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La sacrestia e la sala della congregazione: alcune ipotes

2 1 La chiesa di Santa Maria presso San Satiro

2.2.3. La sacrestia e la sala della congregazione: alcune ipotes

La testimonianza di Cesariano nel suo commento a Vitruvio102, che assegna indubbiamente l’ideazione della sacrestia a Bramante, rimane uno dei punti cardini di una fabbrica che rivela sempre più i propri caratteri di eccezionalità: è uno dei primi cantieri a impiegare una decorazione in stucco di gesso, il primo caso in Lombardia in cui per i motivi del fregio si ricorre a fonti scultoree antiche piuttosto che a fonti di piccolo formato e, non da ultimo, esibisce transenne di alabastro decorate all’antica, un elemento che a, questa data, potrebbe rappresentare un’eccezionale dichiarazione d’intenti. Si tratta insomma di uno spazio che sembra assumere distintamente l’aspetto di un tempietto all’antica, o almeno quello che Bramante e gli scolari potevano pensare a questa data lo fosse.

Il termine «sacrestia» compare per la prima volta nei documenti nel 1486: il 7 ottobre, quando risulta da un atto notarile che lì si sono riuniti gli scolari, e l’11 novembre, quando assegnando la cappella di S. Dorotea a Nicolò da Gerenzano si ricordano i suoi meriti nell’aver fatto realizzare «[…] nonnulle res notabiles in dicta ecclesia, maxime sacristiam ipsius ecclesie et tabernaculum unum pulchrum[…]» ; così103 , se ben si può comprendere il sostegno di un priore e sindaco della

MALAGUZZI-VALERI, Bramante e Leonardo da Vinci cit, p. 66.

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«[...] la sacrestia del Divo Satiro […] quale architectata fu dal mio perceptore Donato de Urbino cognominato

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Bramante[...]».

ASMI, Notarile 2515, 7 ottobre 1486: «In sacrastia ecclesie gloriosissime Virginis domine S. Marie nuncupate de S.

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Satiro M. p. r. M. convocatis et congregatis dominis priore et scollaribus scolle intimerate Virginis domine S. Marie de S. Satiro […]» (Fondo Sironi); per il documento dell’11 novembre BARONI, Documenti per la storia dell’architettura cit., pp. 118-119 doc. 545.

scuola alla realizzazione del tabernacolo, fulcro visivo della chiesa e cuore della liturgia, più difficile è inquadrare l’interesse per uno spazio, la sacrestia, destinato a pochi, e che però si antepone al tabernacolo nei meriti di da Gerenzano. L’uso del termine, comunque, non è di per sé sufficiente a chiarire le reali funzioni che lo spazio doveva essere chiamato a svolgere, anche perché la stessa interpretazione odierna della parola potrebbe aver assunto sfumature differenti rispetto al significato inizialmente attribuito104; nel caso di S. Maria presso S. Satiro, in particolare, diversi elementi sembrano mettere in dubbio proprio quella che si ritiene la tradizionale destinazione assegnata a una sacrestia: innanzitutto il tema interamente pagano della decorazione, se si escludono i putti musicanti che potrebbero essere un richiamo al libro dei Salmi. La pianta ottagonale a nicchie alternate, poi, non è di certo la scelta tipologica più adatta per un ambiente che dovrebbe ospitare arredi e armadi, in cui conservare, come già scritto, un tesoretto di argenti, libri e ricchissimi paramenti. Se le ridotte dimensioni delle prime due categorie potevano consentire di ovviare in qualche modo al problema, più difficile pensare una soluzione per cui la sala potesse contenere i preziosi ventisette palii, diciannove pianete, quattro piviali e dodici frontali già elencati nell’inventario del 1487 (e che incrementeranno ancora nei cinque anni successivi)105, senza che la presenza di ingombranti armadi nella sala alterasse l’equilibrio compositivo così attentamente costruito. Infine l’articolazione dello spazio su due livelli (anche il primo piano è infatti praticabile) sembra suggerire che la sala non fosse usata, o comunque non solo, per conservare oggetti di uso liturgico ed ex voto.

Palestra avanzava l’ipotesi che la sacrestia fosse usata come elegante sala di raduno del clero per prepararsi alle sacre funzioni; aggiungeva che essa era « […] munita di un pozzo, di una carrucola per sollevare i paramenti e le suppellettili collocati al terzo piano in comodi locali per gli armadi e di un’elegante scala che gira attorno al tamburo»106, quest’ultima ancora esistente. Non può però sfuggire che, dal punto di vista liturgico, l’ingresso degli officianti dalla metà della navata dovesse apparire quanto meno inusuale, pur trattandosi magari di un’imposizione dettata dai vincoli precedentemente accennati; si ricorda, inoltre, che anche la chiesa parrocchiale di S. Satiro era già

Si pensi solo alle dimensioni e alla caratteristiche architettoniche e decorative della Sarestia Vecchia e della Sacrestia

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Nuova di S. Lorenzo o a quella di S. Spirito, opera di Giuliano da Sangallo.

Gli armadi e la chiesa di S. Maria continuarono ad arricchirsi per tutto il Cinquecento: in particolar modo gli ex voto

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argentei sono disposti nel 1521 su quattro tavole, suddivisi secondo le immagini rappresentate, tavole che nell’inventario del 1598 sono addirittura diventate diciannove. Continuano ad aumentare di numero anche i paramenti, mentre da una nota del 1566 si apprende che nella sacrestia si conservavano ventinove sacre reliquie (nel 1721 ne verranno elencate oltre cento); già nel corso della visita pastorale fatta da Federico Borromeo nel 1611 gli arredi erano diminuiti in gran quantità: si erano infatti conservati pochissimi paramenti e pochissimi argenti, né vengono più descritto gli ex voto d’argento (come già aveva fatto Carlo Borromeo). M.A. ZILOCCHI, Il patrimonio di S. Maria:

arredi e oggetti, in Insula Ansperti cit., pp. 163-166.

A. PALESTRA, Riflessioni sulla chiesa di S. Maria presso S. Satiro, «Arte lombarda», 86/87, 1988, p. 61.

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dotata di propri beni, che dovevano aver trovato collocazione in stanze adiacenti il sacello, dunque più prossime al presbiterio, che forse erano ancora esistenti107. Certamente però la sacrestia non fu usata solo, se mai fu usata, per scopi liturgici: tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento all’interno dello spazio denominato «sacrestia», presumibilmente quella bramantesca, si riuniscono più volte i confratelli per rogare alcuni atti notarili108. Altrettanto interessante è che in altri documenti si nomini invece una «salla congregationis»109, una sala capitolare dunque, «sita in

domibus ipsius ecclesie S. Satiri» o, in un caso, descritta più precisamente come «sita in p. r. p. s. Satiri M. iuxta sacrastiam ipsius scolle» . Forse è ipotizzabile una simile destinazione, magari 110

laica, per la sala capitolare e la sacrestia, anche se la duplicità degli spazi sembrerebbe suggerire che essi non adempissero esattamente alle stesse funzioni e che fossero improntati, magari, su precise esigenze della scuola: ad esempio si evince dagli statuti che nella maggior parte delle nomine ed elezioni non si procedesse convocando l’intera congregazione, ma delegando la scelta a piccoli, di volta in volta definiti, gruppi.

Entrambi gli spazi compaiono nei documenti – comprensibilmente, dato il loro legame fisico – dal 1486-1487, dunque nessuna delle due sale doveva essere prevista nel primo progetto per S. Maria presso S. Satiro; anzi si ricorda che nel settembre del 1480 gli scolari si ritrovavano per giurare sugli statuti della congregazione, in un momento cioè di estrema rilevanza, nella casa di Vincenzo Gallina. Sorgono a questo punto anche ulteriori domande legate all’articolazione degli spazi: innanzitutto non è chiaro dove sorgesse la sala capitolare, detta «iuxta sacrastiam», e come vi si accedesse. A meno che non fosse dotata di un ingresso indipendente dall’esterno – e sarebbe comunque stato difficile ricavare in quei pochi metri così densamente costruiti ulteriore spazio, sufficiente per la sala – sia l’accesso dalla chiesa che dalla sacrestia risulterebbero piuttosto problematici da spiegare: si ricordi solo che in, quest’ultimo caso, le ricostruzioni finora proposte

Cfr. nota 11 capitolo 1 per l’inventario del 1476 che elenca i beni contenuti nelle diverse stanze.

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ASMI, Notarile 2515, 7 ottobre 1486: «In sacrastia ecclesie gloriosissime Virginis domine S. Marie nuncupate de S.

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Satiro M. p. r. M. convocatis et congregatis dominis priore et scollaribus scolle intimerate Virginis domine S. Marie de S. Satiro […]»; Notarile 2522, 7 luglio 1490: «[…] actum in sacrestia suprascripte ecclesie»; Notarile 2523, 30 maggio 1491: «[…] actum in sacrestia ecclesie domine S. Marie de Sancto Satiro M.»; Notarile 5543, 29 luglio 1502: «In sacrastia ecclesie domine S. Marie nuncupate S. Satiri p. r. M. convocata et congregata universitate dominorum scolarium dicte scole […]»; Notarile 5001, 2 maggio 1503: «[…] actum in sacrastia dicte ecclesie» (Fondo Sironi).

ASMI, Notarile 3883, 10 febbraio 1487: «[…] Actum in sala congregationis pref. d. prioris et scolarium sita in

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domibus ipsius ecclesie S. Satiri»; Notarile 3883, 12 marzo 1487: «[…] Actum in sala congregationis prefatorum deputatorum sita in domibus ipsius ecclesie domine S. Marie S. Satiri M.»; Notarile 3891, 26 dicembre 1497: «In sala solite congregationis […]»; il già citato documento del 11 novembre 1486 riporta «In sala solita audientie […]» (Fondo Sironi).

ASMI, Notarile 3884, 30 novembre 1488: «In salla congregationis infrascriptorum scolarium et deputatorum ac

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ellectorum venerabilis scolle domine S. Marie nuncupate de S. Satiro M. sita in p. r. p. s. Satiri M. iuxta sacrastiam ipsius scolle […]» (Fondo Sironi).

hanno sempre affermato l’esistenza di un’unica apertura verso la navata di S. Maria, senza che vi sia comunicazione con nessun altro ambiente. La sala doveva avere buone dimensioni per ospitare la congregazione, composta da circa una trentina di persone; nel corso della visita pastorale del 1611 vi è un riferimento a degli edifici della scuola, eppure la descrizione delle adiacenze sembra complicare più che facilitare la lettura: «Aedes reverendi sacristae et custodis extructae sunt super fornices navium lateralium a parte dextera ingressus ecclesiae [...]. Cella vinaria est subtus pavimentum sacristiae. His aedibus coharet ab una parte ecclesia, ab aliis partibus quaedam edificia scolae laicorum locata» . Si sono citate nel passo innanzitutto la stanze del sacrestano e del 111

custode, collocate sopra le volte della navata laterale di destra, dove una stanza, descritta situata sopra la volta di S. Maria, vicino alla sacrestia, esisteva già nel 1486 . Nel 1611 esistevano però 112

anche degli edifici di pertinenza della scuola nei pressi della chiesa; qualche dubbio sorge circa la citazione di una cella vinaria, che ben si adattava alla funzione di luogo pio che S. Maria è chiamata a svolgere dall’inizio del Cinquecento, quando di fatto estingue gli scopi fabbriceriali ; 113

difficilmente essa sarebbe stata di una qualche utilità negli anni Ottanta del Quattrocento, a meno che lo spazio non fosse usato per un altro scopo: ancora nel 1611 la cella si presentava in comunicazione solo con la chiesa, una situazione abbastanza paradossale perché costringeva a transitare con i carichi attraverso il luogo sacro.

Il fatto che degli spazi esistessero sopra la volta e vicino alla sacrestia fin dal 1486 consente di ipotizzare un’alternativa per la collocazione dei beni di sacrestia e magari per un’originaria sala della congregazione; ancora De Pagave testimonia l’esistenza di «[..] diverse abitazioni e luoghi superiori alla chiesa inservienti ad oratori privati a sacerdoti e ad altre persone addette al servizio di S. Satiro» ; egli, inoltre, riferisce anche che le scale a chiocciola «[...] danno comodo accesso alle 114

tribune ornate ne parapetti di marmi intagliati e forati con arte la più fina [...]» , segno che a fine 115

Settecento non si era ancora perduta la corretta informazione sulla consistenza materiale delle transenne della loggia, finora invece ritenute di stucco dipinto.

Il passo è citato anche in SCHOFIELD e SIRONI, Bramante and the problem cit., p. 53 nota 58.

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Un documento del 19 dicembre 1486 si conclude infatti con «Actum in quadam camera sita supra voltam ecclesie

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domine S. Marie S. Sattari prope sacrastiam ipsius ecclesie porte romane». SCHOFIELD e SIRONI, Bramante and the

problem cit., p. 48 doc. 14.

Solo una volta terminata la costruzione della chiesa le offerte sono utilizzate per le elemosine e la scuola si rende

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finalmente esecutrice anche degli oneri e dei legati delle molte eredità e donazioni pervenute; nel 1503, infine, entrerà a far parte ufficialmente dei Luoghi pii elemosinieri, con patente sovrana di Re Luigi XII. A. NOTO, Visconti e Sforza tra

le colonne di Palazzo Archinto: le sedi dei 39 luoghi pii elemosinieri di Milano, Milano, Giuffrè 1980, p. 126.

Il passo è trascritto anche in SCHOFIELD e SIRONI, Bramante and the problem cit.,, p. 53 nota 64.

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Ivi.

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Rimane comunque assolutamente innegabile la netta dicotomia che contraddistingue gli spazi contigui della chiesa e della sua sacrestia – nella scelta delle fonti dei motivi decorativi, nei materiali ed evidentemente nella cromia –, che sembra indicare separazione più che continuità. Si è già accennato al fatto che, tra il primo e il secondo progetto per S. Maria, non sia solo l’architettura della fabbrica a cambiare ma anche la stessa scuola: essa si è nel frattempo meglio definita e strutturata gerarchicamente e, riconosciuta anche ufficialmente, è pronta a darsi una rappresentazione: lo fa probabilmente proprio nella sacrestia, lo spazio meno pubblico della chiesa e per questo particolarmente adatto a rivolgersi principalmente agli scolari. Non è difficile immaginare che la sala, così fortemente caratterizzata dall’aspetto pagano e antico, fosse quindi uno spazio adibito non tanto alla liturgia quanto al governo della scuola, che raccoglieva, come si avrà modo di illustrare, personaggi che certamente potevano apprezzarne la decorazione e i caratteri di eccezionalità. Nonostante siano numerose le questioni ancora aperte sembra chiaro che sia proprio la sacrestia, più ancora che la chiesa, a poter rivelare le ambizioni e le aspirazioni della scuola e degli scolari di S.Maria presso S. Satiro.

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