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Le caratteristiche organizzative: la dimensione dell’azienda, la tipologia di mansione e i profil

I. Capitolo

4. Le caratteristiche organizzative: la dimensione dell’azienda, la tipologia di mansione e i profil

Abbiamo visto, in precedenza, che le caratteristiche organizzative, come la tecnologia, le norme ed i valori influenzano la natura del lavoro, il grado di interdipendenza tra i membri del gruppo e i sistemi di ricompensa (Stone, Colella, 1996: 357). Anche in questo ambito, la ricerca è frammentata e, i risultati, sono spesso contraddittori. Alcune analisi si sono soffermate sulle caratteristiche strutturali dell’organizzazione (come la tipologia di attività e le sue dimensioni) mentre altri studi hanno indagato, invece, aspetti come la cultura e i valori organizzativi. I fattori che prenderemo in considerazione ora separatamente sono:

• la natura del lavoro. Un discorso a parte merita, invece, la cultura organizzativa che è oggetto di un indirizzo di studi specifico.

I responsabili delle piccole e medie imprese sono più preoccupati della presenza dei dipendenti disabili rispetto a quelli delle grandi aziende. Queste ultime, infatti: sono più abituate ad avere a che fare con una forza di lavoro diversificata; dispongono di una struttura organizzativa più solida; hanno più mansioni disponibili e riescono ad offrire maggiori accomodamenti, contenendone gli eventuali costi. Tale scenario, ovviamente, ha ripercussioni sulle occasioni di contatto con la disabilità; mentre le aziende più grandi hanno maggiori esperienze, e quindi anche più possibilità di verificare le loro preoccupazioni, quelle più piccole, avendo molte meno opportunità, rischiano di doversi affidare ai pregiudizi (Bruyere et al, 2006: 18; Dewson et al, 2005). D’altra parte, però, questa connessione positiva tra grande azienda e assunzione di dipendenti disabili non è sempre stata confermata. Infatti, da un’indagine che ha esplorato l’esperienza lavorativa di persone affette da epilessia, per esempio, è emerso come non fosse possibile collegare direttamente le dimensioni dell’azienda e le possibilità di trovare un lavoro (Jacoby et al, 1995: 2). In sintesi, quindi, possiamo dire che la letteratura è unanime nel descrivere una negativa correlazione tra le piccole e medie imprese e i lavoratori disabili; mentre sembra più facile che ad assumere siano le grandi aziende.

Il secondo elemento interessante, oltre alla grandezza dell’organizzazione, è la tipologia di attività che si svolge al suo interno. La ricerca, come in precedenza, offre risultati contrastanti; questo dato, però, non sorprende più di tanto poichè è difficile isolare le conseguenze specifiche di questo dato rispetto a tutto il contesto. Dagli studi effettuati, pare che le persone disabili abbiano più possibilità di trovare un’occupazione nel settore pubblico, piuttosto che in quello privato (Dewson et al, 2005; Hernendez et al, 2008). Per esempio, uno dei compiti classici che viene loro assegnato, è quello del collaboratore scolastico, che consiste nella gestione di tutto ciò che riguarda la sorveglianza e la pulizia delle scuole. Anche nel privato, però, possiamo rintracciare alcune mansioni caratteristiche: • in ufficio: addetto di back office o all’inserimento dei dati oppure responsabile della gestione di attività amministrative e commerciali;

• nel settore produttivo: assembla parti in materiali diversi, utilizzando anche attrezzi come cacciaviti e pinze;

• in ambito alberghiero: può far fronte alle attività ausiliarie, come il lavaggio e la preparazione degli ingredienti, la pulizia delle stoviglie e degli attrezzi della cucina; nel commercio: è tipica la figura dello “scaffalatore” che riceve e colloca le merci in negozi e centri commerciali. Quando la mansione diventa più complicata, invece, può essere inserita ma come aiuto, per esempio nell’industria cartotecnica artigianale o industriale, oppure in lavori come il tappezziere o il parrucchiere. Anche in questo caso, per compiti più delicati, la funzione richiesta è quella di aiuto, per esempio tappezziere e parrucchiere (Colombo, 2007: 100-120). Di tutte le mansioni descritte, dalle ricerche emerge che le aziende che si occupano di servizi abbiano maggiori possibilità di assumere lavoratori disabili, ma anche questo dato non è confermato in tutte le ricerche (Jacoby et al, 1995: 5). In generale, quindi, l’interdipendenza dei compiti può avere ripercussioni soprattutto sulla volontà dei colleghi di lavorare con il dipendente disabile e di renderlo partecipe delle occasioni di incontro sia formali che informali.

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Per quanto concerne il rapporto tra cultura organizzativa e l’esperienza dei lavoratori disabil, tale relazione è oggetto di un filone di studi significativo nato a partire da un interrogativo: “quale ruolo gioca la cultura nell’occupazione delle persone disabili? Attraverso la comprensione di come la cultura può facilitare oppure ostacolare l’esperienza lavorativa delle persone disabili, i ricercatori studiano come sia possibile creare culture inclusive che offrano beneficio ai lavoratori (disabili e non) e all’organizzazione nel suo complesso (Schur et al, 2005: 4). Per comprendere gli orientamenti di questo indirizzo di ricerca, è utile partire dal concetto di cultura organizzativa, utilizzando la definizione più famosa, quella proposta da Schein:“ un modello condiviso di

assunzioni di base che è stato appreso da un gruppo per risolvere i suoi problemi di adattamento esterno e di integrazione interna, che ha funzionato abbastanza bene da essere considerato valido e, pertanto, da essere assegnato ai nuovi membri come il modo corretto di percepire, pensare e e sentire in relazione a tali problemi” (Schein, 2004: 17).

La cultura organizzativa, quindi, influenza il modo in cui le persone sono trattate; il tipo di lavoro affidato ai dipendenti e le possibilità che hanno di ottenere un avanzamento di carriera. Per questi motivi è uno degli elementi più studiati e permette di comprendere come la disabilità può essere costruita nel luogo di lavoro; inoltre, aiuta a valutare il peso delle credenze nelle opportunità offerte ai dipendenti disabili (Gewurtz, Kirsh, 2005: 269-270). Inoltre, indagare la cultura organizzativa, è importante, perchè:

• può essere un ostacolo all’esperienza lavorativa: talvolta può contribuire a creare barriere di tipo fisico, comportamentale e psicologico che incidono sull’ingresso, e sulla permanenza, dei nuovi assunti nel contesto di lavoro (Shur et al, 2005: 12-13);

• determina le regole per l’inclusione: permette di capire quali valori sono richiesti ai nuovi membri per poter essere accettati all’interno del gruppo;

• evidenzia le strutture di potere: consente di analizzare le regole che permettono agli individui di ottenere, mantenere (oppure perdere) il potere all’interno dell’organizzazione;

• mostra quali sono i sistemi di ricompensa all’interno dell’organizzazione: aiuta ad apprendere i comportamenti valutati positivamente e quelli che, invece, vengono scoraggiati ( Christensen, Shu, 1999: 5).

Dopo aver compreso l’importanza dello studio della cultura organizzativa, è utile descrivere, a livello concreto, i due livelli possibili di analisi che sono, tra loro, collegati:

• i valori;

• le politiche e le pratiche

I valori, insieme alle norme di una organizzazione, identificano i comportamenti considerati adeguati e forniscono una giustificazione morale per le politiche e le pratiche organizzative. Le aziende che riconoscono il valore della diversità in generale (razziale, culturale, di genere) hanno maggiori possibilità di creare un ambiente più ospitale per i lavoratori con disabilità. L’aspetto dei valori è collegato al concetto di “justice climate”, ovvero alle credenze collettive rispetto alla giustizia distributiva, procedurale e interpersonale all’interno dell’organizzazione che creano il senso di giustizia ed equità sul luogo di lavoro:

• la giustizia distributiva: ha a che fare con i risultati (come la retribuzione o la predisposizione degli accomodamenti);

• la giustizia procedurale: riguarda le politiche e le procedure (come possono essere ad esempio le modalità di richiesta degli accomodamenti);

• la giustizia interpersonale: concerne la misura in cui i membri sono trattati con rispetto, sensibilità e dignità (Liao et al, 2007: 7).

Il secondo livello, abbiamo visto, è legato alle politiche e alle pratiche, che sono comunque collegate con i valori descritti in precedenza. Le politiche e le pratiche sono la traduzione dei valori nelle azioni concrete per: realizzare gli obiettivi, progettare i posti di lavoro, le modalità di assunzione, le procedure di valutazione e i sistemi di ricompensa. In particolare, alcune pratiche tradizionali delle risorse umane (ad esempio il reclutamento o la selezione) possono condizionare la percezione di abilità dei soggetti disabili. Per questo i cambiamenti nell’analisi delle pratiche di lavoro, possono fare in modo che questi lavoratori non vengano esclusi ingiustamente dal lavoro e, al contrario, possano ridurre la discriminazione nelle fasi di reclutamento e di valutazione delle prestazioni. Lo studio della cultura organizzativa può essere ricondotto a due grandi filoni di studi: uno che ha utilizzato metodologie qualitative e l’altro, invece, quantitative. Anche se spesso le due tipologie di ricerche vengono viste come contrapposte, in realtà, insieme, permettono una migliore comprensione del fenomeno. Infatti, i diversi approcci consentono di analizzare piani diversi (Rousseau, 1990: 166):

• i metodi qualitativi: intendono esplorare i contesti e interpretare i significati che assumono per i soggetti coinvolti attraverso tecniche come focus group, interviste, osservazioni e analisi delle documentazioni. Questo processo è particolarmente utile per conoscere e capire le pratiche e le credenze diffuse nelle organizzazioni (Scott, Usher, 1996: 19);

• i metodi quantitativi: fanno ricorso alle tecniche statistiche, ai questionari e agli esperimenti e, per questo, consentono di raggiungere un campione più vasto di individui. La specificità della ricerca quantitativa, rispetto a quanto descritto in precedenza, è quella di consentire la generazione di dati standardizzati e di permettere di realizzare confronti tra i lavoratori disabili e non. Grazie all’utilizzo congiunto dei due metodi, quindi, è possibile comprendere diversi aspetti della cultura: • i contenuti fondamentali inconsci e soggettivi che possono essere esplorati grazie ad un approccio interattivo che non può essere standardizzato (Rousseau, 1990: 164);

• i significati condivisi all’interno del gruppo di lavoro e dell’organizzazione (Reichers, Schneider, 1990: 23);

• gli stereotipi e le false credenze rispetto alle persone disabili (Patton, 1990: 131).

Allo stesso modo, però, gli studi quantitativi danno la possibilità di misurare le differenze tra i lavoratori disabili e quelli non disabili e rendono possibili i confronti tra le organizzazioni. Utilizzando l’approccio qualitativo sono state analizzate le culture organizzative di cento tra le più importanti aziende americane attraverso soprattutto l’utilizzo del Case Study (Ball et al, 2005: 103105). Tra gli esempi più significativi, in questa direzione, è possibile segnalare l’esperienza che ha coinvolto l’azienda Microsoft e ne ha esplorato aspetti come la leadership, gli atteggiamenti e i comportamenti verso le persone disabili, oltre che le dinamiche che contribuiscono a definire la cultura dell’azienda (Sandler, Blanck, 2005: 43-48). Grazie alla collaborazione con i membri della

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comunità, i ricercatori costruiscono la conoscenza che guida poi l’azione e i cambiamenti. In questo caso, sono “user-friendly” e sostengono gli individui che si trovano ai margini dell’esperienza di ricerca, in particolare i lavoratori disabili (Blanck et al, 2003). Il primo studio su larga scala che ha confrontato le culture organizzative di 14 aziende (in tutto 30.000 impiegati), ha evidenziato che le persone disabili:

• ottengono un salario più basso;

• hanno meno possibilità di partecipare alle occasioni di formazione e di essere coinvolte nelle decisioni, rispetto ai loro colleghi;

• è più facile che siano occupate in lavori part-time e temporanei.

• hanno scarse opportunità di ottenere avanzamenti di carriera. Sempre questa ricerca mostra, però, la difficoltà di ottenere informazioni circa la natura di queste disparità, aspetto più facilmente indagabile attraverso le metodologie qualitative (Kruise et al, 2006: 370).

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