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Il vangelo secondo Precario Storie di ordinaria flessibilità di Stefano Obino

5.5 I titoli di testa

I titoli di apertura del film sono brevi e si intersecano per tutta la loro durata con le prime scene della storia. In coincidenza perfetta ai primi titoli ,con i riferimenti dei patrocini al progetto, si avvia in sottofondo un brano musicale strumentale dai toni molto delicati, quasi evanescenti; esso durerà per tutto il blocco dei titoli, articolandosi in un crescendo di intensità molto coinvolgente. Il suono usato per l’esecuzione è sintetico e allo strato musicale iniziale se ne

140 sommano altri lungo lo sviluppo del brano; la conclusione avviene con uno sfumare abbastanza repentino dei suoni, che lascia isolata un’unica nota molto acuta, simile al fischio provocato dal feed back dei microfoni, anche questo sfumerà poco più tardi.

A seguire nella sezione si lascia spazio alle prime immagini del film: esse ci mostrano un esterno giorno con una luce fioca, riconducibile a quella delle prime ore della giornata; l’audio originale è completamente sostituito dal brano musicale. Si mostra, in un piano a figura intera, un giovane mentre fa delle flessioni appoggiato ad un parapetto, situato sulla sponda destra di un corso d’acqua; alle sua spalle si intravede un ponte e il proseguire in prospettiva del fiume. L’inquadratura dura soltanto pochi secondi, lasciando lo spazio ad un’altra tranche di titoli che questa volta citano OltreMedia in quanto produttrice del film. Si ritorna poi sull’immagine precedente che questa volta però assume un taglio diverso: più stretto, a inquadrare il ragazzo dalla cintola in su. Per il resto tutto risulta identico alla sequenza precedente, ed anche questa volta l’inquadratura dura solo pochi secondi. Si continuano così ad alternare le prime inquadrature del film con i titoli di presentazione degli interpreti, per poi lasciare definitivamente la scena al racconto.

Si procede nel mostrare lo stesso ragazzo mentre continua col suo allenamento, saltellando sul posto, lanciando pugni nel vuoto e cominciando a correre: prima lungo il fiume, poi attraversando il sagrato di una chiesa e infine svoltando in fondo ad un vicolo. L’immagine della chiesa, anche se per niente sottolineata, assume un valore particolare in relazione alle esperienze che questo giovane atleta compirà nel proseguo del film: la morte per sbaglio e l’ascesa in paradiso davanti a San Pietro. La facciata della chiesa mostrata a questo punto del racconto si configura nel testo filmico come un’esca: inserita per anticipare, ad un livello quasi subliminale, le sorti del protagonista e il taglio della storia. Così rapido, superfluo e confuso tra le altre inquadrature, questo accorgimento si

141 rivela come un’impercettibile manovra narrativa, preparatoria di un evento futuro che solo più avanti nel film svelerà il suo ruolo81.

La telecamera mostra, senza seguirlo, il ragazzo scomparire svoltando in un’altra traversa, e l’inquadratura rimane fissa su quell’incrocio ormai vuoto. Soltanto adesso acquista volume il sono d’ambiente che ci permette di sentire i rumori tipici di un incidente stradale: il clacson, la frenata, la collisione; per lo spettatore è tutto subito molto chiaro, il protagonista vi è rimasto coinvolto. Si sceglie così di rendere estremamente significativo e attivo il fuori campo, in quanto luogo dedicato all’azione: allo spettatore è impedita la visione, ma è il suono off a darne il resoconto certo e in tempo reale. L’evento è del tutto inatteso, senza essere introdotto dal alcun sospetto o preavviso per lo spettatore: il protagonista corre per strade completamente desolate, in un centro abitato distante dalla metropoli dal traffico impazzito, e non viene mostrata nemmeno un’automobile per tutta la sequenza. D’altro canto questo incidente improvviso non è certo trattato come un colpo di scena ad effetto: in corrispondenza al rumore dello scontro l’immagine sparisce con uno stacco netto sul nero, mentre l’audio prosegue naturalmente e a video compare il titolo. L’effetto è indubbiamente straniante e tutto risulta molto pacato e triste; all’atmosfera contribuisce marcatamente il brano musicale di commento, l’unico elemento che alimenta il patos della scena. Il climax sonoro, anch’esso dai toni pacati, raggiunge la sua punta massima proprio sul finire della sequenza, annunciandone impercettibilmente l’epilogo. Il sapore del brano musicale è molto drammatico e coinvolgente, tanto da calzare a pennello con l’evento raccontato e sopperire alla più sterile trattazione per immagini.

La composizione di questa prima porzione di film è molto interessante e indicativa, perché utilizza da subito scelte stilistiche e di montaggio coraggiose.

81 Per un approfondimento vedere Gérard Genette, Figure III. Discorso del racconto, Torino, Einaudi,

142 Infatti si opta per operare dei tagli a sequenze più lunghe, rinunciando però ai raccordi tra inquadrature tipici del cinema narrativo classico: qui si mantiene infatti la stessa angolazione e lo stesso piano, tagliuzzando il movimento dell’attore lungo l’inquadratura e restituendolo di fatto, in tempi più brevi di quelli reali. Questa tecnica, tipica del montaggio cosiddetto “visibile”, caratterizza le produzioni cinematografiche e video della contemporaneità; in particolare l’uso di tagli nella stessa inquadratura al fine di creare una netta giustapposizione di piani, molto simili posti in successione, è definito “hard cut”. In definitiva questa modalità di montaggio si basa sulla volontà di evidenziare il taglio e l’accostamento tra le immagini, puntando principalmente sulla non- differenza tra le inquadrature che si collocano in sequenza82.

Tale precisa scelta stilistica posta fin dall’incipit del lavoro, denota una particolare ricerca formale che non verrà mai meno nel film, divenendo anzi ancor più pronunciata in certi momenti particolari. In sintonia con le originali scelte di montaggio, va segnalato l’uso della camera a mano, che non disdegna i tipici tremolii anche nelle inquadrature fisse, e infine una cura scrupolosa per la fotografia e per le luci. Si palesa quindi da subito l’uso di un linguaggio insolito e personale, imponendo al film una posizione discosta dall’attuale produzione cinematografica italiana, non soltanto per la scelta dell’argomento.

Questa primissima sezione che si sviluppa alternandosi ai titoli di testa e si conclude con la comparsa del titolo del film, è da considerarsi un prologo alla storia vera e propria: la presentazione dell’antefatto dal quale conseguono le vicende che si andrà a esporre di seguito.

Concluso il suddetto prologo, mentre continua ancora la musica, leggiamo il titolo del film che compare per mezzo di una breve dissolvenza dal nero e un lieve effetto di zoom: Il vangelo secondo Precario, storie di ordinaria

flessibilità. In occasione dell’anteprima del film, organizzata per la prima

143 giornata di mobilitazione contro la precarietà, il segretario generale della Cgil Guglielmo Epifani ha fatto riferimento al titolo del film come: “metafora della sacralità, perché la condizione di precariato è considerata la condizione degli ultimi. Nei quali però non c’è rassegnazione, piuttosto ansia di riscatto”.

Ma al di là di interpretazioni così ricercate per l’alta moralità, resta il dato di fatto che titolo e sottotitolo propongono importanti citazioni tra pellicole e libri culto. Si fa riferimento a Il vangelo secondo Matteo diretto da Pier Paolo Pasolini nel 1964, e alla celebre raccolta di racconti Storie di ordinaria follia di Charles Bukowski edita nel 1972, al quale si ispirò anche il film omonimo di Mario Ferreri83. Le due opere citate sono indubbiamente del tutto antitetiche, contrapposte per tematiche e modalità narrative, senza convincenti possibilità di una qualsiasi relazione critica. Risulta altresì evidente che le aderenze del film con le opere citate appaiono di poco spessore, e molto poco legate ai loro contenuti; sembra si sia privilegiato invece il valore sintattico dei titoli, per essere in seguito modificati o storpiati ironicamente. A mio avviso si ricorre a queste citazioni in particolare perché si prestano bene ai giochi di parole che si va cercando: esse risultano molto popolari anche per un pubblico poco preparato in ambito cinematografico e letterario, essendo divenute ormai quasi locuzioni comuni, slegate dalla loro origine. Il titolo denuncia così subito le qualità narrative del film, che unisce ad una trattazione formalmente sofisticata della storia una forte dose di ironia e invenzione.

Il titolo de Il vangelo secondo Precario però fa anche un altro riferimento interessante che è opportuno non tralasciare: la figura di San Precario non è di nuova invenzione, ma nasce in seno alle associazioni dei giovani “lavoratori atipici”, che si organizzano per protestare contro il pacchetto di leggi che autorizza certe forme contrattuali. Tali gruppi, in nome del “santo protettore”, agiscono in diverse regioni italiane promuovendo, oltre alle proteste di piazza,

144 azioni destabilizzanti in luoghi pubblici ed eventi mondani. Le loro iniziative sono sempre beffarde e ironiche: emblematica è stata la loro partecipazione alla settimana della moda milanese nel febbraio del 2005, sotto le mentite spoglie di una giovane stilista anglo-nipponica84. Grazie alla rete internet “San Precario” è

divenuto una figura mitologica di cui si riportano la vita e le preghiere85, oltre che alle sue più eclatanti apparizioni documentate dalle testate nazionali. La protesta di questi lavoratori è spesso molto articolata e ben preparata, cercando anche modalità nuove rispetto a quelle, forse troppo consuete, del corteo; il dato di fatto è che sempre si agisce con grande forza satirica e auto-ironica, tentando forse in questo modo di sdrammatizzare la pesantezza della propria precarietà. Di fatto il film Il vangelo secondo Precario deriva da questo ambito sociale e culturale, sposandone innanzitutto l’urgenza di denunciare e battersi per questi temi, ma anche la vivace abilità sardonica.