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Per una riflessione formale

Il vangelo secondo Precario Storie di ordinaria flessibilità di Stefano Obino

5.12 Per una riflessione formale

Il vangelo secondo Precario per la sua natura di fiction richiede una

lettura anche formale delle scelte su cui è stato costruito il racconto, pertanto è necessario in conclusione lasciare spazio ad una riflessione sui modi dell’esposizione, avendone sinora affrontato i contenuti.

Partendo dalla messa in scena del film merita soffermarsi sulla cura posta nella definizione dell’ambiente profilmico: il set, quando trova spazio oltre il personaggio, è sempre ben caratterizzato e colmo di oggetti tutti giustificati e necessari. Gli ambienti verosimili risultano reali a tutti gli effetti, ma non per questo anonimi, anzi sembrano costituirsi attorno al personaggio, rispecchiandolo. Ma anche nell’ufficio accettazione del paradiso, l’invenzione trova giustificazione pratica: scegliendo di annullare i limiti spaziali o addobbando la scrivania di cimeli da pescatore. Spesso e volentieri poi la progettazione illuminotecnica degli ambienti contribuisce a scolpirli e definirli dietro le necessità filmiche, arrivando a livelli di messa in scena davvero notevoli.

Per quanto riguarda poi la pratica attoriale è lampante la naturalezza che sanno acquisire questi professionisti, che sembrano vivere condizioni reali e vere, come reale e vera appare la narrazione delle storie, e la recitazione diventa

179 comportamento vivo, naturale, conseguente93. Obino ha lasciato molta libertà agli attori, la possibilità di improvvisare per poi rimescolare tutto in fase di montaggio: “le storie sono state rielaborate e condite con esperienze personali, l’idea era quella di dar vita ad una narrazione sinfonica anche con l’aiuto degli attori”94.

Lo stile di ripresa e di messa in quadro è anch’esso particolare riferendosi in un caso alle modalità del cinema della realtà, e dall’altro ad una costruzione architettonica dell’inquadratura molto soppesata. Infatti si opta per l’uso continuo della camera a mano e la presa diretta dell’audio, fattori che inevitabilmente conducono il testo filmico verso una riproduzione spiccatamente reale, verosimile, quasi documentaria. Ma si sceglie allo stesso tempo di investire energie e attenzione alla cura del profilmico, della messa in quadro e dello studio delle luci: adoperandosi quindi per la ricerca di una costruzione non naturale della visione. Il risultato è originale, equilibrato e di forte carattere che fondendosi al montaggio con l’hard cut raggiunge uno stile di grande potenzialità.

5.13 Conclusioni

Giunti a questo punto restano da verificare i risultati effettivamente ottenuti rispetto alle intenzioni di cinema necessario, di film sociale e alla volontà di rifarsi al neorealismo e alla commedia all’italiana.

Senz’altro Il vangelo secondo Precario si solleva rispetto alla produzione media italiana, che continua a propinarci solo una comicità volgare e sterile o al massimo storie d’amore struggenti, per niente introspettive. L’intenzione di indagine sociale da una parte, e l’attenzione alla forma del linguaggio

93 Alessandro Rizzo, Metafora della realtà nel cinema italiano. Il vangelo secondo Precario,

www.cinemaindipendente.it, 21/12/2005

180 cinematografico dall’altra, rendono Il vangelo secondo Precario un prodotto accattivante, di forte richiamo e provocatorio; come ha dimostrato il successo di pubblico che ha ottenuto. Si rimane comunque lontani dalla messa in opera di un indagine adeguatamente approfondita sul tema del precariato, che del resto difficilmente potrebbe esaurirsi con un film di novanta minuti. La pellicola ha comunque il merito di fare da cassa di risonanza per un problema sociale diffuso, ma che continua a rimanere sottovalutato e giustificato dalla corsa al progresso.

Il vangelo secondo Precario presenta una certa affinità con film

neorealisti come Miracolo a Milano95 e cita esplicitamente esempi fulgidi della commedia all’italiana come Un Americano a Roma96; rimane tuttavia oltremodo evidente la sua distanza dai modelli a cui intende ricondursi. Il neorealismo è preso ad esempio per l’intenzione di aprire il set al fluire libero della realtà contemporanea, ma la sua debordante forza emotiva e la delicatezza con cui ha saputo dipingere con poche pennellate le sue vicende tragicamente verosimili, non trovano alcuno spazio nel film. Allo stesso modo pur riferendosi alla commedia all’italiana si perde di vista il suo valore di ritratto sociale: così ne Il

vangelo secondo Precario lo spettatore viene calato ermeticamente nei

microcosmi delle quattro storie, senza più lasciargli intravedere il mondo. Si nega ogni visibilità alla città col suo traffico, il brulichio di gente, il rumore, arrivando a non discostare mai lo sguardo da quei pochi punti di riferimento, isolandoli completamente da un profilmico più ampio e a tutti gli effetti reale.

95 Vittorio De Sica, Miracolo a Milano, Italia 1951 96 Steno, Un Americano a Roma, Italia 1954

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Conclusioni

Le analisi appena prodotte richiedono a questo punto di essere messe in relazione l’un l’altra, allo scopo di rivelare i tratti comuni tra i film e le diversità di approccio allo stesso tema.

Innanzi tutto i quattro lavori presentano modalità riflessive molto simili, in cui pongono l’intervista, lo sfogo naturale, piuttosto che la testimonianza raccolta via internet alla base dei loro percorsi; in definitiva i numerosissimi contributi che trovano spazio nei film, denunciano all’unisono le stesse conseguenze rispetto alla flessibilità: disagi di cui si fa interamente carico l’individuo. Si accenna con ricorrenza alla crisi identitaria, provocata da un lavoro sempre diverso e instabile in cui non è possibile riconoscersi; con altrettanta frequenza si evidenzia la consapevolezza che i numerosi cambiamenti negano ogni possibilità di accrescere le proprie competenze, e la propria professionalità. Inoltre si può leggere come un dato di fatto la coscienza di non avere ormai più possesso del proprio tempo, messo completamente a disposizione di una turnistica invadente e imprevedibile. E di seguito le questioni che tornano con più insistenza sono quelle della mancanza di tutele e sostegni per i momenti di non lavoro, di un futuro assolutamente incerto e non programmabile; infine si mette in rilievo l’estrema solitudine con cui ogni lavoratore sopporta questi oneri, privato della solidarietà dei propri colleghi, ormai smantellata assieme al fordismo.

Al di là dell’aspetto contenutistico la caratterizzazione dei quattro film si presenta assolutamente variegata, evidenziando differenze di stile e di

182 linguaggio: di fatto lo stesso tema viene trattato con modalità estremamente diverse, e in certi casi addirittura opposte.

Vite flessibili è un testo filmico basato sulla video-intervista, ricchissimo

di informazioni e di contributi diversificati: si fa uso di materiale d’archivio, di un coro che esegue brani in presa diretta e di effetti multicolori a potenziare la messa in quadro. Tuttavia pur apprezzando la capillarità delle informazioni ne risulta penalizzata la messa in forma stilistica, che appare in certi casi pesante.

Invisibili si poggia sugli interventi diretti dei protagonisti, impreziositi da

digressioni ritraesti la loro vita familiare, e propone una costruzione formale più snella e minimale. Qui il racconto effettivo viene intarsiato da elementi quasi visionari, che ci mostrano una periferia grigia a personificare emblematicamente tutti i dubbi e i disagi esposti dai lavoratori.

In L’uomo flessibile si affianca al livello enunciativo dei protagonisti una dimensione prettamente letteraria, che riporta questioni identicamente sollevate dalle testimonianze reali; i contributi degli intervistati sono trattati con una libertà formale che segue le suggestioni trasmesse dai loro racconti. In questo modo il peso della ricerca filmica si pone in parallelo a quello prettamente narrativo, costituendo un testo cinematografico complesso di profondo valore comunicativo, ma ugualmente dotato di una eleganza stilistica impeccabile.

Concludendo Il vangelo secondo Precario, anche per la sua natura di fiction, privilegia l’aspetto strutturale e stilistico, curando in maniera egregia sia la messa in scena che la messa in quadro e il montaggio. Inoltre pur basandosi su testimonianze di lavoratori precari raccolte tramite internet, arricchisce sapientemente il dato reale con l’invenzione surreale e magica, ottenendo un testo filmico tragicomico e trascinante. Tuttavia a discapito di queste scelte di scrittura va la costruzione dei personaggi, che paiono troppo poco definiti.

In definitiva la riflessione sulla flessibilità che si propone in questi quattro lavori arriva a conclusioni unitarie, ma si esplicita attraverso linguaggi e dinamiche assolutamente diverse. Ciò che ho inteso evidenziare è proprio la

183 differenza di lettura e interpretazione filmica attuata a partire da un identico spunto riflessivo: ossia l’elaborazione di un linguaggio necessariamente personale da parte di ogni autore.

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Appendice

In questa sezione sono riportate le biografie essenziali e le filmografie dei registi le cui opere sono state prese in esame in questa tesi; allego inoltre le interviste da me realizzate via posta elettronica agli stessi autori.

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7.1 Nicola Di Lecce

Nicola di Lecce (Roma 1971) ha firmato come montatore numerose produzioni televisive (per Rai, Rai Educational e Rai International), fra cui Dov’é la Fenice premio Palazzo Venezia 2004, e diversi documentari per C’era una volta e La

grande storia. Ha inoltre firmato il montaggio per il programma Mediaset Altrove.

Ha diretto cortometraggi di fiction, documentari didattici, e docu-clip. Per l’associazione Mondi Visuali si occupa di didattica del cinema e di produzione audiovisiva.

Nel 2003 realizza il documentario Vite flessibili con la collaborazione dell’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico.