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Le caratteristiche dell’Imposta Municipale Propria e le diversità rispetto all’Ic

Capitolo 3: Imu e Ici, due imposte a carattere patrimoniale

3.2 L’Imu, il nuovo tributo a carattere patrimoniale

3.2.1 Le caratteristiche dell’Imposta Municipale Propria e le diversità rispetto all’Ic

Per cercare di capire bene gli effetti di questa imposta, il suo funzionamento, l’impatto che creerà, si analizza qui di seguito, tutta una serie di caratteristiche e di aspetti propri dell’imposta come (lo stesso è stato fatto anche per l’Ici): la normativa, il presupposto, gli immobili soggetti all’imposta, i soggetti attivi e passivi, la base imponibile, il metodo di calcolo e le aliquote, le eventuali agevolazioni ed esclusioni, le diverse modalità di pagamento, la dichiarazione Imu e le conseguenze sulle imposte dirette.

La normativa che costituisce il riferimento principale per quanto riguarda l’Imposta Municipale propria è composta dai seguenti articoli e Decreti:

 artt. 2 (Definizione di fabbricati e aree), 5 (Base imponibile), 7 (Esenzioni), 8 (Riduzioni e detrazioni dell’imposta) del Decreto Legislativo n. 504 del 30 Dicembre 1992, riguardante il riordino della finanza degli enti territoriali;

 artt. 7 (Federalismo fiscale municipale), 8 (Imposta municipale propria), 9 (Applicazione dell’imposta municipale propria) del Decreto Legislativo n. 23 del 14 Marzo 2011, riguardante disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale;

 art. 13 (Anticipazione sperimentale dell’imposta municipale propria) del Decreto Legislativo n. 201 del 6 Dicembre 2011, riguardante disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici;

 art. 1 della Legge n. 214 del 22 Dicembre 2011, riguardante la conversione in legge con modificazioni del D. Lgs. 201/2011;

 art. 4 (Fiscalità locale) del Decreto Legge n. 16 del 2 Marzo 2012, riguardante disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento;

 Legge n. 44 del 26 Aprile 2012, riguardante la conversione in legge con modificazioni del D. L. 16/2012;

 Risoluzione 35/E del 12 Aprile 2012, riguardante l’istituzione dei codici tributo per il versamento, tramite modello F24, dell’Imposta Municipale Propria;

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 Circolare 3/DF del 18 Maggio 2012, riguardante l’anticipazione sperimentale dell’Imu;

 Provvedimento direttoriale n. 53906 del 12 Aprile 2012, riguardante l’approvazione delle modifiche ai modelli di versamento F24 e F24 accise;

 Provvedimento direttoriale n. 53909 del 12 Aprile 2012, riguardante le modalità di versamento dell’Imposta Municipale Propria. (Polli, G. 2012) Il presupposto dell’Imposta Municipale Propria è costituito dal possesso di immobili di qualunque tipo, compresa l’abitazione principale e le relative pertinenze e perfino i terreni incolti. Gli immobili considerati presupposto per l’imposta sono definiti dal comma 1 dell’art. 2 del D. Lgs. 504/1992 e cioè: fabbricati, aree edificabili, terreni agricoli (qui si può notare la corrispondenza con l’Ici). L’Imu deve essere pagata non solo per i beni strumentali all’attività dell’impresa, ma anche per i beni patrimoniali posseduti da qualsiasi soggetto che sia residente o no. È possibile quindi definire come oggetto del tributo qualsiasi immobile, purché sia un fabbricato, un’area fabbricabile o un terreno agricolo, indipendentemente dall’uso che ne viene fatto. Dal punto di vista normativo, il comma 2 dell’art 13 del D. L. 201/2011 sancisce che: “L'imposta municipale propria ha per presupposto il possesso di immobili di cui all'articolo 2 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, ivi compresa l'abitazione principale e le pertinenze della stessa. Per abitazione principale si intende l'immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente. Per pertinenze dell'abitazione principale si intendono esclusivamente quelle classificate nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7, nella misura massima di un'unità pertinenziale per ciascuna delle categorie catastali indicate, anche se iscritte in catasto unitamente all'unità ad uso abitativo.” (Decreto Legge 6 dicembre 2011, n. 201).

Vediamo ora quelli che sono gli immobili soggetti all’Imu. Possiamo distinguere tre categorie di beni immobili:

I. fabbricati (anche rurali), aree fabbricabili e terreni agricoli posseduti a titolo d’investimento o di consumo proprio;

II. fabbricati, aree fabbricabili e terreni agricoli strumentali posseduti da imprese o lavoratori autonomi;

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III. beni merce (posseduti da società immobiliari) e beni prodotto (immobili costruiti da imprese edili pronti per la rivendita).

È importante sottolineare che l’Imu, al pari dell’Ici, è un’imposta patrimoniale vera e propria, in quanto non colpisce il reddito eventualmente prodotto dagli immobili, ma gli immobili fisici veri e propri, quindi è un’imposta municipale solo di nome. (Ifel – Fondazione ANCI. 2012). Il fabbricato è l’unità immobiliare iscritta, o che deve esserlo, nel catasto edilizio urbano, inoltre, l’area occupata dalla costruzione e la pertinenza si devono considerare parte integrante del fabbricato; quindi, i soggetti all’imposta sono le unità immobiliari iscritte nel catasto e quelle che non lo sono, ma dovrebbero esserlo. Le categorie catastali interessate all’imposta sono:

 gruppo A (abitazioni in generale), da A/1 a A/11;

 gruppo B (edifici ad uso collettivo), da B/1 a B/8;

 gruppo C (immobili a destinazione commerciale), da C/1 a C/7;

 gruppo D (immobili a destinazione speciale), da D/1 a D/12;

 gruppo E (immobili a destinazione particolare), da E/1 a E/9, per le quali sono previste specifiche esenzioni che saranno esposte più avanti.

Uno degli aspetti che differenziano l’Imu dall’Ici, è il fatto che anche le unità immobiliari adibite ad abitazione principale sono soggette all’imposta. Come definisce il comma 2 dell’art 13 del D. L. 201/2011, modificato dall’art. 4, comma 5 del D. L. 16/2012: “Per abitazione principale si intende l'immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente. Nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale, le agevolazioni per l'abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile.” (Decreto Legge 2 marzo 2012, n. 16). La normativa quindi, richiede due presupposti per far si che l’unità immobiliare rientri nel concetto di abitazione principale del contribuente e cioè la dimora abituale e la residenza anagrafica, che ovviamente devono essere presenti entrambi contemporaneamente. Partendo dal presupposto che l’abitazione principale deve essere costituita da una sola unità immobiliare, nel caso in cui ci si trovi in presenza di più unità immobiliari

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utilizzate come abitazione principale, il contribuente deve scegliere quella da considerare abitazione principale, alla quale poter applicare l’aliquota agevolata e le detrazioni, mentre alle restanti si deve applicare l’aliquota ordinaria stabilita dal comune, in maniera separata e ciascuna per la propria rendita (Setti, S. 2012).

Per quanto concerne le pertinenze dell’abitazione principale, la normativa fornisce una precisa identificazione catastale di esse, in particolare:

 C/2 - magazzini e locali di deposito, cantine e soffitte;

 C/6 - box o posto auto, autorimesse, stalle, scuderie;

 C/7 - tettoie chiuse o aperte.

La normativa stabilisce anche un limite numerico nella misura massima di una sola unità pertinenziale per ciascuna categoria catastale indicata. Quindi, ogni contribuente può avere tre unità pertinenziali, ognuna per ciascuna categoria catastale, per le quali potrà usufruire delle agevolazioni previste per l’abitazione principale. L’imposta deve essere pagata anche sugli immobili situati all’estero e posseduti da persone residenti nel territorio dello Stato nella misura dello 0,76% del valore degli stessi immobili. Allo stesso modo, l’Imu interessa anche decine di migliaia di cittadini italiani residenti all’estero che possiedono immobili in Italia.

I soggetti passivi che devono pagare l’imposta sugli immobili posseduti sono: i proprietari di immobili, l’usufruttuario, il titolare del diritto d’uso, d’abitazione, di enfiteusi, di superficie, il locatario di beni concessi in leasing, il concessionario di aree demaniali, l’amministratore della multiproprietà e anche l’ex coniuge affidatario della casa coniugale. La normativa individui i soggetti passivi nell’art. 9 comma 1 del D. Lgs. 23/2011: “Soggetti passivi dell'imposta municipale propria sono il proprietario di immobili, inclusi i terreni e le aree edificabili, a qualsiasi uso destinati, ivi compresi quelli strumentali o alla cui produzione o scambio è diretta l'attività dell'impresa, ovvero il titolare di diritto reale di usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi, superficie sugli stessi. Nel caso di concessione di aree demaniali, soggetto passivo è il concessionario. Per gli immobili, anche da costruire o in corso di costruzione, concessi in locazione finanziaria, soggetto passivo è il locatario a decorrere dalla data della stipula e per tutta la durata del contratto.” (Decreto Legislativo 14 marzo 2011, n. 23).

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I soggetti attivi, cioè coloro che incassano il gettito derivante dall’Imposta Municipale Propria, sono i comuni e lo Stato. Per quanto riguarda la quota dell’Imu riservata allo Stato, la normativa prevede che allo Stato vada la quota pari alla metà dell’importo calcolato applicando alla base imponibile di tutti gli immobili, salvo l’abitazione principale e relative pertinenze, nonché i fabbricati rurali ad uso strumentale, l’aliquota di base dello 0,76%; ai comuni invece spetta la restante metà oltre che il gettito totale derivante da abitazione principale e relative pertinenze e dai fabbricati rurali ad uso strumentale. Quanto appena detto, è stabilito dall’art. 13, comma 11, del D. L. 201/2011: “E' riservata allo Stato la quota di imposta pari alla metà dell'importo calcolato applicando alla base imponibile di tutti gli immobili, ad eccezione dell'abitazione principale e delle relative pertinenze di cui al comma 7, nonché dei fabbricati rurali ad uso strumentale di cui al comma 8, l'aliquota di base di cui al comma 6, primo periodo. La quota di imposta risultante è versata allo Stato contestualmente all'imposta municipale propria. Le detrazioni previste dal presente articolo, nonché le detrazioni e le riduzioni di aliquota deliberate dai comuni non si applicano alla quota di imposta riservata allo Stato di cui al periodo precedente. Per l'accertamento, la riscossione, i rimborsi, le sanzioni, gli interessi ed il contenzioso si applicano le disposizioni vigenti in materia di imposta municipale propria. Le attività di accertamento e riscossione dell'imposta erariale sono svolte dal comune al quale spettano le maggiori somme derivanti dallo svolgimento delle suddette attività a titolo di imposta, interessi e sanzioni.” (Ministero dell’Economia e delle Finanze. 2012).

La base imponibile è calcolata in modi diversi, in base al tipo d’immobile e alle caratteristiche del possessore. In linea di massima, il valore è ottenuto moltiplicando la rendita catastale dell’immobile, rivalutata del 5%, per il moltiplicatore che varia in base alla tipologia dell’immobile. La normativa definisce la base imponibile ai commi 3, 4 e 5 dell’art. 13 del D. L. 201/2011: “3) La base imponibile dell'imposta municipale propria è costituita dal valore dell'immobile determinato ai sensi dell'articolo 5, commi 1, 3, 5 e 6 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, e dei commi 4 e 5 del presente articolo. 4) Per i fabbricati iscritti in catasto, il valore è costituito da quello ottenuto applicando all'ammontare delle rendite risultanti in catasto, vigenti al 1° gennaio dell'anno di imposizione, rivalutate del 5 per cento ai sensi dell'articolo 3, comma 48, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, i seguenti moltiplicatori: a. 160 per i

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fabbricati classificati nel gruppo catastale A e nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7, con esclusione della categoria catastale A/10; b. 140 per i fabbricati classificati nel gruppo catastale B e nelle categorie catastali C/3, C/4 e C/5; c. 80 per i fabbricati classificati nella categoria catastale A/10; d. 60 per i fabbricati classificati nel gruppo catastale D; e. 55 per i fabbricati classificati nella categoria catastale C/1. 5) Per i terreni agricoli, il valore è costituito da quello ottenuto applicando all'ammontare del reddito dominicale risultante in catasto, vigente al 1° gennaio dell'anno di imposizione, rivalutato del 25 per cento ai sensi dell'articolo 3, comma 51, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, con un moltiplicatore pari a 135.” (Decreto Legge 6 dicembre 2011, n. 201). Per rendere più chiaro e comprensibile quanto stabilito dai suddetti commi, si è cercato di riassumere il tutto in una tabella il più possibile chiara ed esplicativa (tabella 2). Per quanto riguarda il calcolo della base imponibile dei fabbricati, è necessario distinguere fra immobili iscritti in catasto, immobili della categoria catastale D non iscritti in catasto e immobili, diversi dal gruppo D, non iscritti in catasto. Per la prima tipologia vale quanto definito in tabella, mentre per la seconda, è confermata la disciplina prevista per l’Ici e cioè, per ottenere il valore imponibile dei fabbricati del gruppo catastale D, non iscritti in catasto, interamente posseduti da imprese, si deve prendere come base di riferimento i valori scaturenti dai libri contabili e moltiplicarli Tabella 2. Coefficienti moltiplicatori Imu

Fonte: Setti, (2012).

Categoria Immobili Coefficienti Rivalutativi Aliquota Applicabile

A (abitazione principale e pertinenze)

C/2, C/6, C/7 (limitatamente ad una) 160

0,4% e detrazione 200 € (max 600 € con figli)

Seconde case e C/2, C/6, C/7 160 0,76%

B (collegi. Scuole ecc.) 140 0,76%

C/3, C/4, C/5 140 0,76%

A/10 (uffici) 80 0,76%

D (opifici, alberghi, ecc. escluso D/5) 60 (per il 2012)

65 (per il 2013 e 2014) 0,76%

D/5 80 0,76%

C/1 (negozi e botteghe) 55 0,76%

Terreni agricoli

110 (coltivatore diretto o imprenditore

iscritto a previdenza agricola) 135 (ipotesi residuali)

0,76%

Particolari tipologie d'immobili (soggetti IRES, locati, ecc.)

Coefficiente proprio della categoria

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per il coefficiente indicato nel Decreto del Ministero dell’Economia emanato ogni anno. Anche per le aree edificabili si applicano le vecchie regole previste per l’Ici, in particolare, l’imponibile a fini Imu delle aree edificabili è costituito dal valore venale in commercio, tenendo conto della zona territoriale, dell’indie di edificabilità, della destinazione d’uso consentita e dei prezzi medi di mercato (Ministero dell’Economia e delle Finanze. 2012). Per i terreni agricoli invece, vale quanto stabilito dalla normativa (tabella 2), si sottolinea che il reddito dominicale risultante in catasto va rivalutato del 25% e il coefficiente si riduce a 110 nel caso in cui i coltivatori diretti o gli imprenditori agricoli siano iscritti alla previdenza agricola. L’art. 4 del D. L. 16/2012, introduce l’art. 8-bis che stabilisce: “I terreni agricoli posseduti da coltivatori diretti o da imprenditori agricoli professionali di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99, e successive modificazioni, iscritti nella previdenza agricola, purché dai medesimi condotti, sono soggetti all'imposta limitatamente alla parte di valore eccedente euro 6.000 e con le seguenti riduzioni: a) del 70 per cento dell'imposta gravante sulla parte di valore eccedente i predetti euro 6.000 e fino a euro 15.500; b) del 50 per cento dell'imposta gravante sulla parte di valore eccedente euro 15.500 e fino a euro 25.500; c) del 25 per cento dell'imposta gravante sulla parte di valore eccedente euro 25.500 e fino a euro 32.000.” (Decreto Legge 2 marzo 2012, n. 16).

La definizione della base imponibile però, ha fatto emergere ancor di più la necessità, discussa già da anni, di effettuare una riforma del Catasto Edilizio Urbano italiano. L’ultimo tentativo di riforma del Catasto, era stato sperimentato nel 2006, anno in cui il Governo Prodi presentò un collegato alla Legge Finanziaria, con il quale voleva mettere mano in maniera organica al Catasto, che presentava e presenta tuttora, la struttura delineata al momento della sua nascita (anno 1939) e rendite rivalutate l’ultima volta nel 1990, nonostante che, negli ultimi ventidue anni, siano cambiati profondamente l’assetto e l’aspetto del mercato immobiliare italiano. L’attuale Governo Monti, consapevole della stringente necessità di una riforma, sta tentando di mettere un po’ di ordine e di riorganizzare il catasto italiano (Madron, P. 2012). Il modello attuale utilizzato nella determinazione delle rendite catastali delle unità immobiliari urbane, prevede un’articolazione in categorie catastali del patrimonio immobiliare urbano produttivo di reddito. È possibile distinguere tra gruppi ordinari (A, B, C) che comprendono unità immobiliari come abitazioni, uffici e negozi, che si presentano

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numerose e diffuse sul territorio e gruppi speciali o particolari (D, E) che presentano unità che hanno caratteristiche e peculiarità che le portano a essere uniche o che richiedono una radicale trasformazione per un’utilizzazione differente. Gli immobili appartenenti a questi diversi gruppi, seguono ovviamente metodi differenti per calcolare la rendita catastale. Nel caso degli immobili particolari o speciali, la rendita è calcolata attraverso un metodo di stima diretto, che si basa sulla comparazione con immobili che presentano le stesse caratteristiche o un metodo indiretto, che applica al valore patrimoniale del bene un opportuno tasso di redditività. Per gli immobili ordinari invece, è necessario dividere i gruppi catastali cui appartengono in categorie catastali. Ad esempio, il gruppo A presenta undici categorie catastali essenzialmente di tipo residenziale, con l’eccezione della categoria A/10, riguardante gli uffici e studi privati. Ogni categoria catastale presenta diverse classi di redditività, per ciascuna delle quali è individuata l’unità tipo. Per ciascuna unità tipo è determinata la tariffa d’estimo, che costituisce la rendita catastale unitaria per unità di consistenza. Infine, si calcola la rendita catastale effettiva, moltiplicando la tariffa d’estimo unitaria per la consistenza dell’unità immobiliare stessa. Riguardo al modello di classamento vigente quindi, è logico che esistano problematiche d’iniquità diffusa, le quali possono dipendere da: categorie inadeguate, zone censuarie troppo ampie relative a venti anni fa e classamenti risalenti alla fase d’impianto. Le iniquità delle rendite catastali sono collegate a molti fattori: non sono mai state realizzate dei controlli generali delle zone censuarie e dei classamenti, tali da rendere possibile il recepimento delle nuove configurazioni urbane; non è mai stato aggiornato il quadro generale delle categorie catastali; non è mai stato attuato un esame generale del classamento, per aggiornare i redditi delle singole unità immobiliari, portando a un progressivo scollamento tra i valori di mercato e i valori catastali degli immobili. L’insieme di tutte queste distorsioni ha effetti anche sul livello di equità della tassazione (Agenzia del Territorio. 2012). Appare necessario quindi, riequilibrare i valori di mercato che oggi sono circa 3,73 volte maggiori rispetto ai valori catastali e rendere aderenti in maniera puntuale i valori e le rendite immobiliari alla realtà del mercato. Il nuovo catasto dovrebbe prendere in considerazione non solo la rendita catastale, ma anche il valore patrimoniale del bene, con lo scopo di assicurare una base imponibile adeguata che possa essere utilizzata per le diverse tipologie di tassazione. Inoltre, sarebbe fondamentale anche una rideterminazione della

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classificazione dei beni immobiliari, oltre che il superamento, per abitazioni e uffici, del vano come unità di misura della consistenza ai fini fiscali, sostituito con la superficie espressa in m² (Madron, P. 2012). Con l’Atto della Camera dei Deputati n.5291 relativo al Disegno di Legge: "Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita", è stato affrontato il problema della riforma del Catasto Italiano ed è importante porre l’accento sul fatto che tale Legge Delega, affronta la riforma del sistema estimativo13 e non del Catasto nel suo complesso. L’obiettivo principale è riuscire a riformare il sistema estimativo del Catasto, in modo da rendere possibile l’attribuzione, per ciascuna unità immobiliare, del valore patrimoniale e della rendita, al fine anche di migliorare i livelli di equità, perequazione, trasparenza e qualità delle informazioni reddituali e patrimoniali del settore immobiliare. È importante fare in modo di affiancare al sistema delle rendite catastali anche un catasto dei valori patrimoniali degli immobili, giacché la tassazione immobiliare si è progressivamente spostata dal reddito al patrimonio ed è questa la sostanziale novità. Il Disegno di Legge fissa tutta una serie di criteri guida o principi direttivi, di cui si riportano i più importanti:

 procedure di collaborazione nel processo revisionale tra Agenzia e Comuni;

 definizione di ambiti territoriali del mercato immobiliare di riferimento;

 valori medi ordinari espressi dal mercato in un arco temporale triennale come riferimento;

 rideterminazione delle destinazioni d’uso catastali ordinarie e speciali;

 modelli di stima diversi per le unità immobiliari a destinazione catastale ordinaria e diffusa da quelli a destinazione speciale;

 cambiamento significativo nel modo di determinare il valore catastale per renderlo trasparente, verificabile e aggiornabile;

 adozione di meccanismi di adeguamento periodico dei valori e delle rendite delle unità immobiliari urbane (dinamicità dei valori e delle rendite);

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L’Istituto del Catasto possiede una duplice funzionalità: inventario georeferenziato dei beni immobili con rappresentazione delle caratteristiche tecnico-fisiche e valutazione dei beni a fini fiscali. La Legge Delega in questione, si occupa proprio di quest’ultima funzione del Sistema Catastale italiano.

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 ridefinizione di funzioni, competenze e composizioni delle Commissioni Censuarie;

 governance unitaria del processo di riforma, per garantire l’uniformità e la qualità dei processi e il loro coordinamento e monitoraggio e la coerenza rispetto ai dati di mercato dei valori e dei redditi, nei rispettivi ambiti

territoriali. (Agenzia del Territorio. 2012)

La procedura di calcolo consiste semplicemente nell’applicare al valore imponibile degli immobili l’aliquota che può essere quella di base nazionale stabilita dalla norma, o quella maggiore o minore fissata dal comune. Le aliquote di base cambiano in relazione al tipo di immobile:

 aliquota base pari a 0,76%, può essere modificata con delibera comunale di 0,3 punti percentuali in aumento o in diminuzione (0,46 – 0,76 – 1,06);

 aliquota ridotta pari a 0,4%, applicata per abitazioni principali e relative pertinenze, può essere modificata di 0,2 punti percentuali in aumento o diminuzione con apposita delibera comunale (0,2 – 0,4 – 0,6);

 aliquota ridotta pari a 0,2%, applicata per fabbricati rurali ad uso strumentale, può essere modificata di 0,1 punti percentuali in diminuzione con apposita delibera comunale (0,1 – 0,2).

È importante sottolineare che questi limiti, sia massimi che minimi, rappresentano dei vincoli invalicabili per i comuni, che quindi li devono assolutamente rispettare. Per le abitazioni che soddisfano i requisiti di abitazione principale, è prevista una detrazione di 200 euro annui, in proporzione al tempo in cui tali requisiti siano rispettati. Per gli anni 2012 e 2013 è stata istituita un’ulteriore detrazione che vuole aiutare le famiglie con figli, infatti, è prevista una detrazione di 50 euro per ogni figlio facente parte del nucleo familiare, di età non superiore ai 26 anni e residente anagraficamente e abitualmente nell’unità immobiliare. Tale detrazione però, non può superare i 400 euro (pari a 8 figli), quindi in totale, una famiglia può avere una detrazione massima pari a 600 euro, i comuni però possono decidere di elevare la detrazione fino all’importo dovuto, salvo il rispetto del vincolo di bilancio. Inoltre, se ad esempio l’immobile è posseduto contemporaneamente da più soggetti, l’Imu sarà dovuta da ciascuno di essi in proporzione alla quota di possesso e non si deve dimenticare anche il periodo di

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possesso, cioè l’Imu è dovuta in proporzione ai mesi durante i quali sussiste la titolarità dei diritti reali di godimento. La normativa è ben chiara in proposito, in particolare i