3 6 Ancora due nomi per Santa Maria presso San Satiro: Bramantino e Giovanni Antonio Castiglioni.
4. Il ricamatore si fa mercante, l’oste fabbriciere, l’orafo pittore e Bramante, infine, si realizza architetto
Sarà utile ancora qualche considerazione sugli scolari prima di tornare finalmente alla scuola e quindi al rapporto di questa con le architetture di Bramante milanese, il problema di partenza. Come si preannunciava, quello del capitolo appena concluso è stato un percorso delineato dalla ricostruzione dei profili storici di alcuni dei confratelli, condotto tra ambiti molto diversi in base all’esigenza della singola biografia, e concretizzatosi in ciascun caso, a causa dei limiti già espressi, in gradi di definizione tra loro non omogenei. È stato necessario, per giungere alla stesura di queste conclusioni, ricorrere a molte delle diverse discipline che la storia mette a disposizione, quali la storia dell’arte, dell’architettura e delle arti applicate, la storia economica, delle istituzioni e militare: la storiografia ha in effetti inevitabilmente separato esperienze che convivevano nelle vicende del singolo e biografie che convivevano nella scuola di S. Maria presso S. Satiro.
Un filo rosso sembra essersi individuato nel mondo della lavorazione dei metalli, un ambito a cui i profili appena affrontati appaiono in vario modo legati, come già si preannunciava distintamente nel caso di Antonio da Meda e Bernardino Prevedari. Proprio l’Incisione Prevedari trova così una sua contestualizzazione non solo architettonica ma anche esecutiva, altrettanto significativa per comprendere appieno una vicenda ancora parzialmente irrisolta, forse perché mai considerata nella totalità delle sue sfaccettature. Si sono individuate alcune delle svariate motivazioni che rendono l’ambito produttivo dei metalli uno sfondo di particolare rilevanza per l’azione degli scolari: la prima ragione è, indubbiamente, la stretta relazione fisica, dettata dalla distribuzione delle botteghe, con il complesso di S. Maria presso S. Satiro. Si tratta, oltretutto, di un settore interessato nella seconda metà del Quattrocento dall’introduzione di nuove sperimentazioni e di cambiamenti di tipo organizzativo della produzione, che danno modo a varie figure professionali di riconvertire la propria attività iniziale; sono tutte eventualità che possono influire significativamente sulla biografia del singolo, soprattutto dal punto di vista delle nuove relazioni, personali o organizzative, che egli deve necessariamente instaurare: Nicolò da Gerenzano ne è il caso più evidente, ma sembra esserne esempio anche l’assunzione di Bernardino Prevedari da parte di Antonio da Meda. Infine si tratta di un ambiente in cui i contatti con il mondo dell’arte, a diversi livelli, sono costanti, costituendo un sistema integrato che forse oggi risulta di difficile comprensione.
Eppure la Milano di fine Quattrocento è un mondo in cui - almeno ai nostri occhi - domina un’eccezionale trasversalità tra le diverse professioni, ancora più evidente in quelle legate alla
produzione artistica e suntuaria, e che si è visto potersi manifestare in diversi modi: tramite un apprendistato magari (quello di Bernardino Prevedari o di Bramantino), oppure nella collaborazione di diverse personalità alla medesima commessa (è il caso del mercante Aloisio Cusani) ma anche, più semplicemente, grazie a rapporti famigliari (si pensi di nuovo ai casi di Nicolò da Gerenzano o Bernardino Prevedari). L’esempio probabilmente più significativo in questo senso si è dimostrato essere quello del mondo orafo, nelle cui botteghe si formano e lavorano pittori, stampatori, miniatori, possibilità che a Milano sembrano essere favorite anche da una struttura corporativa di origine recente e meno rigida che i suoi equivalenti in altre città; se da una parte questo può offrire numerosi vantaggi, dall’altra rende necessario creare strutture alternative che possano rinsaldare legami professionali necessari, ma privi di ufficializzazione. Non si dimentichi che negli stessi anni si costituiscono e si definiscono le realtà corporative legate alla seta, tra cui l’Università dei mercanti auroserici, che dipende e al tempo stesso è motore di una particolare produzione: quella dei battiloro, che costituiscono il filo, è il caso di dirlo, tra i mondi diversi ma affini dell’oro e della seta. È inoltre da sempre riconosciuto lo stretto rapporto esistente tra l’arte dell’oreficeria, del disegno e dunque dell’architettura: sarebbe importante allora, ma forse impossibile, individuare le ricadute pratiche di un tale legame nel contesto milanese, magari proprio nella diffusione dei modelli dell’antico; si è detto della pratica tutta lombarda, interrotta per la prima volta nella sacrestia di S. Maria, di trarre composizioni scultoree all’antica da monete e medaglie, oggetti che presumibilmente passavano prima dalle mani degli orafi che da quelle degli scultori, due categorie che possiamo credere condividessero dunque anche gli stessi disegni di repertorio dell’antico.
È nella Milano degli anni Ottanta, si diceva, che un abile ricamatore può diventare un potente mercante, un oste fabbriciere in uno dei più innovativi cantieri cittadini, un giovane orafo pittore addirittura con l’appellativo di Bramantino: non sorprende che sia proprio in questa favorevole congiunzione che Bramante, già pittore e abile prospettico, possa finalmente realizzarsi architetto, di un’architettura non più solo dipinta ma anche costruita, quella di S. Maria presso S. Satiro. «Committenti e architetto concordarono nel costruire una chiesa dallo stile all’antica più aggiornato[...]» , un’affermazione logicamente dedotta dall’aspetto del complesso di S. Maria 1
presso S. Satiro e che lasciava allo stesso tempo aperte diverse questioni:
Quale fosse per i parrocchiani il significato dello stile foresto di Bramante non si sa; sapevano qualcosa del Sant’Andrea di Mantova? E se sì, che cosa significava per loro? La loro disposizione ad accettare elementi mantovani era la
SCHOFIELD, Bramante e un rinascimento locale cit., p. 56
1
conseguenza di ciò che pensavano di Mantova o del Sant’Andrea, o tali elementi erano scelti solo dall’architetto e accettati dai parrocchiani principalmente in quanto rispondenti ad esigenze funzionali? [...]2
Domande che sono purtroppo ancora lontane dal ricevere una risposta definitiva, nonostante si speri di aver fornito tramite questo studio almeno delle coordinate con cui orientarsi nell’affrontare la questione. Sembra infatti di aver dimostrato in modo piuttosto convincente che la scuola, o meglio il suo gruppo di testa, disponesse non solo di notevoli mezzi economici ma pure di una certa cultura artistica, che non è da escludersi vantasse anche reminiscenze extra-lombarde, data la certezza documentaria che l’attività professionale di alcuni scolari li abbia condotti ben fuori Milano, a Napoli, sulla via della Francia e forse a Roma, ad esempio. È evidente per chi scrive che quella di Bramante sia una scelta ben consapevole della scuola. Si è ancora lontani, ovviamente, dall’aver individuato il legame concreto che lo abbia condotto a S. Maria presso S. Satiro e diverse ipotesi rimangono aperte: forse rapporti professionali, la raccomandazione di qualche potente mecenate o la partecipazione, per così dire, ad un circolo non di opposizione ma comunque autonomo dalla corte del Moro. Sembra però di avere chiarito quanto la comparsa di Bramante a Milano proprio in questa realtà – non quindi in un grande cantiere ducale o presso la Fabbrica del Duomo, ma in una fabbrica relativamente piccola benché collocata nel pieno centro cittadino – non sia da considerarsi del tutto sorprendente: quella di Bramante, in effetti, non è per nulla la rivelazione improvvisa di un aggiornato architetto straniero, quanto piuttosto il risultato di logiche e scelte ben indirizzate dalla scuola di S. Maria presso S. Satiro. Questa convoca una personalità, Bramante, che risulta sia per la data del 1478 che per il 1482 praticamente sconosciuta – ma che probabilmente non lo era nell’ambiente della pittura, della decorazione, dell’architettura effimera che rappresentava l’orizzonte artistico di certi scolari –, rifiutando inevitabilmente una prassi architettonica e decorativa allora più diffusa, quella che derivava dall’opera di Amadeo. Quando la scuola vorrà, nel 1486, sarà in grado di coinvolgere proprio il ben più noto collega, per un incarico ben circoscritto e preciso, la facciata, richiedendo per la sua opera almeno un parziale controllo dell’architetto “straniero”. Sulle caratteristiche delle architetture di Bramante per la scuola di S. Maria presso S. Satiro si è già lungamente discorso, così come sulle reciproche relazioni esistenti tra le tre e tra di queste e le intenzioni della scuola, ora non più anonima congregazione ma committente dotata di un volto, anzi diversi, quelli dei suoi scolari. Essi costituiscono e si raccolgono in una realtà, quella della scuola, che concretizzava finalmente rapporti tra professioni diverse non altrimenti ufficializzati, ma resi ora ben visibili e rappresentati dalla chiesa di S. Maria presso S. Satiro, proprio in quel quartiere sede delle attività e degli interessi dei confratelli: potrebbe essere questo
Ibid., p. 57.
2
uno dei fili che guidava le intenzioni dei committenti. Non è difficile così immaginare un cittadino milanese del tempo, che pure non conosceva l’Incisione Prevedari e a cui doveva essere interdetto l’accesso alla sacrestia, entrare in una chiesa splendente di luce, rifulgente di oro e di azzurro, arricchita da preziosi paramenti di fili di seta intrecciati all’oro e all’argento: uno spazio che rifletteva, piace pensare, non solo le idee di Bramante ma anche il vivace e raffinato gusto degli artisti del lusso della Milano di fine Quattrocento.