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Nel momento stesso in cui si consegue la conoscenza metafisica, si effettua ne- cessariamente anche la sua realizzazione.107 In altri termini, nel momento in cui si

raggiunge il Princìpio supremo della conoscenza, viene immediatamente a cessare ogni distinzione tra conoscenza e azione, tra reale e possibile,108 tra soggetto cono-

scente e oggetto conosciuto, che in questo caso giungono ad identificarsi completa- mente. In questa situazione viene a cessare ogni dualità,109 essendo questa necessaria-

mente superata dall’unitarietà del Princìpio superiore.110 Non solo: ma l’individuo

«realizzato» - in senso metafisico - che da Guénon viene talvolta denominato «uomo vero», è in realtà identificato con l’intera «Umanità», avendo esso

realizzato integralmente la natura umana in tutte le sue possibilità.111

Ma realizzare la natura umana in tutte le sue possibilità significa uscire completa-

mente da ogni dimensione di tipo individuale: la realizzazione suprema implica la

perdita totale di ogni senso di individualità, sentendosi il realizzato connesso con l’intero universo, anzi con la totalità delle manifestazioni possibili. Ecco perché non ha senso parlare di «esperienza metafisica»,112 essendo ogni esperienza soltanto indi-

viduale. L’espressione «esperienza metafisica» diventa quindi un non-senso. La meta- fisica è totale identificazione soggetto-oggetto, quindi unitarietà; l’esperienza, invece, essendo processuale - e quindi temporale - lascia sempre sussistere la dualità sog- getto-oggetto. Mentre l’esperienza è movimento, la metafisica è contemplazione. Di conseguenza non è possibile passare attraverso un’esperienza metafisica per poi ritor- nare ad un livello di conoscenza ordinaria e temporale (questa è talvolta l’esperienza del mistico, il quale può accidentalmente vivere un’esperienza che solo successiva- mente definirà “mistica”, e che comunque, per quanto elevata, non potrà mai essere totalmente metafisica). La conoscenza suprema, come verrà ribadito più oltre, una volta raggiunta costituisce una acquisizione permanente; e ciò in virtù dei tratti di sta- bilità e di a-temporalità della sua natura. Ogni esperienza, invece, avendo carattere processuale, e dispiegandosi esclusivamente all’interno della dimensione temporale, non può che rimanere irrimediabilmente vincolata alla transitorietà di ogni contingen- za. Questo non significa che l’esperienza non comporti una reale acquisizione di co- noscenza; solo che questa conoscenza deve necessariamente avere un carattere per così dire parziale e incompleto, essendo parziale e incompleta la stessa identificazio- ne tra soggetto e oggetto che ogni esperienza comporta.

107 INT, pp. 119-123. 108 SC, p. 32.

109 Del resto Guénon identifica la Verità Suprema proprio come “cessazione della dualità” (PDV1, p. 241), donde la sua

incomunicabilità. Ogni rappresentazione esteriore invece lascia sempre in qualche modo sussistere la dualità soggetto- oggetto, e, in quanto tale, consente una conoscenza e una spiegazione soltanto parziale delle cose (SME, p. 81, nota 2 a pié di pagina).

110 SC, Cap. 7: “La risoluzione delle opposizioni”, pp. 51-60. 111 GT, p. 84, nota 6 a pié di pagina (corsivo mio).

Tutta la Scolastica, fino a Kant, aveva posto al centro del processo di conoscen- za unicamente l’oggetto e l’essere, ignorando completamente il soggetto e la parte preponderante che questo riveste in ogni processo conoscitivo. Solo in epoca illumi- nistica, come è noto, si è iniziato a comprendere l’imprescindibile rilevanza del sog- getto in ogni processo conoscitivo: ogni conoscenza infatti è frutto di una parziale unione di soggetto che conosce e di oggetto da conoscere. E questo in virtù del fatto che l’apparato conoscitivo dell’individuo è rappresentato dai suoi sensi e dal suo in- telletto, con i rispettivi limiti. Ebbene, sono proprio questi sensi e questo intelletto ad intervenire nel processo di conoscenza, condizionandola necessariamente e inevitabil- mente. Si può dunque affermare che ogni processo conoscitivo deve necessariamente essere caratterizzato da una sia pur parziale identificazione113 tra soggetto conoscente

e oggetto conosciuto, senza la quale non vi può essere conoscenza alcuna. Conoscere infatti non significa niente altro che compiere una parziale identificazione tra il sog- getto che conosce e l’oggetto da conoscere; significa ricondurre qualcosa di ignoto a qualcosa di noto:114 ed è proprio questa l’identificazione a cui si fa riferimento in que-

sto contesto, in mancanza della quale nessuna forma di conoscenza può essere possi- bile.

Chiarite le modalità generali che contraddistinguono ogni processo conosciti- vo, ci si ponga ora la seguente domanda: che cosa significa conoscere di più o cono-

scere di meno? Che cosa significa effettuare una conoscenza qualitativamente miglio-

re rispetto ad un’altra conoscenza qualitativamente peggiore? Come è possibile di- stinguere un processo di conoscenza più potente e più profondo rispetto ad un altro più debole e fallace? In forza della riflessione appena compiuta è facile rispondere che il grado di conoscenza deve aumentare la sua potenza e la sua forza esplicativa in misura proporzionale al grado di identificazione raggiunto tra soggetto e oggetto. Ne deriva che la massima conoscenza possibile non può che essere riconducibile a quella che si ottiene mediante una totale e completa identificazione tra soggetto e oggetto, che è il caso della realizzazione metafisica, per l’appunto. Questo tipo di sapere, es- sendo collocato al vertice sommo della scala di conoscenza, sede del Princìpio unita- rio e supremo, non può che rappresentare il livello massimo possibile e pensabile di conoscenza, così come ogni discesa e allontanamento da esso - comportando necessa- riamente una riduzione del grado di identificazione tra soggetto e oggetto - non può che generare inevitabilmente un progressivo aumento dell’errore e della distorsione nel processo conoscitivo e interpretativo. Se si effettua poi una traslazione dal piano della conoscenza al piano delle azioni umane, è facile immaginare che gli eventuali errori prodotti dai processi di conoscenza finirebbero per trasferirsi integralmente al piano pragmatico delle azioni umane, come la storia ben insegna. Se si compie un’azione indotta da una conoscenza errata, anche le conseguenze di quella stessa azione saranno errate. Un’identificazione totale di soggetto conoscente e oggetto co- nosciuto implicherebbe la cessazione immediata di ogni successiva distinzione tra il soggetto e l’oggetto (donde l’incomunicabilità di questo tipo di conoscenza), ma an-

113 Guénon ricorda che anche Aristotele aveva affermato chiaramente che “un essere è tutto ciò che egli conosce”, inten-

dendo con questa affermazione proprio l’elemento identificativo necessario per poter parlare di conoscenza, in mancan- za del quale qualsiasi fenomeno rimarrebbe al di fuori della portata conoscitiva stessa (SI, p. 114).

che di ogni successiva distinzione tra una qualsiasi parte di questa conoscenza e la corrispondente e conseguente azione eventualmente indotta e promossa da quella stessa conoscenza. Al vertice più estremo della scala conoscitiva ogni dualità deve necessariamente cessare, e in ogni senso.

La conoscenza suprema vanificherebbe di fatto ogni tipo di azione,115 la quale,

per esistere e per sussistere, necessiterebbe invece sempre del mantenimento di una precisa distinzione tra soggetto conoscente e oggetto conosciuto. Ecco perché Gué- non identifica la conoscenza suprema con una forma di contemplazione assoluta e to- tale, affermando anzi la netta superiorità di questa rispetto ad ogni forma di azione esteriore (la quale in tal caso sussisterebbe solamente in virtù di una partecipazione di grado inferiore della conoscenza suprema).

Alla luce di quanto è appena stato esposto si può dunque affermare che il grado e la proporzione della conoscenza vera raggiunta aumenta con l’aumentare del rifles- so partecipativo della dimensione metafisica, e diminuisce con l’aumentare delle componenti “anti-metafisiche”, oggi così diffuse nella cultura moderna. E’ per queste ragioni che Guénon inserisce tra gli ostacoli al vero innalzamento anche una certa cultura moderna, assieme alle persone “colte” che la rappresentano,116 e il cui stato

mentale sarebbe più di ostacolo che di aiuto per un miglioramento della conoscenza in senso metafisico. Naturalmente è lecito porre dei limiti a una tale generalizzazione, esistendo sicuramente studiosi che rappresentano delle eccezioni in tal senso. Ma se è vero che l’uomo moderno si trova nell’età più bassa, egli deve anche trovarsi nelle condizioni più lontane e più difficili per il raggiungimento anche solo di una parte di quella conoscenza metafisica che agli albori dell’umanità era invece del tutto norma- le.

Una volta illustrata, nelle sue linee essenziali, la processualità generale che porta l’individuo a compiere e a raggiungere un qualsiasi grado di conoscenza, è ne- cessario riflettere sul fatto che vi possono sussistere molte variazioni intermedie tra un basso grado di conoscenza e un alto grado di conoscenza, corrispondenti ad altret- tante variazioni intermedie tra un basso grado di identificazione tra soggetto e oggetto e un alto grado di identificazione tra soggetto e oggetto. Ne deriva che ad una discesa e ad un allontanamento dal Princìpio supremo non può che corrispondere necessaria- mente una discesa e un allontanamento dalla contemplazione e dalla conoscenza per- fetta, a favore di una maggior componente di azione, di antagonismo e di errore (os- sia di una maggior materialità e di una minore intellettualità). Si tenga fin da ora ben presente questa teoria generale della conoscenza, in mancanza della quale non potrà risultare veramente chiaro l’insieme delle implicazioni e delle conseguenze che deri-

115 Come è noto, non tutti gli studiosi si trovano d’accordo nell’affermare la chiara superiorità gerarchica della cono-

scenza sull’azione. Sebbene lo scopo del presente lavoro non fuoriesca dall’intento di chiarire nel modo più completo possibile il solo pensiero di Guénon, è bene far notare che c’è chi non concorda con lui su questo punto preciso, come è il caso per esempio di Julius Evola, il quale sostiene la “non ineccepibilità della tesi da lui (da Guénon, ndr) difesa dell’incondizionato primato della intellettualità e della contemplazione” (CM, p. 12; si veda anche, più in generale, tutta l’introduzione di Evola a: CM, pp. 7-16). Data la complessità della questione, non ci si può esimere qui dal prendere una posizione chiara in proposito: a rigore, in virtù del carattere di stabilità e di immutabilità della conoscenza suprema, si deve ribadire la superiorità dell’intuizione sull’azione, la quale, per il solo fatto di essere “azione”, ossia “mutamen- to”, deve necessariamente discostarsi dall’immutabilità e dall’unitarietà del Princìpio supremo.

vano da questa discesa - e che caratterizzano i tratti fondamentali dell’Occidente mo- derno - e che saranno oggetto di trattazione nella seconda parte del presente studio. Se è pur vero che la conoscenza dipende anche dal soggetto, è pur vero che questo può intervenire in misura diversa a seconda se esso faccia intervenire di più l’intellet- to e meno i sensi o viceversa (la prima soluzione implica sempre una conoscenza qualitativamente migliore della seconda).

Ma come si può giungere a riconoscere più facilmente un eventuale processo di discesa e di allontanamento dal Princìpio superiore, oppure, al contrario, di avvicina- mento e di innalzamento verso questo Princìpio superiore? Per rispondere a questa domanda è necessario ricordare una volta di più che non esiste un solo tipo di intui- zione, ma che ve ne sono tante e di differente grado: alcune sono più potenti e si ap- prossimano maggiormente al Principio supremo, altre sono più deboli e sono più lon- tane da esso. In particolare va richiamata la distinzione fra le intuizioni intellettuali e quelle sensibili e fenomeniche:117 sebbene anche queste ultime siano numerose e di-

verse, e partecipino in diversa misura e grado della conoscenza suprema, l’intuizione intellettuale è pur sempre più immediata, più ampia e più potente di ogni intuizione sensibile e fenomenica (come già l’analisi di Schopenhauer aveva evidenziato). E sebbene si sostenga qui l’esistenza di diverse posizioni intermedie collocate tra il Princìpio supremo e tutti i gradi inferiori della conoscenza, si può in generale ribadire che è l’intuizione intellettuale a ricevere la sua maggior potenza e capacità esplicativa in forza della sua collocazione al di là della distinzione tra soggetto e oggetto.118 Se si

possono immaginare delle intuizioni che in misura diversa e graduata partecipano di questa intuizione superiore, si deve anche immaginare un livello oltre il quale non è più possibile parlare di soggetto e di individuo, ma solamente ed esclusivamente di una dimensione sovra-individuale e sovra-razionale, che è la dimensione della metafi- sica, per l’appunto. In altre parole, l’uomo può intuire le cose per così dire a un livel- lo basso e sensibile, dove l’intellettualità appare quasi esclusa. Ad un livello più alto egli può essere in grado di produrre delle intuizioni significative (come è il caso dell’inventore, del genio o dell’artista che crea e produce la sua arte dopo averla im- maginata);119 e ad un livello ancor più elevato egli potrebbe addentrarsi nella sfera del

sovra-individuale e del metafisico, abbandonando così anche il mondo dei fenomeni e dei sensi (sebbene anche in questa regione sussistano molteplici gradi intermedi di realizzazione). Vale la pena di riportare direttamente le parole di Schopenhauer:

Il genio, come l’abbiamo presentato, consiste nell’attitudine a svincolarsi dal princìpio di ragione, cioè nella capacità di fare astrazione dalle cose particolari […] infine, a porre se stesso quale correlato delle idee: in altre parole, ad abbandonare la natura dell’indi-

viduo, per elevarsi a soggetto puro della conoscenza.120

117 INT, p. 119. 118 INT, p. 119.

119 Si osservi ancora un volta come lo stesso Schopenhauer, sebbene parli esclusivamente di intuizioni vincolate al piano

fenomenico e sensibile, riconosca pur tuttavia la possibilità di innalzarsi anche all’interno di questa stessa regione feno- menica, come è il caso del «genio» che, in quanto in grado di produrre un’arte svincolata dal princìpio di ragione, si col- loca necessariamente più in alto rispetto all’uomo di ragione e di scienza (A. Schopenhauer: Il Mondo come volontà e

rappresentazione, Mursia, Milano, 1969, pp. 223-224).

Ebbene, questo “abbandonare la natura dell’individuo per elevarsi a soggetto puro della conoscenza” è in tutto e per tutto un «innalzamento», per come qui lo si deve in- tendere, e per come deve essere inteso in tutto lo sviluppo della presente trattazione. E ogni innalzamento che sia veramente tale non può che comportare sempre un allon- tanamento progressivo dal mondo fenomenico e un avvicinamento prospettico alla re- gione sovra-individuale e sovra-razionale della metafisica. Ciò che qui interessa, e che deve esser ben compreso, è il vero significato di «innalzamento». Per le ragioni appena riportate dovrebbe ora esser chiaro per esempio che il mondo dell’arte - l’arte vera - sta sempre più in alto del mondo della scienza e della ragione; il che significa che l’arte vera possiede sempre una potenza esplicativa più profonda della scienza (sebbene l’uomo moderno ragioni in modo contrario). Per motivi del tutto analoghi anche l’altro grande filosofo della volontà, Friedrich W. Nietzsche, ha fermamente sostenuto non solo la superiorità dell’arte nei confronti della conoscenza - provenen- do l’arte vera dall’istinto vitale, a differenza della conoscenza astratta e logica che in- vece si oppone alla vita stessa - ma ha più volte e ripetutamente ribadito la bassezza del punto di vista della scienza moderna (come si vedrà meglio nel capitolo sui rap- porti tra metafisica e scienza). Si presti bene attenzione quindi al fatto che non è ne- cessario essere dei metafisici per parlare di «innalzamento»: Schopenhauer e Nie- tzsche, per fare solo due esempi (ma ve ne sono molti altri), avevano ben compreso, per come lo si intende qui, il vero significato di innalzamento, pur rimanendo entram- bi vincolati al solo mondo sensibile e fenomenico. In realtà ciò che deve diventar chiaro non è soltanto la questione inerente l’altezza e l’innalzamento, ma, più gene- ralmente, l’impossibilità dell’esistenza di due soli mondi distinti e contrapposti, l’uno fisico e l’altro metafisico. Ciò che invece esiste è un’indefinità di posizioni interme- die collocate ognuna a una diversa altezza, partecipanti in diverso grado e misura del- la conoscenza metafisica. Solo convenzionalmente questi diversi gradi di conoscenza sono raggruppabili nei due mondi, l’uno fisico e l’altro metafisico (e solo convenzio- nalmente Kant ha operato una netta distinzione tra i due). Il fatto che con il presente studio, nella descrizione, ci si voglia spingere oltre il mondo fisico e fenomenico - sebbene soltanto a livello teorico - non deve far dimenticare la portata e l’applicabili- tà generale del criterio dell’innalzamento in ciascuno dei due mondi, l’indagine dei quali resta uno degli scopi principali del presente studio.

Chiarito che le altezze sono tante, e tutte comunque riconducibili con una certa approssimazione o alla dimensione fisica o a quella metafisica, ci si chieda ora come sia possibile l’esistenza di una dimensione non più individuale e non più umana, ma pur tuttavia ugualmente accessibile all’individuo. Se l’individuo è individuo, come può egli accedere a una dimensione che non ha più nulla di individuale? In effetti è proprio questo il problema centrale affrontato dalla realizzazione metafisica. Coloro che non ci credono si limitano ad affermare la non esistenza della metafisica stessa, o la sua inaccessibilità per l’essere umano, bloccando così in questo punto esatto tutta la loro argomentazione. Coloro che invece ci credono affermano, per converso, la precisa possibilità di accedere a questa stessa dimensione metafisica, indicando anche attraverso quali modalità può essere compiuta l’operazione. Tra questi due estremi

vanno collocate le più diverse tradizioni di pensiero che si sono prodotte e manifesta- te nel mondo intero. La Tradizione orientale segue la seconda strada, quella dell’accessibilità e della concreta realizzazione della metafisica, anche ai livelli più elevati. E lo fa proprio a partire dalla teoria degli stati molteplici dell’essere,121 la qua-

le, per quanto complessa possa apparire, afferma chiaramente l’esistenza dell’uomo come entità che simultaneamente è “qualcosa di meno e di qualcosa di più di un indi- viduo”. Ed è proprio in forza di questa simultanea multidimensionalità dell’individuo che la conoscenza metafisica rimane possibile, non potendo essa essere assimilabile in alcun modo all’umano e all’individuale.122 E’ solo in virtù dell’esistenza reale della

dimensione sovra-individuale e sovra-umana che rimane aperto l’accesso alla effetti- va realizzazione metafisica. Se l’uomo fosse solamente un’entità individuale comple- tamente chiusa, alla maniera della monade di Leibniz,123 imploderebbe la possibilità

stessa di accesso ad una qualsivoglia conoscenza metafisica, ossia imploderebbe la possibilità stessa di accesso alla conoscenza di ciò che non appartiene al suo stesso ordine di esistenza e all’orizzonte di senso da egli stesso generato. Così si esprime Guénon:

L’intelletto trascendente, per cogliere direttamente i princìpi universali, dev’essere esso stesso di ordine universale; esso non è più una facoltà individuale, e considerarlo come tale sarebbe contraddittorio, poiché non rientra nelle possibilità dell’individuo il supera- re i propri limiti, l’uscire dalle condizioni che lo definiscono come tale. La ragione è una facoltà propriamente e specificamente umana; è ciò che sta al di là della ragione ad essere veramente «non umano», ed è questo che rende possibile la conoscenza metafisi- ca, la quale, lo ripetiamo, non è una conoscenza umana. In altri termini, non è in quanto uomo che l’uomo può raggiungere la conoscenza metafisica, ma solo per il fatto che quest’essere, che è umano in uno dei suoi aspetti, è al tempo stesso altro e più che un es- sere umano; ed è la presa di coscienza effettiva degli stati sovra-individuali che costitui- sce l’oggetto reale della metafisica, o, meglio ancora, che è la conoscenza metafisica stessa.124

E che cos’è dunque l’individuo? E come deve essere inteso?

L’individuo rappresenta solo una manifestazione transitoria e contingente del vero esse- re; è solo uno stato speciale fra una moltitudine indefinita di altri stati dello stesso gene- re; e quest’essere, in sé, è assolutamente indipendente da tutte le manifestazioni, così come […] il Sole è assolutamente indipendente dalle molteplici immagini nelle quali si riflette.125

121 Si veda: SME. 122 PDV1, p. 104. 123 SI, p. 113.

124 EIT+MO, p. 148 (corsivo mio). Il testo denominato MO sta per “Metafisica Orientale” ed è un opuscolo riportante il

testo dell’unica conferenza pubblica tenuta da René Guénon alla Sorbona, il 12 dicembre 1925. Esso compare come te- sto autonomo in lingua francese, mentre in lingua italiana compare come ultimo capitolo del testo EIT, ossia L’esoteri-

smo islamico e il Taoismo, Arktos-Oggero, Carmagnola (TO), 1990. In italiano, in una traduzione leggermente diversa,

il medesimo testo compare anche come ultimo capitolo del libro Studi sull’Induismo, LibrItalia, Città di Castello - PG,