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CRITICA DELL’OCCIDENTE MODERNO: LA PERDITA DELLA «QUALITÀ»

3.8. Tempo e accelerazione.

Dopo lo spazio è necessario prendere in esame il «tempo». Così come lo spazio è una delle condizioni di manifestazione dell’esistenza corporea, così il tempo è un’altra di queste condizioni affinché la manifestazione corporea possa realmente sussistere.566 Ne consegue che anche il tempo non può essere inteso come separato dal

mondo corporeo, essendo esso invece coestensivo ad esso. Così come è apparsa as- surda l’idea di uno spazio che trascenda il mondo corporeo, così deve apparire altret- tanto assurda l’idea di un tempo separato dall’esistenza dei corpi spaziali e dal loro movimento. In effetti, così come nessun tipo di spazio deve essere immaginato come totalmente privo di connotazioni qualitative, così anche il tempo non deve mai essere immaginato come privo di elementi qualitativi: anche il tempo, infatti, come lo spa- zio, sarà sempre un tempo «qualificato». Ma prima di giungere a spiegare le ragioni di ciò, è bene chiarire subito che così come è assurdo chiedersi “se il mondo è infinito o limitato nello spazio”,567 altrettanto assurda deve apparire l’analoga domanda “se il

mondo è eterno, o se è cominciato nel tempo”.568 Il tempo, essendo una delle condi-

zioni della manifestazione corporea, deve essere necessariamente iniziato «con» que- sta stessa manifestazione corporea, e, pertanto, con essa dovrà finire: il tempo conser- va i caratteri della contingenza e della finitezza di questo stesso mondo:

il mondo non è eterno perché è contingente, o, in altri termini, esso ha un inizio come avrà una fine perché non è il princìpio di se stesso, o perché non contiene questo princì- pio che gli è tuttavia necessariamente trascendente.569

Anche il tempo, dunque, sarà sempre un tempo «qualificato». Anzi:

Il tempo appare ancor più lontano dello spazio dalla quantità pura:570

Mentre infatti lo spazio può essere sempre misurato in modo diretto (sebbene, come si è visto, nessuna misura spaziale sarà mai esatta), il tempo non può mai essere misu- rato «direttamente», e per poterlo misurare, ossia per poterlo «quantificare», è sempre necessario ricondurlo allo spazio.571 Ma questa operazione è sempre una misurazione

indiretta del tempo, in quanto ciò che si va a misurare non è mai il tempo in se stesso

(durata), ma è sempre lo spazio percorso da un corpo in moto regolare uniforme all’interno di uno spazio indefinito. E tanto più la regolarità del moto del corpo nello spazio è maggiore e tanto più il calcolo del tempo sarà preciso. Infatti, data la relazio- ne v = s/t, una volta che sia noto lo spazio percorso da un corpo in moto regolare di cui si conosce la sua legge - ossia la sua velocità - è possibile calcolare il tempo im- piegato a percorrere un certo spazio, ricavandolo dalla semplice equazione di primo grado di cui sopra. In definitiva non vi sono altri mezzi per misurare il tempo, e Gué-

566 RQ, p. 41. 567 RQ, p. 41. 568 RQ, p. 41. 569 RQ, p. 41. 570 RQ, p. 43. 571 RQ, p. 43.

non lo riconosce benissimo in diversi punti dei suoi scritti,572 e in special modo quan-

do afferma che

Il tempo sarà dunque reso misurabile solo in quanto si esprimerà in funzione di una va- riabile divisibile573

la quale potrà essere soltanto lo «spazio». A questa constatazione si può solo aggiun- gere che è possibile aumentare la precisione dell’operazione di misura ricercando una maggiore regolarità di movimento di un corpo in uno spazio,574 ma in nessun modo è

possibile trovare un altro sistema per misurare il tempo.575 Ed essendo che in epoca

moderna si tende a misurare ogni cosa, ed essendo la possibilità stessa dell’operazio- ne di misura possibile soltanto mediante la trasformazione in spazio della grandezza che si intende misurare, ne deriva che anche la grandezza «tempo», per poter essere misurata, ha dovuto essere tradotta in spazio, determinando un’idea di tempo diversa da quella autentica e originaria. Ma è bene ricordare che questo modo di intendere il tempo, molto moderno, implica anche una trasformazione dell’idea originaria dello spazio stesso, che a sua volta viene inteso, per così dire, come uno spazio utilizzato per rappresentare il tempo: il movimento del corpo nello spazio preso in considera- zione per effettuare la misura dovrà allora essere inteso

come una rappresentazione spaziale del tempo.576

E questo in forza della legge di corrispondenza che lega lo spazio e il tempo, e che permette di esprimere il tempo in funzione dello spazio.

Ma è da notare che sono state queste stesse operazioni di misura del tempo che hanno contribuito ad eclissarne la vera essenza, ingenerando confusioni di ogni gene- re. Così, ad esempio, si è diffusa la concezione aristotelica del tempo, che tanto ha fatto discutere: “il tempo è il numero del movimento secondo il prima e il dopo”.577

572 RQ, p. 43. 573 DEM, p. 161.

574 È da notare che mentre fino a pochissimo tempo fa gli strumenti di misura del tempo più precisi erano gli orologi

atomici al cesio, recentissimamente sono stati costruiti e collaudati orologi atomici allo stronzio talmente precisi da compiere un errore di misura massimo di un secondo su cinque miliardi di anni (si vedano al riguardo i due seguenti siti:

http://www.wired.it/scienza/lab/2014/01/23/orologio-atomico-preciso-mondo/ http://www.nextme.it/tecnologia/invenzioni/7040-orologio-atomico-preciso).

575 Vorrei far notare che il problema della misurabilità del tempo è in qualche modo legato alla percepibilità del tempo

stesso. Guénon, infatti, rintraccia nell’udito il senso che più degli altri riesce a indurre nell’apparato psichico dell’uomo la percezione del tempo. E questo perché le vibrazioni sonore, essendo variazioni regolari di pressione dell’aria in un determinato spazio, vengono percepite dal sistema sensoriale uditivo come movimento regolare di una massa d’aria nel- lo spazio, e contribuiscono pertanto alla genesi della percezione stessa del tempo (DEM, p. 162). A partire da questa constatazione formulata da Guénon, mi sentirei di avanzare la tesi secondo cui le persone prive di udito dalla nascita do- vrebbero essere prive della capacità di percepire il tempo; così come le persone prive della vista dalla nascita dovrebbe - ro essere prive della capacità di percepire lo spazio (sebbene venga ugualmente percepito, in misura minore, per merito del senso del tatto). Allo stato attuale delle cose, però, non disponendo di alcuna fonte specifica in merito, non sono in grado di convalidare o di smentire queste ipotesi da me qui avanzate.

576 DEM, p. 162 (corsivo mio).

577 Aristotele: Fisica; IV, 11, 219b, Bompiani, Milano, 2011, p. 389. Si veda anche: Luigi Ruggiu: Tempo della fisica e

tempo dell’uomo - Parmenide Aristotele Agostino, Cafoscarina, Venezia, 2007, p. 71. Ed anche: Ilya Prigogine: La na- scita del tempo - Le domande fondamentali sulla scienza dei nostri giorni, Bompiani, Milano, 1991, p. 37 e p. 69.

Stando a questa definizione, da un punto di vista rigorosamente letterale, se ne do- vrebbe dedurre che il tempo dovrebbe essere un qualcosa composto un po’ dal movi- mento, un po’ dallo spazio (entro cui si manifesta il movimento), un po’ dalla succes- sione (numero) e un po’ dall’anima di un individuo in grado di cogliere questa stessa successione. L’implicazione conseguente è che in mancanza anche di uno solo di que- sti elementi il tempo non potrebbe più esistere; per esempio, in mancanza dell’anima di un individuo in grado di cogliere la successione degli eventi il tempo non dovrebbe più esistere. Ora, da quanto si è visto, il tempo è una delle condizioni della manifesta- zione corporea, e quindi esso deve esistere in questo universo a prescindere dall’esi- stenza di un’anima in grado di cogliere le successioni di eventi. Il tempo deve esistere per il solo fatto che esiste il corporeo, in quanto esso è condizione dell’esistenza di questo.

Ma la questione sembra a me ancor più complessa: la concezione aristotelica di tempo riflette due distinti e opposti aspetti. Da un lato la definizione aristotelica della temporalità riflette certamente una concezione già moderna di tempo: quella del tem- po spazializzato (e che tende conseguentemente ad eclissare la concezione del tempo qualificato). Dall’altro lato essa riflette però anche l’intrinseca unità di spazio e di tempo, come ben riconosce Luigi Ruggiu:

è a partire dall’ente che diviene e nel processo del divenire dell’ente, che viene per così dire “tracciata” la dimensione dello spazio e del tempo. Questo significa che spazio e tempo non esistono separati, e quindi neppure possono precedere ontologicamente il di- venire.578

Il che è in perfetto accordo con quanto già appurato in questo studio. Tuttavia, è bene ribadirlo, la concezione aristotelica del tempo non ne riconosce il versante qualitati- vo, ed è proprio per questo che ha ingenerato innumerevoli confusioni e discussioni. La mentalità stessa di Aristotele, del resto, tendente a sistematizzare e a classificare ogni cosa entro confini e definizioni precise, ha generato a priori una esclusione dal pensiero del modo di intendere il tempo in senso qualitativo, sebbene abbia anche comportato una sistematizzazione di tutti gli elementi che ordinano il tempo in senso quantitativo.579 Del resto, non va nemmeno dimenticato che l’epoca in cui è vissuto

Aristotele è pur sempre un’epoca già ampiamente inscritta nell’ultimo ciclo cosmico: l’età del ferro, a sua volta già fortemente contrassegnata dall’elemento quantitativo e materiale. Il che significa che la stessa concezione aristotelica del tempo è frutto di quell’epoca in cui è emersa questa concezione, e ciò non fa che confermare una volta di più la deduzione secondo cui sono le grandi epoche a determinare la connotazione degli eventi e il modo di percepirli, e non il contrario.

578 L. Ruggiu: Tempo della fisica e tempo dell’uomo - Parmenide Aristotele Agostino, Cafoscarina, Venezia, 2007, p. 88. 579 E’ bene ricordare però che anche Aristotele manifesta perplessità e incertezze sulla natura effettiva del tempo, specie

quando afferma: “Che cos’è il tempo e qual è la sua natura, inoltre, non è per nulla chiaro”, analogamente a quanto ha fatto Agostino: “Che cos’è dunque il tempo? Se nessuno me lo chiede lo so; se voglio spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so” (L. Ruggiu: Tempo della fisica e tempo dell’uomo - Parmenide Aristotele Agostino, Cafoscarina, Venezia, 2007, p. 234, nota 12 a pié di pagina).

Ma dopo questa parentesi è necessario ritornare ad indagare meglio le ragioni che costringono ad intendere il tempo in modo molto più qualitativo di quanto non possa sembrare a prima vista. C’è almeno un’altra ragione infatti per cui il tempo deve essere inteso come maggiormente connotato in senso qualitativo rispetto allo spazio: mentre i fenomeni di ordine corporeo si situano di diritto sia nello spazio che nel tempo, i fenomeni di ordine mentale (studiati dalla moderna psicologia) si situano nel tempo ma non nello spazio, e pertanto devono essere intesi come appartenenti alla «manifestazione sottile», ossia più prossimi all’essenza (al qualitativo) di quanto non sia possibile per il corporeo. Ora, nonostante la mancanza di «estensione» dei feno- meni mentali, questi sono egualmente soggetti al tempo:580 è come se il tempo “riu-

scisse a penetrare” anche nella manifestazione sottile, oltre che nella spazialità del corporeo. Ed è proprio questa constatazione che consente di interpretare il fattore tempo in modo più qualitativo di quanto non lo sia lo spazio stesso. Così si esprime Guénon:

i fenomeni prettamente corporei sono i soli a situarsi altrettanto bene nello spazio quan- to nel tempo; i fenomeni di ordine mentale, quelli studiati dalla «psicologia» nel senso ordinario della parola, non hanno alcun carattere spaziale, ma, per contro, si svolgono ugualmente nel tempo; orbene, il mentale, appartenendo alla manifestazione sottile, è necessariamente, nell’ambito individuale, più prossimo all’essenza del corporeo; se la natura del tempo è suscettibile di una tale estensione e di condizionare le stesse manife- stazioni mentali, è dunque perché questa natura dev’essere più qualitativa ancora di quella dello spazio.581

Ne deriva che per «misurare» i fenomeni psicologici è necessario trasformare questi elementi mentali in elementi spaziali (come, del resto, per misurare qualsiasi altro fe- nomeno è necessario servirsi dello «spazio»), che in effetti è ciò che fa la psicologia moderna a partire dal primo laboratorio psicologico di Wilhelm Wundt inaugurato a Lipsia nel 1875.582 Nulla da dire sulla legittimità e sull’utilità pratica di queste trasfor-

mazioni; soltanto non si deve mai dimenticare che ogni trasformazione comporta sempre cambiamenti e perdite.583 Inoltre, ai fini della presente trattazione, diventa as-

sai rilevante il fatto che, nell’epoca moderna, un numero sempre crescente di elemen- ti qualitativi vengono trasformati in elementi quantitativi. E ogni operazione di misu- ra, necessitando di questa trasformazione, deve essere inclusa di diritto nell’insieme delle tendenze fondamentali del nostro tempo: nell’epoca moderna si tende a «misu- rare» ogni cosa, ossia a tradurre in numero ogni tipo di fenomeno.

580 RQ, p. 43. 581 RQ, p. 43.

582 A. Bianchi-P. Di Giovanni: Psiche e società, Paravia, Torino, 1997 - Cap. 1: La psicologia - Le origini, pp. 13-15. 583 Guénon riconosce inoltre, e in modo assai esplicito, che la psicologia e la psicofisiologia non osservano e non misu -

rano quantitativamente dei fenomeni mentali (in realtà inaccessibili), ma soltanto alcune concomitante corporee e reatti- ve correlate con determinati stati mentali che sono dunque solo presunti (RQ, p. 43). Si noti dunque che la psicologia moderna, in realtà, è assai lontana dall’osservare e dal comprendere realmente determinati e specifici stati mentali: se ogni scienza è necessariamente approssimata (e in special modo le scienze moderne), la psicologia lo è ancor di più. Non rappresenta certo un caso il fatto che la psicologia, intesa come scienza empirica che utilizza variabili computabili, sia nata nell’epoca moderna, a sua volta già contrassegnata da una forte tendenza alla materializzazione.

Si ponga ora la massima attenzione al fatto che se il tempo e lo spazio sono sempre in un certo grado qualificati, ne deriva che

il tempo realizzato contiene sempre avvenimenti, così come lo spazio realizzato contiene sempre corpi.584

E una volta confermata l’esistenza di tratti qualitativi attribuibili sia allo spazio che al tempo, (ed anzi il tempo è qualificato in misura ancor maggiore rispetto allo spazio), è opportuno chiarire quali debbono essere i tratti qualitativi del tempo. Se ogni spazio si differenzia qualitativamente per le diverse porzioni di spazio occupato dai corpi orientati, ogni tempo (ogni epoca), del pari, si differenzierà per i diversi avvenimenti che caratterizzano quella determinata epoca,585 ossia per i tratti qualitativi che con-

traddistinguono quei determinati avvenimenti. Ne deriva che anche nel caso di due epoche «quantitativamente» uguali, esse non potranno mai essere considerate equiva- lenti a causa della differenza che presentano dal punto di vista degli avvenimenti. E rappresentando gli avvenimenti il versante qualitativo del tempo, ne deriva che ogni differenza di avvenimenti riflette la differenza qualitativa del tempo, e, per converso, ogni differenza qualitativa del tempo riflette la differenza qualitativa degli avveni- menti. Ecco perché è possibile parlare di “tratti caratterizzanti e distintivi di una de- terminata epoca rispetto ad un’altra”.586 Ma attenzione: così come è sbagliata l’idea

secondo cui esiste uno spazio vuoto che viene riempito da corpi che vi introducono elementi qualitativi (in realtà, come si è visto, è lo spazio stesso che è sempre in di- versi gradi qualificato); così, allo stesso modo, è sempre un errore parlare di diversi avvenimenti che introducono elementi qualitativi nel tempo. In realtà è il tempo stes- so che è sempre in diversi gradi qualificato. Ma dire questo significa dire che è la stessa determinazione qualitativa degli avvenimenti che proviene dal versante qualita- tivo del tempo (e non il contrario). E se il tempo è qualificato secondo un’indefinità di gradi, anche gli avvenimenti saranno caratterizzati da un’indefinità di differenze qualitative derivanti dal grado di qualificazione del tempo in cui sono inseriti questi medesimi avvenimenti. Questa determinazione è della massima importanza per il pre- sente studio, in quanto consente di stabilire con maggiore chiarezza l’origine della ti- pologia di avvenimenti dell’epoca attuale, e quindi la sua connessione causale con l’attuale ciclo cosmico, denominato Kali-Yuga. Ma c’è un’altra conseguenza: se non esiste uno spazio vuoto e separato dai corpi che possa contenere un qualsiasi corpo, ne deriva che

come un corpo non può essere situato indifferentemente in un luogo qualsiasi, così un avvenimento non può prodursi indifferentemente in qualsiasi epoca;587

Il che significa non soltanto che in certe epoche determinati avvenimenti non hanno la possibilità di manifestarsi (non possono accadere), ma significa anche che in deter-

584 RQ, p. 44 (corsivi miei). 585 RQ, p. 44.

586 RQ, p. 44. 587 RQ, pp. 44-45.

minate epoche debbono invece necessariamente accadere determinati tipi di eventi (non possono non accadere). Si rifletta ora sul fatto che mentre un corpo può variare posizione all’interno di uno spazio a causa del movimento, un avvenimento è «inca- stonato» in un preciso segmento del tempo senza che si possa modificare la posizione temporale entro cui si sviluppa e si manifesta quel medesimo evento (si può solo mo- dificare parzialmente l’evento stesso, mentre questo si dispiega, producendo in tal modo una conseguente parziale modificazione del lato qualitativo del tempo corri- spondente all’evento stesso). Ma dire che non è mai possibile modificare la posizione temporale entro cui accade un evento significa attribuire a un determinato avveni- mento una dipendenza dal tempo molto più stretta di quanto non lo sia la dipendenza della posizione di un corpo dallo spazio. La constatazione di questa stretta dipenden- za rende ragione una volta di più del carattere maggiormente qualitativo del tempo ri- spetto allo spazio.588 Ma se il tempo è sempre in un certo grado qualificato, la rappre-

sentazione rettilinea che se ne fa l’uomo moderno deve necessariamente essere errata, rappresentando essa una semplificazione impropria al pari di molte altre semplifica- zioni operate in epoca moderna.589 In effetti, per quanto sia difficile immaginarlo, il

tempo non può mai essere rettilineo, in quanto la regolarità della manifestazione retti- linea rievocherebbe l’idea di tempo regolare, uniforme, separato e per nulla qualifica- to. Ma se si è compreso che ogni tempo è sempre in una qualche misura qualificato, allora la rappresentazione rettilinea del tempo deve essere definitivamente abbando- nata e considerata fondamentalmente errata:590

La vera rappresentazione del tempo è quella fornita dalla concezione tradizionale dei ci- cli, concezione che, beninteso, è essenzialmente quella di un tempo «qualificato»;591

ma dire che la vera rappresentazione del tempo è quella fornita dalla dottrina dei cicli cosmici significa dire che

in realtà il tempo è «ciclico» e tale carattere si ritrova fin nelle sue più piccole suddivi- sioni;592

Ma la dottrina dei cicli cosmici - già esaminata in questo studio - pone in evidenza non soltanto il carattere qualitativo del tempo, ma anche l’ineludibile corrispondenza fra il tempo e lo spazio, o meglio, per essere più esatti, fra il tempo qualificato e lo spazio qualificato: se le determinazioni qualitative dello spazio risiedono nelle dire- zioni,

la rappresentazione ciclica stabilisce appunto una corrispondenza fra le fasi di un ciclo temporale e le direzioni dello spazio;593

588 RQ, p. 45. 589 RQ, p. 45. 590 GT, p. 177. 591 RQ, p. 45. 592 GT, p. 177. 593 RQ, p. 45.

E a riprova di questo Guénon riporta l’esempio del ciclo annuale, che nel simbolismo tradizionale ha sempre svolto una funzione fondamentale: ebbene, le quattro stagioni del ciclo annuale sono poste in corrispondenza con i quattro punti cardinali.594 A que-

sta considerazione si può aggiungere che da questa stessa corrispondenza spazio-tem- po deriva anche, tra l’altro, la denominazione moderna di «Occidente-Ovest», che si- gnifica «Tramonto-Fine», ossia la fase attuale del ciclo entro cui è collocata l’epoca moderna.

Ma la corrispondenza tra lo spazio e il tempo determina anche un altro impor- tante aspetto, e che dovrà essere adeguatamente esaminato: quello della «velocità». Come si è visto nel capitolo dedicato alla dottrina dei cicli cosmici, i quattro cicli dell’intero Manvantara si susseguono secondo una durata progressivamente decre- scente. Ne deriva che

serie di avvenimenti tra loro paragonabili non si compiono in durate quantitativamente uguali;595

e infatti la «durata» di ognuno dei quattro cicli diminuisce (si contrae) progressiva- mente nella misura in cui si passa da un determinato ciclo al ciclo successivo; dal che se ne deduce che le serie di avvenimenti tra loro paragonabili debbono compiersi in durate quantitativamente decrescenti, ossia della durata sempre più breve. Donde il