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CRITICA DELL’OCCIDENTE MODERNO: LA PERDITA DELLA «QUALITÀ»

3.5. Caratteri generali della modernità.

La civiltà occidentale moderna appare nella storia come una vera e propria anomalia.437

Con queste parole René Guénon inizia la stesura del primo capitolo - «Civiltà e pro- gresso» - della sua opera Oriente e Occidente, uscita nel 1924. Il suo intento è quello di fornire ulteriori indicazioni su alcuni tratti specifici della civiltà moderna occiden- tale, in forma generalizzata e semplificata. Infatti, per quanto non sia mai propria- mente corretto racchiudere entro formule e “schemi (troppo) ristretti”438 la descrizione

dei “caratteri particolari di una civiltà determinata”,439 è comunque doveroso tentarne

una descrizione generale prima di procedere con lo sviluppo di analisi specifiche e di approfondimenti settoriali.

La società moderna occidentale

è la sola ad essersi sviluppata in un senso puramente materiale, e questo sviluppo mo- struoso [...] è stato accompagnato, come fatalmente doveva, da una regressione intellet- tuale corrispondente;440

il che significa che la declinazione verso la materialità trova la sua causa originaria e la sua provenienza nella perdita dell’intellettualità. E questo “fatalmente”, ineluttabil- mente. Ma per meglio comprendere le concatenazioni causali, le implicazioni e le conseguenze generali di questo processo si rimanda qui esplicitamente ai capitoli suc- cessivi della presente trattazione. Per il momento sarà sufficiente introdurre a questo tema iniziando da una descrizione generale di quel che è veramente diventato l’Occi- dente moderno.

L’allontanamento dall’intellettualità pura della metafisica orientale ha compor- tato uno spostamento progressivo e inesorabile verso la materialità, e quindi verso il basso, fino a giungere al punto in cui l’uomo non è più in grado di comprendere il si- gnificato stesso della parola «intellettualità», né di rendersi conto della sua effettiva esistenza. Del resto, come si può far capire l’interesse speculativo - si chiede Guénon - a individui che utilizzano l’intelligenza unicamente per agire sulla materia?441 Per-

ché in effetti è proprio questo quello che succede: l’uomo moderno, non attribuendo alcuna importanza alla conoscenza, alla contemplazione e alla speculazione, finisce per concentrarsi soltanto sull’«azione» e sugli «scopi pratici» che possono derivare da certe azioni.442 Si noti come egli non abbia scelto tra diversi elementi fino a far preva-

lere l’azione pratica sulla conoscenza teorica e sulla contemplazione. Si è venuta a formare una situazione in cui l’intero orizzonte di senso sembra esser costituito “sol- tanto” dall’azione, come se niente altro esistesse. Il mondo viene visto come unica-

437 OO, p. 23. 438 OO, p. 30. 439 OO, p. 29.

440 OO, p. 23 (corsivo mio). 441 OO, p. 23.

442 Alcuni storici dell’età contemporanea si sono fortunatamente accorti dell’esistenza di questo «spirito moderno» nello

spiegare e nel valutare i fenomeni, della forte propensione verso spiegazioni meccanicistiche, e della “tendenza a misu- rare i fenomeni e a sostituire analisi quantitative a valutazioni impressionistiche” (R. Bizzocchi: Guida allo studio della

mente racchiuso all’interno dell’orizzonte temporale e pratico, come se null’altro avesse dignità di senso e di esistenza, e come se ogni princìpio superiore e trascen- dente fosse totalmente disconosciuto. Ed è proprio a partire da Cartesio e da Bacone che questo orizzonte di senso si restringe drasticamente e si cristallizza. Del resto non può essere diversamente, in quanto è stato proprio Cartesio a ridurre l’intelligenza alla sola ragione umana e individuale,443 restringendo così non soltanto il campo delle

cose indagabili dall’intelligenza umana, ma anche il campo stesso delle cose ritenute effettivamente esistenti e reali. Ma negare l’esistenza di ogni princìpio trascendente e superiore, e intendere conseguentemente l’intelligenza come riconducibile unicamen- te alla ragione, ha comportato necessariamente da un lato lo sviluppo di tutte quelle posizioni teoriche neganti ogni trascendenza (positivismo, agnosticismo), dall’altro lo sviluppo di quei modelli che vogliono vedere nel sub-razionale quello che dalla sem- plice ragione non può emergere (teorie sentimentalistiche e volontaristiche).444 A que-

ste tendenze moderne Guénon attribuisce la denominazione di “superstizione della ra- gione” e “superstizione della vita”.445 Quel che è effettivamente accaduto è un abbas-

samento del livello di verità e di conoscenza: il razionalismo “abbassa”, per così dire, le verità sovra-razionali riducendole alla sola verità della ragione umana e individua- le. Donde il restringimento dell’orizzonte stesso entro cui viene percepita la realtà, a cui si è accennato poc’anzi. Nel momento in cui ci si è accorti poi che questo tipo di ragione e di intelligenza non riusciva a spiegare alcuni fenomeni, anziché provare a ri-innalzarsi, si è giunti a compiere un ulteriore abbassamento del modo di intendere la verità della ragione umana e individuale. E quindi da un razionalismo incapace di elevarsi al livello delle verità trascendenti e assolute ci si è stabilizzati sul piano delle verità relative, come se esse soltanto costituissero l’insieme delle verità effettivamen- te esistenti; da queste verità relative si è poi scesi ulteriormente con la tendenza con- temporanea a spiegare i fenomeni mediante semplici rappresentazioni delle realtà sensibili. E’ questa la posizione dell’intuizionismo contemporaneo (tra cui spicca la teoria di Bergson) tendente a scambiare l’intuizione vera con l’intuizione infra-psichi- ca. Dal piano delle verità assolute si è quindi scesi al piano delle verità relative, per poi scendere ulteriormente al piano delle rappresentazioni delle cose sensibili. Ma il livello per il quale le verità sono delle semplici rappresentazioni di fenomeni sensibi- li, per quanto basso esso sia, rappresenta pur sempre un piano che lascia ancora sussi- stere «l’idea» di “verità”. L’identificazione effettuata successivamente invece, ad ope- ra del pragmatismo, tra la “verità” e l’“utilità” ricavabile dalle esperienze pratiche, ha finito per distruggere quel poco che restava della «verità» stessa. Ogni posizione mo- derna riconducibile al pragmatismo e all’utilitarismo deve pertanto essere considerata e collocata ai livelli più bassi della scala verticale di conoscenza. Ogni verità degna di questo nome, infatti, per poter sussistere, deve pur sempre appoggiarsi ad un qualche elemento di stabilità. Stabilità che viene necessariamente a mancare proprio in pre- senza del carattere mutevole, transeunte e accessorio tipico di ogni azione umana pra- tica e utilitaria. Più in generale, quindi, il mondo moderno deve essere considerato

443 OO, p. 24. 444 OO, p. 24. 445 OO, p. 25.

fondato non su una verità (stabilità) ma sul suo opposto (incessante mutevolezza): e cioè su di una molteplicità di posizioni continuamente variabili che nulla in realtà hanno a che vedere con la verità effettiva. Ne deriva l’estremo relativismo che carat- terizza l’immenso ginepraio delle morali moderne, la ferrea logica del sistema econo- mico e utilitaristico dell’industrializzazione, la conseguente economia legata al com- mercio, la razionalità soverchiante della tecnica, l’indefinita varietà degli sviluppi di ogni dibattito pubblico, l’attuale inconsistenza dell’attività politica, un mondo sempre più inclinato verso le apparenze piuttosto che verso l’interiorità e l’essenza. Si può constatare in effetti che questo insieme di azioni e di pratiche umane, non solo non ha nulla a che fare con una qualche verità, ma ha bisogno del suo opposto: un eventuale ipotetico ripristino, anche parziale, della verità dei princìpi superiori e trascendenti, comporterebbe la disgregazione stessa del mondo moderno occidentale.446

Ma il ristretto orizzonte di senso, prodottosi nell’epoca moderna, non poteva non comportare, come conseguenza dell’ipertrofia materialistica, la formazione di al- cune illusioni, come l’idea di «civiltà» e l’idea di «progresso».447 Ossia l’idea che

questo mondo moderno, formatosi in realtà solo assai recentemente, costituisca una vera civiltà e un vero progresso rispetto al mondo antico, quando in realtà le cose stanno in modo esattamente opposto. Non è un caso che il termine «materialismo», inteso come credenza nella realtà della materia e, più recentemente, inteso come non- esistenza di nulla che fuoriesca dalla materia stessa, sia stato coniato proprio da Ber- keley nel Settecento,448 ossia in pieno avvio dell’epoca moderna. «Civiltà», «progres-

so», «materialismo», sono tutti termini correlati, quindi, e tali devono continuare ad essere considerati. E a questo insieme di espressioni recentemente formatesi si deve aggiungere anche l’espressione, molto moderna, di «opinione pubblica», intendendo con questa espressione l’opinione media generalmente diffusa a livello di popolazio- ne e che si sarebbe prodotta proprio dall’occultamento di quei princìpi che invece consentirebbero di veder più chiaro. Come si vedrà meglio più oltre, l’opinione pub- blica, seguendo la legge della materia, è qualcosa che può essere gestito con un am- pio margine di manovra, e molto più di quanto si possa pensare. Naturalmente si può sempre obiettare che il potere del linguaggio, con cui si esercita una vera influenza sull’opinione pubblica,449 deve essere rapportato ai contenuti trasmessi dal linguaggio

stesso. Ora, essendo legata la modernità alla legge della materia, e quindi all’instabili- tà e alla mutevolezza, ne deriva che anche i contenuti comunicati mediante il linguag- gio debbono manifestarsi in forme e modalità continuamente variabili e mutevoli. Ma comunicare qualcosa che muta in continuazione, ed esercitare proprio per questo una concreta influenza sull’opinione pubblica, significa manovrare la stessa opinione pubblica, la quale, inevitabilmente, finisce per essere diretta e orientata (anziché esse- re autonoma) ora attorno a questo argomento e ora attorno a quell’altro argomento, transitando senza sosta da una contingenza a un’altra contingenza. Il problema, a que- sto punto, diventa propriamente il fatto che questi fenomeni, di natura contingente e

446 Così si esprime Guénon in proposito: “se tutti capissero che cosa veramente sia il mondo moderno, questo stesso

mondo cesserebbe subito di esistere” (CM, p. 150).

447 OO, p. 26. 448 OO, p. 28.

transitoria, vengono scambiati per realtà effettiva, quando ne sono invece l’esatto op- posto, non avendo essi consistenza reale alcuna. Guénon chiama questo fenomeno “allucinazione collettiva”.450 Ora, proprio i tratti dell’instabilità e della variabilità tipi-

ci di questi fenomeni non permettono, nel contesto della presente analisi, una loro correlazione con il connotato di progresso, come invece sembra fare l’uomo moderno a partire da Bacone e da Pascal in poi.451 Ogni vero progresso, infatti, essendo esso

soltanto un innalzamento, e quindi un avvicinamento ai princìpi trascendenti e meta- fisici (coestensivi ai tratti dell’immutabilità e della permanenza), deve necessaria- mente comportare una riduzione dell’instabilità e della mutevolezza e, più in genera- le, della velocità e della frenesia, assieme ad un recupero dell’elemento qualitativo. Ci si viene a trovare quindi di fronte a un singolare paradosso: quello di credere di vi- vere in una situazione di progresso, quando in realtà si sta vivendo in un vero e pro- prio regresso. Si crede che il progresso sia legato alla estrema mutevolezza del mon- do materiale, quando in realtà è esattamente l’opposto. Nondimeno è questo uno degli aspetti del capovolgimento manifestatosi nel e con il mondo moderno.

Ma si sa anche che Guénon associa a questi tratti generali della modernità an- che la «sentimentalità», la qual cosa, di primo acchito, potrebbe suscitare una certa perplessità. Infatti, a livello di senso comune e di credenza generale, si sarebbe tentati di opporre la sentimentalità alla materialità. Perché invece Guénon sostiene esplicita- mente il loro parallelo e coestensivo sviluppo? La risposta è più semplice di quanto non si creda: mentre la parte superiore dell’intelletto possiede quel carattere sovra- razionale e sovra-individuale tipico della metafisica, la razionalità - frutto della ragio- ne individuale - si trova più in basso e determina quel livello di realtà necessariamen- te dipendente dai limiti della ragione umana individuale (come del resto è stato am- piamente chiarito da Kant).452 Vi è tuttavia un livello ancora più basso, situato

nell’infra-psichico, dove risiede la dimensione infra-razionale, legata alla materia molto più pesantemente di quanto non accada sul piano della razionalità. Tutto ciò che è «volontà di vita» (Schopenhauer), «volontà di potenza» (Nietzsche), «incon- scio» (Freud), è molto più strettamente legato alla materia di quanto non accada sul piano fenomenico. Ora, si comprende bene che la sentimentalità non può essere un fatto del pensiero: essa, trovandosi agli antipodi rispetto alla parte superiore dell’intelletto, deve necessariamente essere legata alla materia, e in quanto tale deve quindi seguirne le leggi (instabilità, brevità, mutevolezza, intensità, violenza...). I sen- timenti e il pahtos, di per sé, non sono qualcosa da elogiare incondizionatamente, a meno che non vengano ricondotti a dei princìpi superiori, i quali solamente, in effetti, possono conferire stabilità, ordine e concretezza alle disposizioni sentimentali e psi- cologiche dei singoli individui. Anche se non è il caso di estendere questa riflessione oltre i binari teorici entro cui è confinata, non sarà male richiamare qui per un istante l’estrema precarietà, volubilità e instabilità delle relazioni umane nell’epoca moderna occidentale, dove assai evidente appare il regresso compiuto nella «qualità» dei rap- porti umani, siano essi lavorativi, amicali e privati. Ancora una volta è qui necessario

450 OO, p. 31. 451 OO, p. 31.

ribadire che la società moderna opera una divisione molto più di quanto non unisca. E l’individuo stesso, mancando di princìpi superiori, finisce per esserne molto più vitti- ma di quanto egli stesso non creda, pagandone poi le conseguenze in termini di disa- gio individuale e sociale, essendo oramai le forze separatrici della materia molto più forti di quel poco che resta dell’intellettualità. Non ci s’illuda quindi:

dove l’intellettualità è ridotta al suo minimo è del tutto naturale che la sentimentalità prenda il sopravvento.453

E quando la sentimentalità prende il sopravvento in uno spazio vuoto di intellettuali- tà, e quindi di princìpi superiori, non si può mai esser sicuri di ciò che può accadere. Senza richiamare esempi estremi, come le guerre, si faccia per un momento mente lo- cale sui recenti fatti di cronaca, i quali sembrano attestare un aumento della violenza proprio all’interno dei nuclei familiari, anziché fuori di essi come ci si aspetterebbe. L’aumento di patologie psichiatriche e l’aumento del tasso statistico di suicidi com- pleta il quadro generale di un insieme di fenomeni che, in estrema sintesi, trovano la sua vera spiegazione nella mancanza di princìpi superiori, dei quali l’individuo cont8inua a sentirne pur sempre il bisogno, anche se sembra non esserne più consape- vole.

Ma oltre alla sentimentalità vi è anche il «moralismo» ad essere inserito nel quadro generale degli elementi legati alla materialità. E come per la sentimentalità, così anche per il moralismo si possono apportare argomentazioni del tutto analoghe. Guénon non sente il bisogno di richiamare Nietzsche, ma, in effetti, non sarà male ri- cordare che le morali dell’uomo (e in particolare dell’uomo moderno), non fanno che provenire dalla sua parte bassa, ossia dall’istinto, dalla volontà di potenza, e, quindi, ancora una volta, dalla materia. Esse servono per dare giustificazione e senso alle azioni, anche se questa giustificazione e questo senso conservano una natura comple- tamente illusoria. Ad ogni modo, se le azioni dell’uomo moderno sono mutevoli, fre- quenti e instabili, parimenti anche le morali (che devono accompagnare necessaria- mente ogni azione) devono necessariamente essere mutevoli, frequenti e instabili. La mutevolezza delle morali, la tendenza a giustificare anche i fatti più strani, la tenden- za a giustificare in generale la condotta dell’uomo, anche quando essa appare assai deplorevole e manifestamente contraddittoria, è cosa che si può constatare continua- mente nel mondo moderno, la cui regola costante sembra proprio essere questa gran confusione.

Ci si potrebbe chiedere, a questo punto, da dove provenga l’idea stessa di «pro- gresso». Anche in questo caso la risposta è più semplice di quel che sembra: se a do- minare è la ragione umana individuale, ne deriva che anche l’idea stessa di «progres- so», essendo essa una connotazione di valore, deve essere generata da questa stessa morale individuale. Di conseguenza ogni individuo

chiamerà «progresso» quel che è in conformità con le sue proprie disposizioni, e, in de- finitiva, non si può dar ragione più all’uno che all’altro.454

453 OO, p. 38. 454 OO, p. 40.

Donde l’estremo relativismo che caratterizza l’epoca moderna occidentale in ogni ambito, dove ognuno si sente in diritto di dir la propria su qualsiasi argomento, anche e soprattutto in campi e settori non di propria competenza. E questo nonostante che l’evidenza di alcuni fatti specifici - come per esempio le guerre - potrebbero indurre a riflettere diversamente.

Oltre all’estremo bisogno di proselitismo e di propaganda in genere, come già evidenziato a proposito della scienza moderna, vi è da notare che l’attrazione dell’uomo moderno occidentale per gli apparati della tecnica corrisponde specular- mente a quell’impressione di “profonda repulsione”455 che invece prova l’Orientale

nei confronti dei macchinari meccanici. Il fenomeno non va sottovalutato, e non sol- tanto per le conseguenze specifiche della razionalità moderna che configura ogni in- venzione tecnica,456 ma anche per la massiccia presenza del «metallo» nei macchinari

moderni, avente esso peso e significato particolari nell’Occidente moderno, e il cui significato verrà illustrato più oltre a proposito dell’incremento dell’elemento metal- lurgico in età moderna come aspetto particolare del più generale processo di «solidifi- cazione» del mondo.

Va da sé che se il fenomeno della tecnica deve essere incluso nell’insieme degli aspetti specifici della modernità, la scienza non lo deve essere da meno.457 Del resto si

è già avuto modo di affrontare le peculiarità dello sviluppo delle conoscenze scientifi- che in epoca moderna nell’apposito capitolo sui rapporti tra metafisica e scienze, a cui qui si rimanda.

In maniera del tutto analoga anche la «superstizione della vita» deve essere ascritta propriamente all’insieme dei tratti specifici della modernità.458 Con questa

espressione Guénon intende una serie di fenomeni, che verranno presi in esame sin- golarmente nei successivi capitoli, che si estendono in svariati campi e in svariati set- tori della vita. La complessità e la varietà di questi aspetti rende improbabile una cor- retta e chiara trattazione degli stessi nel presente capitolo. Per tali ragioni verranno qui soltanto accennate alcune linee generali su tali questioni, suscettibili di essere ri- prese e sviluppate nei capitoli successivi.

Uno di questi aspetti è l’aumento della velocità, le cui ragioni e cause saranno chiarite più oltre, e dove, del resto, si inizierà ad entrare un po’ più nel vivo e nel cuo- re centrale della presente trattazione. Per ora sarà sufficiente accennare, ancora una volta, al fatto che il progressivo avvicinamento alla materialità non può che compor- tare sempre e necessariamente un avvicinamento alle forme e alla mutevolezza delle stesse, essendo la materia sempre correlata con la molteplicità (divisione) e con l’antagonismo (conflitto) che questa molteplicità comporta. Donde il bisogno di cam- biamento che caratterizza l’uomo moderno, la sua crescente tendenza a muoversi in

455 OO, p. 44.

456 Si veda a tal proposito l’importante contributo di U. Galimberti: Psiche e Techne - L’uomo nell’età della tecnica, Fel-

trinelli, Milano, 1999.

457 Si noti come Massimo Fini faccia esplicito riferimento al pericolo che la scienza comporta in epoca moderna (M.

Fini: Il conformista: Il più grave pericolo per la civiltà non è l’ISIS ma la Scienza, in : Il Gazzettino - Venerdì 10 otto- bre 2014, p. 29).

continuazione per incrementare e favorire questa stessa mutevolezza. Si noti come il «cambiamento» sia effettivamente penetrato un po’ ovunque, perfino in alcune posi- zioni teoriche come quelle degli evoluzionisti che intendono Dio come uno “scaturire continuo”.459 A rifletterci un istante si comprende qui il vero significato di «azione»:

essa è variazione, e quindi è per definizione legata ad ogni mutevolezza, ed essendo la mutevolezza la tendenza dominante del mondo moderno ne risulta che l’uomo mo- derno è spinto all’azione in forza della mutevolezza che essa produce. Ne deriva che, nonostante l’uomo moderno tenda comunque a configurarsi un fine formale e legitti- mo a giustificazione delle proprie azioni, la vera struttura fondante e causalistica delle azioni umane del mondo moderno è il bisogno della mutevolezza; il quale investe ne- cessariamente anche la morale, lo scientismo, le forme degenerate delle religioni mo- derne, alcune teorie come il pragmatismo, il mentalismo, il nominalismo, l’evoluzio- nismo, certe teorie sociologiche come il materialismo storico, l’opinione pubblica moderna (la cui essenza non può nemmeno essere immaginata come una costante), e, più in generale, un certo stile di vita che comporti movimento e cambiamento, mute- volezza, agitazione, accelerazione (moda, tecnica, movimenti e tendenze sociali tipi- che della modernità).

Questa stessa tendenza al movimento e al cambiamento deve essere correlata a