”. Proprio quando il protagonista comprende la propria situazione, apprendendo di essere morto, il capitolo si conclude e attraverso la dissolvenza al bianco già proposta precedentemente si passa al titolo del capitolo successivo.