2 1 La chiesa di Santa Maria presso San Satiro
2.2.2. L’opera di Agostino Fonduli e il rapporto con le fonti scultoree antiche
L’unico testimonianza documentaria riferibile con certezza alla realizzazione della raffinata, e straordinaria, decorazione della sacrestia rimane però il contratto del 11 marzo 1483 tra la scuola e
Ibid., pp. 376-377.
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Agostino Fonduli, con cui l’artista è incaricato di eseguire, tra le altre opere, «frixum unum magnum a testoris octo et a quadris sedecim a pueris [...]», indubbiamente identificabile proprio con quello della sacrestia. Nello stesso atto sono nominati a controllo dell’opera dello scultore Antonio da Meda (uno dei sindaci della scuola) e Donato Bramante: il loro giudizio, tuttavia, sembra richiesto più in relazione alla fattura delle trentasei statue in cotto, piuttosto che a tutte le opere elencate nell’atto. È solo dopo aver elencato e stabilito il compenso per le prime commissioni, da consegnarsi entro l’inizio di maggio, che si richiede infatti entro le calende di agosto la realizzazione di «[…]figuras triginta sex coctas et bene factas ac laudabilles secundum apparere dicti d. Antonioti et magistri Donati dicti Barbanti de Urbino»; fidesiussore di Agostino Fonduli in questa occasione è il noto pittore Ambrogio de Predis .95
Gli otto testoni racchiusi in tondi, che intervallano i sedici riquadri del fregio, sono una tipologia probabilmente introdotta a Milano da Filarete e già usata nel Banco Mediceo . I personaggi 96
rappresentati (uno addirittura sembrerebbe una donna) guardano tutti, curiosamente, verso l’alto e, pur presentando delle affinità con gli Uomini d’arme di casa Panigarola, non hanno un’identificazione certa; potrebbe trattarsi di santi o, molto più probabilmente, di generici personaggi tratti dall’antico, spesso raffigurati anche in contesti religiosi. Uomini illustri, eroi, imperatori e filosofi erano comunemente rappresentati proprio per il valore attribuito all’antichità quale fonte di modelli di virtù e valori. Il fregio è anche un riferimento puntuale ai monumenti che nell’Italia settentrionale testimoniavano la riscoperta dell’antico: l’altare di bronzo di Donatello (ma anche la Cantoria del Duomo di Firenze), gli affreschi di Mantegna e Pizolo nella cappella Ovetari (con le teste di Giganti, realizzate entro il 1453), i fregi monocromi dipinti negli anni Settanta da Mantegna nella Camera Picta; sebbene sia certo che agli l’inizi degli anni Ottanta l’assimilazione di motivi donatelliani e mantegneschi non fosse estranea alla cultura lombarda, questi importanti precedenti non spiegano comunque del tutto gli straordinari risultati raggiunti nella sacrestia .97
Per i sedici rilievi che compongono il fregio sono stati proposti alcuni precisi e puntuali riferimenti che si rivelano estremamente ricchi d’interesse. Se infatti i putti musicanti sono un richiamo al salmo 150, come nella Cantoria di Luca della Robbia , del tutto straordinario è l’utilizzo di motivi 98
derivanti da sarcofagi antichi, tanto che la sacrestia di S. Maria rappresenta, in questo senso, una
Ambrogio Preda è coinvolto con Leonardo nella realizzazione della Vergine delle rocce e proprio Agostino Fonduli è
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uno dei testimoni del noto contratto per la realizzazione del dipinto. BANDERA, Agostino de’Fondulis cit., pp. 198-199 doc. IV.
R. SCHOFIELD, Avoiding Rome: an introduction to Lombard sculptors and the antique, «Arte Lombarda», 100,
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1992, p. 32.
BANDERA, Agostino de’Fondulis e la riscoperta cit., pp. 17, 44, 84-86, 165.
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SCHOFIELD e SIRONI, Bramante and the problem cit., p. 33.
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vera e propria eccezione nel panorama lombardo. Infatti non solo mancano tracce di viaggi di scultori lombardi a Firenze o Roma tra il 1466 e gli anni Novanta, ma è invece ben affermata la pratica di trarre elementi di iconografia antica, spesso poi combinati arbitrariamente tra di loro, da monete, gemme e placchette, in una pratica quindi indipendente dalla diretta conoscenza della scultura classica. Erano d’altra parte rari gli esempi di sculture antiche nella regione, mentre la riproduzione di scene raffigurate su monete e medaglie garantiva un modello disponibile localmente, da ripetere poi su vari e diversi monumenti .99
Il repertorio di motivi dispiegato nel fregio proviene invece, eccezionalmente, da rilievi antichi e, per quanto si tratti di fonti comunque già note nell’Italia settentrionale anche molti anni prima del 1483 e conosciute senza dubbio sia da Fonduli che da Bramante, il loro impiego in scultura rappresenta un caso unico all’altezza di questi anni100.
Accanto alla testa, forse femminile, con la fronte cinta da una fascia vi sono due putti, uno dei quali sulla schiena dell’altro: un adattamento della figura di Pan sul dorso di un satiro, proveniente da un noto sarcofago bacchico che nel XV secolo si trovava a S. Maria Maggiore e che oggi è conservato al British Museum; nella scena originale Pan viene colpito da un altro satiro, un’azione che si ripete, sebbene le pose dei putti non siano identiche, anche nel rilievo fonduliano, dove un terzo putto sculaccia quello sul dorso del primo. Disegni di tutte le parti di questo sarcofago erano certamente disponibili e circolavano sia a Milano che a Urbino già dagli anni Sessanta. Almeno due fonti antiche si possono individuare anche per il gruppo di tre putti impegnati a trasportare una fascina o un ciocco di legno; la prima, forse più probabile e conosciuta dagli artisti già all’inizio del secolo, è rilievo di S. Vitale a Ravenna, in cui alcuni putti (rappresentati su parte del trono di Nettuno mentre trasportano una grande conchiglia curva) hanno posa corrispondente a quelli milanesi. L’altra, meno convincente, possibilità è che l’ispirazione per la posa dei putti provenga da un frammento del trono di Saturno, dove le figure sono rappresentate mentre trasportano la falce della divinità; il pezzo era stato in questo caso acquistato nel 1335 dal veneziano Oliviero Forzetta e aveva presto guadagnato grande popolarità. Il gruppo con un putto abbassato in mezzo ad altri due, infine, era stato probabilmente individuato da Fonduli e Bramante sui disegni di un sarcofago bacchico oggi a Napoli, ma che si trovava all’epoca nel giardino di Palazzo San Marco a Roma; diverse parti dell’opera erano state copiate da un artista vicino a Mantegna, lasciando quindi ipotizzare che nel tardo Quattrocento il pezzo fosse noto a Mantova.
Per l’uso di queste fonti nella scultura lombarda SCHOFIELD, Avoiding Rome cit., pp. 29-44.
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Per le fonti dei rilievi della sacrestia SCHOFIELD, Florentine and Roman elements cit., pp. 206-207.
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Sebbene la ricostruzione delle fonti si presenti estremamente convincente, è comunque evidente che i sarcofagi a cui sono sono stati ricondotti i fregi della sacrestia siano, per forza di cose, quelli oggi sopravvissuti, ma non si può nemmeno escludere che esistessero all’epoca anche degli esempi geograficamente più vicini a Milano, nonostante la Lombardia fosse archeologicamente meno ricca di altre aree. Di certo è che, quale ne sia la fonte, queste scene sembrano risultare impiegate per la prima volta nella sacrestia di S. Maria presso S. Satiro.
Un repertorio di motivi antichi eccezionale dunque a questa data in Lombardia ma, soprattutto, totalmente pagano. La nota pagana apportata dalla decorazione è ben espressa da Malaguzzi Valeri, che scrive come sia «[…] facile illudersi[…] di trovarsi entro uno dei tempietti circolari della dea Vesta di cui era cosparsa Roma piuttosto che in un edificio della cristianità»101. E chissà che non fosse esattamente questa l’intenzione della scuola.