• Non ci sono risultati.

Dalla Convenzione ONU all’ Agenda 2030: realizzare una società inclusiva e sostenibile

I. Capitolo

2. Dalla Convenzione ONU all’ Agenda 2030: realizzare una società inclusiva e sostenibile

La Convenzione rappresenta l’abbandono definitivo di modalità di presa in carico delle persone in condizion di disabilità di tipo segregativo, in favore di un modello orientato a garantire l’empowerment della persona e la sua partecipazione alla vita sociale, economica e politica (Pariotti, 2008). In tal senso viene sostituita l’idea di normalizzazione, presente soprattutto nella concezione medica, con il concetto di partecipazione alla vita della società (Potts, 1997) e si ritiene

necessario intervenire sulle condizioni di contesto, mettendo in discussione le credenze, le rappresentazioni e gli stereotipi, allo scopo di incidere sulle culture e sui comportamenti sociali 

(Striano, 2010) riconoscendo la necessità di costruire regole sociali, culturali e legali che offrano

pari opportunità e non discriminazione (Griffo, 2007). La Convenzione delle Nazioni Unite sui

diritti delle persone con disabilità, in quanto primo atto internazionale obbligatorio del XXI secolo in materia di diritti umani, ha apportato un valore aggiunto al patrimonio culturale e giuridico internazionale di riferimento. Partendo dal riconoscimento di determinati diritti, già contemplati dagli altri strumenti internazionali esistenti, e applicabili anche alle persone con disabilità, è approdata a una riformulazione concettuale e terminologica maggiormente rispondente a un nuovo modello di disabilità e al connesso processo di inclusione sociale (Griffo, 2007). Ciò ha permesso un cambiamento di focus passando dall’assistenza alle politiche dell’inclusione. La disabilità viene cosi concepita come una condizione che ogni essere umano può vivere, e che comporta la necessità di realizzare le attività quotidiane in modo differente (Borgnolo, 2009). Nell’affrontare la condizione di disabilità si fa riferimento all’interazione tra le caratteristiche delle persone e le barriere ambientali e che esse incontrano. Proprio per questo alla nozione di “diritti speciali”, ritenuta superata viene preferita quella di “bisogni speciali”, riconoscendo la necessità di costruire regole sociali, culturali e legali che offrano pari opportunità e non discriminazione (Griffo, 2009). Si tratta di una cambiamento radicale di prospettiva che può essere riassunto con un passaggio significativo descritto da Pontiggia:

“Quando Einstein, nella domanda del passaporto, risponde “razza umana” non ignora le differenze, ma le include in un orizzonte più ampio. È questo il paesaggio che si deve aprire sia a coloro che fanno della differenza una discriminazione, sia a quelli che, per evitare una discriminazione, negano le differenze” (Pontiggia, 2000: 42).

Oltre a queste innovazioni a livello organizzativo, il concetto di inclusione introdotto dalla Convenzione comporta anche una serie di novità anche a livello individuale. I concetti universali di dignità umana e partecipazione comportano il superamento della distinzione esistente tra chi è disabile e chi non lo è. Il cambiamento nella modalità di presa in carico mette ora l’accento sulla dignità dell’individuo, l’eguaglianza di trattamento e la piena inclusione nella vita della società, permettendo il passaggio dall’incapacità intesa come problema individuale alla discriminazione come prodotto dalla società; dalla condizione di cittadini invisibili al riconoscimento dei soggetti disabili come titolari di diritti (Griffo, 2009:13); da una concezione meramente assistenzialistica a progetti consapevoli e mirati di inclusione sociale che, pur non dimenticando le difficoltà oggettive, evidenzino anche le abilità e le risorse delle persone (Latti, 2010: 16); da leggi e pratiche discriminatorie alla realizzazione dei diritti umani al fine di rendere i servizi, i beni, e le strutture accessibili a tutti (Vadalà, 2009: 56-57). L’approvazione della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità ha dunque segnato una svolta culturale e politica, introducendo trasformazioni culturali, sociali, politiche e tecniche. Dall’incapacità come problema individuale,

42

alla discriminazione prodotta dalla società; dalla condizione di cittadini invisibili a quella di persone titolari di diritti umani; dalle politiche dell’assistenza e della sanità alle politiche inclusive e di mainstreaming; da oggetti di decisioni prese da altri a soggetti consapevoli che vogliono decidere della propria vita. Tuttavia la lenta ma progressiva crescita economica e la creazione di nuovi posti di lavoro non hanno comportato automaticamente il rafforzamento della coesione sociale né il miglioramento della situazione delle persone più emarginate della società, tra cui le persone in condizione di disabilità. Quasi contemporaneamente alla ratifica della Convenzione Onu, è stata adottata dalla Commissione la Strategia europea sulla disabilità 2010-2020. Il titolo evoca esplicitamente la precedente Strategia del 1996 e si pone in netta continuità concettuale con quest’ultima, in quanto mira a mettere le persone con disabilità in condizione di esercitare tutti i loro diritti e di beneficiare di una piena partecipazione alla società e all’economia europea (SEC, 2010). Infatti, questa nuova Strategia, come già la precedente, appare fortemente influenzata dal modello sociale e ha quale perno concettuale e programmatico l’eliminazione delle barriere alla partecipazione dei disabili alla vita sociale, culturale ed economica. In questo caso però la Strategia 2010-2020 si basa esplicitamente sulla Convenzione Onu e integra i principi di quest’ultima con gli obiettivi del più ampio piano ‘Europa 2020’ (COM, 2010), a sua volta teso a promuovere una “crescita intelligente, sostenibile e inclusiva”. Il principale elemento di novità sta nell’individuazione di otto specifiche aree in cui l’Unione europea si propone di agire in maniera congiunta agli Stati membri: accessibilità, partecipazione, uguaglianza, occupazione, istruzione e formazione, protezione sociale e salute. Un altro documento importante è rappresentato dall’Agenda 2030, firmata da tutti i Paesi dell’ONU nel 20159 che impegna governi, società civile e singoli verso un nuovo modello di sviluppo sostenibile, capace di sanare la frattura tra sistema uomo/sistemi viventi/sistema mondo prima che essa diventi irrecuperabile. Le variabili (ambiente, economia, società e istituzioni) che compongono il paradigma “sostenibilità” sono ovviamente interconnesse, di medio-lungo termine, con ricadute concrete e praticabili e, insieme, sono finalizzate al perseguimento di un obiettivo globale qual è quello indicato proprio al punto 16 dell’Agenda 2030 relativo alla promozione di “società pacifiche e più inclusive per lo sviluppo sostenibile” (ONU, 2015). Gli obiettivi citati dall’Agenda 2030 mirano alla realizzazione di una società che non lasci nessuno indietro a partire dalle fasce svantaggiate della popolazione, partendo dalla scuola e dal lavoro. Si fa dunque fa dunque riferimento ad una società in cui il lavoro deve essere concepito non solo come fonte di reddito, ma anche elemento fondante di una società inclusiva, una società più giusta, pequa, coesa e sostenibile, in linea con gli obiettivi comunitari e nazionali. Si passa, in altre parole, all’esplicito riconoscimento che l’obiettivo di una società sostenibile – perché inclusiva – non può essere raggiunto se non si prende in considerazione il ruolo delle persone con disabilità che, secondo il rapporto mondiale dell’OMS sulla disabilità del 2011, sono circa un miliardo. È un elemento di valore aggiunto che parte dalla constatazione che povertà e disabilità sono fenomeni che si rafforzano mutualmente e che la frequente condizione di multidiscriminazione cui sono soggette le persone con disabilità nel mondo (la dimensione disabilità interseca quella del genere, dell’occupazione, degli ostacoli ad degli ostacoli ad una effettiva partecipazione alla vita sociale e politica, solo per fare qualche esempio) può impedire il successo dell’ambizioso programma delle Nazioni Unite. La “dimenticanza” della disabilità da parte dell’ONU nelle precedenti azioni globali a favore dello sviluppo sostenibile era, di fatto, stata già sanata grazie all’adozione della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità (UNCRPD,

      

2006). La Convenzione, infatti, sancisce in modo inequivocabile il diritto per le persone con disabilità ad una effettiva inclusione nella società e al pieno godimento dei propri diritti umani, al pari di tutti gli altri cittadini. Tuttavia, gli obiettivi individuati dall’Agenda 2030 includono espressamente, in almeno 5 di essi (istruzione, occupazione, lotta contro la discriminazione, trasporti e spazi urbani, adeguata collazione di dati statistici), la disabilità come fattore di successo per il percorso verso uno sviluppo sostenibile. Si riprende, insomma, il concetto espresso qualche anno fa da Zygmunt Bauman (2002) secondo cui la robustezza di una società, al pari di quella di un ponte, si misura dalla forza dell’anello più debole (meglio, fragile) delle catene che lo sorreggono: la sfida, comune alla Convenzione del 2006 e alla Strategia Europea 2010-2020, è quella di rendere le donne e gli uomini con disabilità attori a tutto tondo (sociali, politici, economici) delle comunità. È una sfida che interessa anche l’Italia: non solo per i passi avanti che, al pari di tutti i Paesi sviluppati, deve compiere sulla promozione dei diritti delle persone con disabilità, ma anche perché il Comitato di Ginevra che monitora l’attuazione della Convenzione all’interno dei diversi paesi, nel formulare nel 2016 una serie di raccomandazioni sulla implementazione della Convenzione in Italia, ha espressamente legato le due dimensioni delle disabili. Disabilità e sostenibilità non solo non si escludono, ma devono interrelarsi per il successo delle rispettivi strategie, che sono interdipendenti.

Outline

Documenti correlati