• Non ci sono risultati.

Dalla dimensione politica alla dimensione sociale: il passaggio dalla logica dell’integrazione alla

I. Capitolo

4. Dalla dimensione politica alla dimensione sociale: il passaggio dalla logica dell’integrazione alla

dell’integrazione alla logica dell’inclusione; dal modello medico al modello biopsicosociale.

Si può notare come le politiche rivolte a favorire la partecipazione delle persone in condizione di disabilità nella società, siano state definite in termini di “inserimento” in un primo momento, di “integrazione” poi, fino ad arrivare ad una nuova formulazione rivolta all’“inclusione”. Parallelamente tali politiche hanno assunto talora il modello biomedico, talora il modello sociale come modelli di riferimento per definire e classificare la disabilità. È fondamentale dunque riflettere sull’ adozione di tali costrutti e di tali modelli al fine di coglierne le implicazioni non solo in termini di obiettivi perseguiti sul piano politico ma anche sul piano sociale e culturale ed infine individuale. L’inserimento riconosce il diritto delle persone con disabilità ad avere un posto nella società, ma si limita a inserirle in una zona spesso separata dalla società (un istituto o una classe speciale, ad esempio), oppure in una situazione passiva, di dipendenza e di cura. In questo caso, la decisione su dove debbano vivere e come debbano essere trattate le persone con disabilità non è presa da loro - o dalle loro famiglie, nel caso non possano rappresentarsi da sole - dipendendo bensì da decisioni di altri attori (medici, operatori di istituzioni pubbliche ecc.). Spesso, quindi, l’inserimento è basato su un approccio assistenziale (Griffo, 2012). L’inserimento è stato superato

nel corso degli anni da un approccio rivolto all’integrazione, con il quale si intende, come concettualizzato da Griffo (2012), quel processo che garantisce alle persone con disabilità il rispetto dei diritti all’interno dei luoghi ordinari, vissuti da tutte le persone, senza però modificare le regole e i principi di funzionamento della società e delle istituzioni che li accolgono. Nel processo di integrazione manca da parte della società, un adeguamento delle regole al fine di accogliere le persone disabili, le quali si vedono invece costrette a doversi adattare e ad accettare condizioni già definite, facendo venire meno l’importanza di quelle che invece si dimostrano essere le loro esigenze. L’integrazione delle persone in condizione di disabilità, non considera infatti l’insieme di barriere ed ostacoli che essi possono incontrare nel partecipare alla vita nella società. I disabili vengono infatti considerati come “ospiti”, e non come cittadini con la piena possibilità di far valere i loro diritti. L’Integrazione inoltre configura un approccio compensatorio e si riferisce esclusivamente all’ambito educativo guardando al singolo per intervenire prima sul soggetto e poi sul contesto, incrementando così una risposta specialistica.

L’obiettivo che sempre più le organizzazioni a livello internazionale (ONU, OIL in particolare) si pongono, è quello invece dell’inclusione quale processo che si riferisce alla globalità delle sfere educativa, sociale e politica guardando a tutti gli individui coinvolti (indistintamente/ differentemente) e a tutte le loro potenzialità e interviene prima sul contesto, poi sul soggetto trasformando la risposta specialistica in ordinaria. In questo caso, la persona con disabilità viene considerata come un Cittadino a pieno titolo e quindi titolare di tutti i diritti, come gli altri. Egli è parte della società e deve godere di tutti i beni, i servizi, le politiche e i diritti ad essa connessi (Griffo, 2012). Tale impostazione prevede che tutte le barriere e gli ostacoli che la società pone ai disabili, vengano rimossi quali causa di discriminazione. Se con l’integrazione i disabili erano costretti ad accettare le regole di una società predefinite, con l’inclusione l’obiettivo è quello di riscrivere tali regole, con la partecipazione di tutti i soggetti, riconoscendone le differenze, Come afferma Griffo “Il processo di inclusione non ha reale efficacia senza la partecipazione degli esclusi. Lo slogan del movimento delle persone con disabilità, “nulla su di noi senza di noi”, sintetizza questo valore, che d’altra parte è un valore universale, applicabile a tutto il genere umano” (Griffo,2007:177). Nei tempi odierni con sempre più forza si evidenzia la necessità dell’inclusione sociale quale passo in avanti che deve ancora essere compiuto del tutto dalla società. Tuttavia è frequente una confusione dei termini integrazione e inclusione che non sono affatto sinonimi anche se spesso vengono utilizzati come termini interscambiabili con cruciali ricadute sulle pratiche sociali ed educative. La strada che porta ad una piena declinazione dell’inclusione nei processi socio-culturali ed educativi è ancora lunga e complessa in quanto una società per potersi definire inclusiva deve essere in grado di riconoscere e valorizzare pienamente tutte le differenze intese in termini di infinite varietà delle diversità umane (condizioni di disabilità alle genialità, differenze di pensiero e di apprendimento, differenze di genere e orientamento sessuale, differenze culturali e linguistiche, familiari, socio-economiche e così via), ciascuna delle quali si traduce in una varietà di bisogni educativi speciali. Per meglio comprendere la necessità di questo passaggio appare opportuno declinare gli elementi caratterizzanti: l’integrazione e l’inclusione. La logica dell’integrazione ha come unico obiettivo di individuare mezzi, strumenti, metodologie finalizzate all’estensione dei servizi educativi, già presenti, a soggetti che ne sono esclusi; non si pone dunque il problema di rivisitare e trasformare servizi e pratiche che hanno prodotto esclusione. Tale logica pone al centro la questione di come assimilare chi è fuori un determinato assetto istituzionale attraverso un insieme di pratiche promuovendo così l’uguaglianza, ma non il rispetto della diversità

54

(Oliver, 1996). Alla base della logica dell’integrazione vi è il paradigma dell’assimilazione fondato sull’adattamento della persona in condizione di disabilità ad un’organizzazione che è strutturata fondamentalmente in funzione delle persone “normali”, e in cui la progettazione educativa per le persone disabili svolge ancora un ruolo marginale o residuale. Ciò implica l’uso di strategie per portare la persona in condizione di disabilità a essere quanto più possibile simile agli altri. Il livello di integrazione viene misurato a partire dal grado di normalizzazione raggiunto dalla persona disabile e la qualità di vita del soggetto in condizione di disabilità viene valutata in base alla sua capacità di colmare il varco che lo separa dai cosidetti “normodotati” (Striano, 2010). Differentemente dalla staticità che caratterizza la logica dell’integrazione, la logica dell’inclusione è di tipo processuale in quanto sostiene non solo l’integrazione degli esclusi, ma sollecita la modificazione in primis degli stessi sistemi formativi, problematizzando lo status quo e promuovendo l’interrogazione, da parte delle istituzioni, concernente alle procedure da trasformare, mediante un’opera di condivisione e co-costruzione con chi è escluso, affinché questa esclusione sia superata. I processi inclusivi pertanto non si limitano a mobilitare solo capacità tecniche (quali quelle previste dalla integrazione), ma un impegno a favorire contesti educativi che sappiano accogliere e promuovere la realizzazione di un progetto di vita indipendente e di una cittadinanza attiva. La logica dell’inclusione si fonda infatti sul paradigma della collaborazione che riconosce la rilevanza della piena partecipazione alla vita sociale da parte di tutti i soggetti; offre una cornice dentro cui tutti - a prescindere da abilità, genere, linguaggio, origine etnica o culturale - possono essere ugualmente valorizzati, trattati con rispetto e forniti di uguali opportunità. L’inclusione è ciò

che avviene quando “ognuno sente di essere apprezzato e che la sua partecipazione è gradita”11,

pertanto la nozione di inclusione non riguarda dunque solo le persone in condizione di disabilità, ma investe ogni forma di esclusione che può avere origine da differenze culturali, etniche, socioeconomiche, di genere e sessuali; riconosce che c’è un rischio di esclusione che occorre prevenire attivamente. Il problema dell’ inclusione sociale è strettamente connesso al problema della cittadinanza. La promozione della cittadinanza attiva passa attraverso l’ adozione di strategie dell’ istruzione e della formazione ; ciò significa garantire a un numero sempre maggiore di cittadini la possibilità di acquisire strumenti culturali e operativi. Investire sulla formazione in funzione dell’ inclusione sociale significa realizzare azioni, interventi orientati ad accompagnare le persone nel riconoscimento dei propri bisogni formativi come bisogni di apprendimento; ad allargare e moltiplicare le opportunità e le risorse formative presenti nei diversi contesti territoriali; sostenere punti di raccordo tra la formazione e il mercato del lavoro, promuovendo percorsi di apprendistato, stage e tirocinio (Striano,2013). Il bisogno di inclusione si configura come uno specifico bisogno sociale che richiede interventi mirati ed integrati ad opera di agenzie ed istituzioni in un’ottica lifelong learning. Pertanto devono essere garantite le condizioni di un apprendimento permanente e diffuso lungo tutto l’arco della vita e all’interno di vari contesti. Negli attuali scenari europei si riscontrano ancora livelli molto bassi di partecipazione alla formazione continua in particolare per le categorie a maggior rischio di esclusione tra cui le persone in condizione di disabilità. Tuttavia per poter meglio comprendere il costrutto di inclusione e le sue implicazioni appare opportuno effettuare una breve digressione e riflettere sul costrutto di esclusione sociale. Attualmente ci troviamo di fronte a uno scenario sociale dove il rischio di esclusione (in particolare per alcune tipologie di individui e gruppi) è estremamente forte e reale. I documenti Europei identificano l’esclusione sociale come “un processo attraverso cui alcuni individui sono spinti ai

      

margini della società e impediti alla piena partecipazione a causa delle loro condizioni di povertà, della loro mancanza di competenze di base e di opportunità di lifelong learning o come conseguenza di una discriminazione. Ciò li allontana dall’avere opportunità di lavoro, di reddito, di educazione e formazione così come dalle reti comunitarie e sociali e dalle attività in esse inscritte” (European Commission, 2004). Si tratta di un processo multidimensionale di progressive

rotture, che determina il lento ma inesorabile distacco di individui e gruppi dalle fondamentali relazioni e istituzioni sociali e impedisce la loro effettiva e piena partecipazione alle attività legittimate o prescritte normativamente dalle società in cui vivono. Il Center for the Analysis of Social Exclusion (CASE) della London School of Economics ha sostenuto una serie di ricerche sul costrutto di esclusione sociale e sugli indicatori che lo definiscono, mettendo a punto un parametro generale di riferimento secondo cui è possibile definire un individuo o un gruppo a rischio di esclusione quando non partecipa alle attività chiave della società in cui vive (Hills, Le Grand, Piachaud;2002) 12 . La partecipazione, quindi, è individuata come un indicatore essenziale di inclusione (e, per contro, di esclusione). Su queste basi, l’esclusione sociale è determinata fondamentalmente da quella che Sen ha definito “inabilità” a partecipare in modo efficace alla vita economica, sociale, politica e culturale, che determina di fatto “alienazione e distanza” dal mainstream sociale (Sen, 1999). L’inabilità (in contrapposizione alla “capabilità”) è una condizione, insieme, personale e sociale riferibile come una limitazione al “funzionamento” individuale e collettivo in relazione agli stati e alle attività costitutivi dell’essere sociale di una persona o di un gruppo (Sen, 1989). Un fattore determinante di esclusione sono, pertanto, le barriere culturali e strutturali che determinano una “deprivazione di capabilità” limitando il range di opportunità e di possibilità di ciò che le persone possono essere o fare nella loro vita. Come conseguenza di ciò, determinati individui o gruppi, in particolari contesti sociali, potrebbero non riuscire mai a esprimere appieno il loro potenziale e saranno esclusi dalla forza lavoro, dal consumo di beni, dall’accumulazione di ricchezza e dalle funzioni sociali. Il processo di esclusione si realizza attraverso una varietà di sottoprocessi che vengono a impedire sistematicamente l’accesso ai diritti (relativi sia all’impiego sia alla partecipazione democratica alla vita pubblica); alle opportunità (come ad esempio l’accesso ad opportunità di alloggio adeguate, alla cura della salute, all’istruzione e alla formazione, allo svago…); alle risorse (fondi di sussistenza, strumenti di sostegno sociale) che sono invece normalmente disponibili per i membri di una società. L’esclusione è, d’altronde, un processo non solo economico, ma culturale, rappresentazionale e simbolico. Essere socialmente esclusi vuol dire, in definitiva, essere privati di valore sociale e non essere di fatto riconosciuti come membri di una società, il che attiva, come reazione, una forte tensione verso il “riconoscimento” sul piano culturale, economico, politico, sociale (Honneth, 2002) In questa prospettiva, l’esclusione sociale impatta profondamente su tutti gli stati e su tutte le attività implicate in determinati sistemi sociali e influenza i processi di cambiamento e di sviluppo sociale in essi inscritti. Come nota Todman, l’esclusione sociale è caratterizzata da sei attributi chiave: la multidimensionalità (l’esclusione interessa diverse dimensioni come l’alloggio, l’istruzione e la formazione, l’impiego, la cura della salute, l’accesso ai sistemi legali e politici, l’accesso alle reti sociali); il dinamismo (l’esclusione è un processo dinamico); relatività (l’esclusione è un processo relativo a determinate condizioni culturali e storiche); la rottura di relazioni sociali fondamentali; la limitazione dell’accesso a risorse comuni; la limitazione delle possibilità di agire e partecipare alle diverse sfere della vita associata ( Todman, 2004). Bisogna inoltre riconoscere che esiste uno stretto rapporto tra

      

56

esclusione sociale e svantaggio, nella misura in cui sono entrambi concetti relazionali usati per etichettare delle patologie sociali che producono disagio e disuguaglianza; nondimeno, mentre lo svantaggio si riferisce a una condizione sociale e rinvia a uno stato di cose (ancorché suscettibile di cambiamento e di trasformazione), l’esclusione rinvia a una serie di processi che, insieme, vengono nel tempo a determinare una condizione esistenziale individuale e collettiva. In effetti lo svantaggio (in quanto sintomo di una patologia sociale) è il risultato di una serie di processi di esclusione sociale, che sono di fatto le vere patologie su cui soffermarsi e riflettere. In ogni caso, perché un intervento sia efficace è necessario intervenire, simultaneamente, sia sui sintomi sia sulla patologia, attraverso una molteplicità integrata di azioni di inclusione. L’inclusione può essere descritta come un processo multidimensionale, volto a ridurre i confini economici, sociali e culturali tra coloro che sono inclusi ed esclusi da un contesto sociale, rendendo progressivamente tali confini sempre più permeabili. Si tratta di un processo dinamico, in stretta correlazione con i cambiamenti economici, culturali e sociali, che connotano i mutevoli scenari del mondo in cui viviamo, da cui deriva un progressivo mutamento degli stessi confini su cui il processo di inclusione viene a intervenire, modificando le forme e i modi di partecipazione alla vita associata e politica, l’uguaglianza di opportunità e di risorse, i livelli di benessere. All’interno del processo in questione sono individuabili alcune dimensioni costitutive, su cui è possibile intervenire in modo differenziato ma integrato, allo scopo di realizzarne le finalità in modo efficace e stabile: la dimensione culturale, che implica il riferimento a norme, valori, modi di vivere; la dimensione economica, che si riferisce al reddito, alle condizioni abitative e alle condizioni di impiego; la dimensione sociale, riferibile ai legami familiari, amicali e alle relazioni comunitarie (Striano, 2013). L’inclusione sociale, quindi, si realizza all’interno delle suddette dimensioni attraverso una varietà di azioni, scelte, strategie. La presenza o assenza o la deprivazione di “capabilità” è, quindi, cruciale nella promozione dell’inclusione sociale, intesa come quel processo di progressiva inclusione e partecipazione alle attività sociali di sempre più ampi numeri di individui e gruppi sulla base di nuove opportunità di accesso ai beni e alle risorse essenziali (Striano,2013). Come abbiamo sottolineato, infatti, l’inclusione sociale è essenzialmente basata e determinata dallo sviluppo di “capabilità” individuali e collettive. Secondo Sen, per poter identificare la presenza/assenza di “capabilità” all’interno di un sistema sociale bisogna prendere in considerazione cinque elementi: a) autentica libertà nella possibilità di determinare i vantaggi individuali e collettivi; b) valorizzazione delle differenze individuali nella trasformazione delle risorse disponibili in attività degne di valore; c) presenza di attività multivariate orientate a produrre e mantenere livelli adeguati di felicità e di benessere; d) bilanciata combinazione di fattori materiali e immateriali a sostegno del benessere individuale e collettivo; e) preoccupazione condivisa per un’equa distribuzione di opportunità e risorse all’interno della società(Sen,1999). All’interno di questo framework, allo scopo di sostenere il recupero, il mantenimento e lo sviluppo di capabilità è estremamente importante sostenere individui, comunità e gruppi con dispositivi e strumenti che li aiutino a esprimere pienamente il proprio potenziale, sulla base di crescenti livelli di consapevolezza dei propri bisogni, possibilità e diritti. Solo se vi è una piena coscienza dei bisogni sociali, che implica una consapevolezza dei sistemi sociali e del loro sviluppo, può essere possibile diventare consapevoli dei propri bisogni educativi e connettersi con altri individui e gruppi che condividono le stesse condizioni.

5. La definizione della disabilità: dal modello medico al modello sociale alla luce dei processi

Outline

Documenti correlati