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Caratteri architettonici della rappresentazione

2 3 L’Incisione Prevedar

2.3.1. Caratteri architettonici della rappresentazione

Vi è però un terzo cantiere - se così lo si può definire - particolarmente vicino cronologicamente e nei luoghi ai due appena descritti, cioè quello della cosiddetta Incisione Prevedari, commissionata da Matteo Fedeli all’incisore Bernardino Prevedari il 24 ottobre 1481 e tratta, come ben noto, da un disegno di Bramante . La stampa, conosciuta sorprendentemente solo in due esemplari, rimane 116

ancora un problema aperto sotto molteplici punti di vista: quello della struttura dell’architettura rappresentata, quello delle caratteristiche tecniche dell’incisione e della stampa, quello del contesto di provenienza e dei suoi protagonisti. Non si tratterà invece, in questo caso, della complessa interpretazione del significato della scena, che ancora rimane enigmatico e su cui diversi autori si sono comunque espressi.

Il noto contratto stabiliva la realizzazione di una stampa «cum hedifitijs et figuris», senza fornire ulteriori e più precise indicazioni sul soggetto, ma la generica indicazione «hedifitijs» si realizzerà di fatto sulla carta come la riflessione architettonica dei primi anni del Bramante milanese, «[…]

Il contratto è stato pubblicato per la prima volta da L. BELTRAMI, Bramante e Leonardo praticarono l’arte del

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bulino? Un incisore sconosciuto: Bernardino Prevedari, «Rassegna d’Arte», 17, 1917, pp. 187-194.

una selezione ed una sintesi integrata di quelle che a lui sembravano, ed in larga misura erano, le proposte più “attuali” della cultura architettonica dell’Umanesimo all’inizio dell’ultimo ventennio del secolo» .117

Che l’architettura rappresentata sia in rovina, almeno parzialmente e soprattutto nella parte destra, è del tutto evidente, come si evince dai conci fuori assetto e dallo squarcio nella copertura che lascia intravedere l’affacciarsi di due figure, mentre le parti distaccatesi dalla copertura pericolante sono crollate sul pavimento. Lo spazio è stato identificato come un interno di tempio ed è probabilmente del tutto voluta l’ambiguità se di tempio pagano o cristiano si tratti, una duplice possibilità su cui si sono soffermate la maggior parte delle interpretazioni della scena. Dal punto di vista della struttura architettonica il tempio ha avuto due divergenti tentativi di ricostruzione: potrebbe trattarsi di uno spazio a impianto basilicale – la continuazione del pavimento sembra accennare a un prolungamento dell’edificio, in questo caso la veduta sarebbe limitata a parte del capocroce – oppure, più probabilmente, di una soluzione a croce greca inscritta; nel commento a Vitruvio di Cesariano, nelle «sacre aede» compaiono infatti come illustrazioni esemplificative dei tipi di tempio descritti da Vitruvio degli edifici a croce inscritta in un quadrato con cupola al centro e volte a crociera agli angoli e sui bracci della croce, con una planimetria simile a quella dell’Incisione

Prevedari: è probabile che l’edificio della stampa rappresenti quello che Bramante pensi sia un

tempio antico. Egli avrebbe quindi adottato per la pianta uno schema che non era ignoto alla cultura del Quattrocento e che poteva provenire anche dall’osservazione del sacello S. Satiro, uno schema oltretutto anticipatore delle successive soluzioni bramantesche romane a quinconce. I temi architettonici e decorativi hanno precise corrispondenze con quelli di S. Maria presso S. Satiro, tanto che si è pensato si trattasse di uno studio per la chiesa milanese, ma anche con le pitture di casa Panigarola, con S. Maria delle Grazie e con l’arcone della canonica di S. Ambrogio. Si tratta di una architettura eclettica, in cui è facile trovare particolari che si riallacciano all’ambiente urbinate, quale ad esempio la semplificazione dell’ordine attraverso la soppressione del capitello; proprio tra gli elementi che conducono nella direzione di Francesco di Giorgio vi è anche nell’ordine minore a sinistra l’archivolto liscio con modanatura esterna, che interrompe l’architrave dell’ordine maggiore sovrastante: un elemento trasgressivo, già presente nel S. Bernardino di Urbino, ma di invenzione classica . 118

A. BRUSCHI, Bramante architetto cit., p. 151. Per le caratteristiche dell’architettura rappresentata nell’Incisione

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Prevedari: ibid., pp. 150-170, 745-750; SCHOFIELD, Bramante e un rinascimento locale cit., pp. 51-54; Id., Bramante dopo Malaguzzi Valeri, «Arte Lombarda», 167, 2013, pp. 12-21; F. BORSI, Bramante, Milano, Electa, 1989, pp.

155-162.

Compariva in un grande rilievo del perduto arco di Marco Aurelio, che si trovava nel XV secolo in S. Martina di

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Roma, ma anche nel primo livello dell’anfiteatro di Pola. SCHOFIELD, Bramante e un rinascimento locale cit., p. 54.

Nel rappresentare questo impianto spaziale Bramante offre la raffigurazione di almeno due particolari tipi di coperture: in primo piano una cupola ottagonale con sottili costoloni, forse estradossata, innestata su un basso tamburo in forma di architrave e con oculi appena al disopra di esso; ispirata forse a una simile apertura presente nel dipinto di Giusto di Gand con Federico da

Montefeltro e il figlio Guidobaldo a lezione da un umanista (Windsor Castle), si presenta priva di

pannacchi, particolare che ne avrebbe reso difficile l’effettiva costruzione anche se, proprio a Milano, esistevano esempi alto-medievali di cupole prive di raccordi verticali o pennacchi e impiegate per coprire vani di piccole dimensioni, come nel caso di San Vittore in Ciel d’Oro; oltre la cupola poligonale si può ammirare invece una straordinaria volta a crociera a sezione semicircolare, questa volta chiaramente estradossata poiché gli oculi si aprono sul cielo. La dinamica verticale dello spazio è aumentata grazie all’impiego dei pilastri dell’ordine maggiore che, come già a S. Andrea a Mantova, si elevano su alti piedistalli. Si è già avuto occasione di ricordare che diversi degli elementi riportati in questa occasione sulla carta faranno la loro apparizione concreta anche nella chiesa di S. Maria o nella sua sacrestia: l’archivolto liscio con modanatura esterna, i tondi racchiusi dagli archivolti semicircolari, il motivo dell’intreccio del capitello bipartito dell’ordine maggiore dei pilastri (quest’ultimo derivato dai capitelli del ciborio di S. Ambrogio). Alcuni particolari raffigurati, di evidente richiamo all’antico, erano già ben affermati nella pratica decorativa quattrocentesca: si vedano ad esempio l’applicazione delle rosette ai sottarchi, o la nicchia in fondo a sinistra, che con la sua volta botte e la decorazione a conchiglia sembra un chiaro riferimento alla celebre pala di Piero della Francesca; il richiamo all’antichità classica pagana è evidente anche nella decorazione istoriata orizzontale continua o nelle imagines clypeatae delle specchiature degli archi trattate, si noti, in modo differente: in quelle più vicine all’osservatore l’aggetto delle teste è tale da rendere evidente che esse esulino da modelli numismatici, così come anche i centauri negli angoli della lunetta accanto al busto danno più l’impressione di statue che di rilievo. Ci sono, infine, particolari che rimangono invece del tutto originali, quali l’occhio a ruota di carro sulla destra, il busto a giorno entro l’occhio della lunetta rivolto verso l’esterno, la colonna- candelabro con il bulbo a goccia (derivata presumibilmente da simili oggetti antichi) sormontata da una croce e che reca la scritta BRAMANTVS FECIT IN MLO, cioè Mediolano. Per quanto concerne la costruzione prospettica, essa mira più all effetto d’insieme che alla precisazione geometrica delle misure e alla definizione delle parti, cosicché elementi che dovrebbero essere uguali, quali i quadri del pavimento o la larghezza dei pilastri, differiscono in realtà leggermente, un’incongruenza che si è ipotizzato possa farsi risalire alla trascrizione dell’incisore. Il punto di fuga, o meglio un’aureola data la non esatta convergenza delle linee, corrisponde all’angolo superiore sinistro del dado del piedistallo della colonna candelabro, in corrispondenza della lettera «B»; una notevole deviazione o arrangiamento correttivo rispetto alle regole prospettiche si verifica

invece nella zona destra: l’oculo con la transenna non è coassiale all’arco sottostante ma spostato verso destra (forse a causa della necessità di rappresentare tutto elemento), così come il pilastro di piedritto dell’arco laterale crollato – che dovrebbe essere analogo a quello adiacente, sempre parzialmente crollato ma posto perpendicolarmente al quadro prospettico – risulta molto più spostato verso destra di quanto dovrebbe essere per andare d’accordo con la restituzione prospettica degli altri elementi. Bramante dimostra, in effetti, un’abilità fortemente scenografica nel comporre l’architettura dell’incisione, mentre si rivela piuttosto disinteressato agli aspetti di realizzazione pratica, di cantiere: è evidente che molti elementi, primi fra tutti l’arco sulla sinistra e per certi versi anche la copertura, sarebbero stati praticamente irrealizzabili dai mezzi dell’architettura tradizionale nelle forme e dimensioni suggerite dal disegno; dal punto di vista statico l’architettura della Prevedari si dimostra fragile e praticabile solo, forse, quale apparato effimero.

Nonostante la concreta destinazione dell’incisione resti a oggi ignota, non vi sono dubbi che, escludendo il soggetto figurativo, i motivi decorativi e architettonici impiegati la rendano «[…] un manifesto di Bramante che poteva essere mandato ovunque per proclamare la sua conoscenza eclettica di altri tipi di architettura» , «[…] un documento, forse, adatto ad essere presentato come 119

biglietto da visita, come curriculum, per presentarsi, come è stato supposto, a qualche illustre committente»120. È allo stesso tempo netta la contestualizzazione milanese dell’impresa, espressamente dichiarata nell’iscrizione «Bramantus fecit in Mediolano»: una chiara rivendicazione di esecuzione, ma da riferirsi a cosa: all’architettura, o alla sua rappresentazione?

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