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Il lavoratore disabile al centro: dalla condizione di disabilità alla valorizzazione delle competenze

I. Capitolo

2. Il lavoratore disabile al centro: dalla condizione di disabilità alla valorizzazione delle competenze

L’azienda, alla luce di queste considerazioni, deve realizzare un bilancio di competenze completo e realistico per riuscire a capire ciò che la persona è in grado di fare, le esperienze che ha maturato, i ruoli che può ricoprire ed i compiti che è in grado di svolgere. Il problema vero, per chi si occupa di gestione aziendale, è quello di entrare nella dimensione del singolo, di avere il tempo e la pazienza di verificare, di volta in volta, quali siano le potenzialità presenti e non ancora colte da poter utilizzare nel contesto lavorativo. I lavoratori disabili sono persone differenti, non solo per le competenze che possiedono, ma anche perché pongono all’impresa un interrogativo circa la gestione delle loro peculiarità. Emerge una nuova cultura, che va al di là delle pur positive attenzione e tutela rivolte ai disabili. Questo nuovo approccio parte dalla valutazione delle competenze e delle motivazioni dei potenziali addetti, con la finalità di aiutare le imprese ad assumere e valorizzare i disabili sulla base delle loro skills. L’obiettivo non è solo quello di gratificarli e renderli maggiormente autonomi ma, anche, di incrementare la produttività dell’impresa (Bombelli et al, 2008: 100). Per poter compiere questo tipo di valutazione, serve un cambiamento di mentalità che è possibile solo attraverso una formazione specifica che migliori le capacità di lettura del candidato, in modo da coglierne le potenzialità e le competenze (AAVV, 1999: 9). L’azienda, per realizzare una valutazione che realizza questi obiettivi, ha due possibilità: modificare i tradizionali parametri di valutazione; mettere a punto dei progetti individualizzati che valorizzino le potenzialità dei lavoratori. La modifica dei tradizionali parametri di valutazione I tradizionali parametri di riferimento per la valutazione possono essere troppo penalizzanti per i lavoratori disabili e l’introduzione di modifiche può renderli più accessibili. Sostituendo il termine “camminare” con il termine “mobilità”, ad esempio, è possibile includere anche lo spostamento grazie all’aiuto di ausili (sedia a rotelle) mentre “stare in piedi” può essere sostituito con la capacità di raggiungere, o mantenere, una posizione attraverso l’ausilio di sedie regolabili. In modo simile, l’ambito della comunicazione può includere la capacità di capire e di farsi capire non solo attraverso l’utilizzo della parola ma utilizzando qualsiasi altro linguaggio. La sfera cognitiva, invece, può prevedere l’indicazione relativa alla capacità di svolgere il compito richiesto, senza necessariamente utilizzare la procedura standard. Infine, le relazioni con i colleghi possono essere valutate in termini di ragionevolezza dell’atteggiamento, più che di disagio e paura creati negli altri (Hall, 2011: 74). La messa a punto di progetti individualizzati che valorizzino le potenzialità dei lavoratori Un secondo cambiamento riguarda il tentativo di mettere a fuoco progetti individualizzati, che esplorino e valorizzino le capacità e provino ad espandere le potenzialità dei candidati (Angeloni, 2010: 192). Questo è possibile analizzando le risorse spendibili e quelle potenziali che, variamente combinate nel funzionamento psicofisico della persona, possono metterla in condizione di sperimentarsi come lavoratore. Nella sua valutazione, il datore di lavoro dovrebbe: concentrarsi sulle capacità del lavoratore e verificare che corrispondano davvero a ciò di cui lui ha bisogno; ricevere input dalle persone disabili stesse rispetto alla loro capacità di svolgere i compiti e coinvolgerli in tutte le decisioni; concentrarsi sulle funzioni essenziali del lavoro, piuttosto che su quelle marginali e offrire stage e periodi di prova (Gilbride, 2003: 135). La valutazione, in questo senso, si basa sia sulle capacità reali, che su quelle potenziali. Alcuni principi possono aiutare il datore di lavoro a muoversi in questa direzione:

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 effettuare un’analisi realistica delle caratteristiche personali (le risorse e gli ostacoli): consente di ricordarsi della patologia ma senza farsi imprigionare da essa. Gli aspetti importanti da valutare sono: la maturità emotiva e la qualità della socializzazione della persona; il ruolo della famiglia e delle reti sociali; la rappresentazione del lavoro e dei limiti personali;

 progettare con: è necessario il coinvolgimento in primis della persona stessa, poi della famiglia e della comunità, in modo da costruire relazioni ed alleanze significative;

 ricordare che il lavoro non è un fine ma un mezzo: quando la persona deve entrare nel mondo del lavoro, ci sono due ostacoli diversi. In primo luogo c’è la preoccupazione da parte dell’azienda, che teme che la persona possa farsi male, produrre poco o richiedere accomodamenti troppo impegnativi. Secondariamente esiste il timore della persona con disabilità (e della famiglia) che si preoccupa di dover rinunciare ad una pensione di invalidità in favore di uno stipendio (Battarella, 2009: 179-184). Le tradizionali abilità possono essere modificate in modo comprendere quegli elementi che determinano una valutazione più realistica. Alcune di queste abilità possono essere: il grado di tenuta motivazionale nel fronteggiare le aspettative disattese e le situazioni frustranti viste alla luce della storia specifica; il grado di consapevolezza rispetto alle esperienze pregresse vissute in campo lavorativo e scolastico; la presenza e la qualità delle spinte emancipative attuali e passate; il grado di governabilità della propria autonomia personale con o senza ausili; il livello di capacità comunicativa “finalizzabile” alla interazione con l’ambiente per il raggiungimento di scopi comuni oltre che all’espressione e soddisfazione di bisogni personali; la possibilità di accesso ad un esame di realtà permeabile all’esperienza ed accessibile all’aiuto nei momenti di difficoltà; la qualità dei vissuti inerenti alla propria storia personale e alle attuali condizioni di svantaggio e di limite; le condizioni relazionali ed emotive del soggetto all’interno del nucleo familiare; il grado di individuazione e confusività rispetto alle figure parentali; la possibilità e il grado di orientamento e di investimento sul compito rispetto al bisogno e alla ricerca di continue conferme nella relazione interpersonale; il grado di controllo emotivo; la possibilità di stabilire relazioni sufficientemente sintoniche al contesto. Tali considerazioni introducono una nuova questione, ovvero, come è possibile compiere tale valutazione in modo da non penalizzare i lavoratori disabili e, anzi, facendo in modo che possano emergere le loro potenzialità. Il lavoratore disabile deve poter dare un contributo prezioso all’organizzazione, per cui il criterio di scelta deve essere basato sull’abilità del candidato a svolgere le funzioni essenziali richieste dal lavoro. Focalizzare l’attenzione sulle componenti essenziali significa considerare i risultati, senza prestare attenzione ai mezzi utilizzati dai lavoratori stessi per realizzarli (Balasubramanian, 2013: 247). Questo cambiamento concettuale contempla le possibilità di svolgere le mansioni grazie all’aiuto degli ausili (Mitchell et al, 1998: 34). Ma come vengono prese le decisioni? La valutazione sembra seguire due diverse possibilità a seconda della tipologia di azienda laddove le grandi organizzazioni utilizzano le procedure tradizionali come i test e il colloquio; le piccole e medie imprese, invece, si affidano più all’istinto del selezionatore.

Quando si prende in considerazione la possibilità di modificare le tradizionali procedure, il riferimento principale è ai test standardizzati e al colloquio. Sostenere un test, per le persone disabili, è una sfida speciale, perché i datori di lavoro sono spesso inconsapevoli delle limitazioni causate dalla patologia che resta non esplorata, esattamente come la soggettività e le sue caratteristiche personali (Anastasi, Urbina, 1997: 58). Può essere particolarmente difficile selezionare i test prima di aver conosciuto la persona e riuscire a separare i livelli di capacità, le caratteristiche personali e le limitazioni. È difficile valutare i punteggi ottenuti dai lavoratori disabili e interpretarli (Stone, Williams, 1997: 215). Le imprese con politiche flessibili sembrano

essere maggiormente disposte a modificare le loro pratiche e, di conseguenza, hanno più possibilità di individuare gli strumenti migliori per selezionare i lavoratori disabili (Stone, Williams, 1997: 214). Una seconda possibilità di valutazione tradizionale è il colloquio, talvolta sostenuto con l’assistenza degli specialisti, e dopo aver letto la documentazione medica del candidato. Questo è visto come la modalità migliore per identificare quale candidato si adatti meglio, nelle credenze, alle particolari esigenze dell’organizzazione e consente di superare i limiti dei test (Klimoski, Palmer, 1993: 20) . Anche questo strumento, però, non è esente da rischi; la difficoltà principale è l’influenza che possono avere una serie di elementi come i comportamenti non verbali e la formazione personale di chi lo conduce (Howard, Ferris, 1996: 112). Queste forme di valutazione, diffuse tra le grandi aziende, sono invece molto meno utilizzate nelle piccole e medie organizzazioni.

Nonostante l’esistenza di queste procedure, come emerso già in precedenza, le decisioni possono essere affidate ai pregiudizi cognitivi, soprattutto quando c’è ambiguità sul livello di abilità della persona (Stone, Williams, 1997: 217). In particolare, nelle piccole e medie aziende i responsabili delle risorse umane si affidano più all’esperienza pratica e prendono le decisioni in autonomia, senza consultarsi con altri componenti del gruppo di lavoro (Bacon et al, 2006: 88); a guidare le scelte è soprattutto l’istinto, un processo implicito di apprendimento che porta allo sviluppo di tacite interpretazioni che poi, però, diventano esplicite e condizionano le scelte (Hogdkinson et al, 2008); i test sono considerati meno attendibili rispetto alle sensazioni (Lodato, 2008: 67) ed è determinante la prima impressione del candidato e il suo grado di rispondenza alle aspettative iniziali del selezionatore (Davidson, 2011: 60). Accanto a questa dimensione “istintuale”, gli elementi che possono influenzare la scelta, sono:

• le strategie legali: influiscono nel processo decisionale ma sicuramente non possono essere l’unico fattore che determina la decisione. È necessario identificare incentivi diversi come la pubblicizzazione delle esperienze di successo e la creazione di un sistema di premi per i manager che riescono ad integrare le persone disabili (Stone, Williams, 1997: 218);

• la dimensione relazionale: le possibilità di interazione tra datori di lavoro e lavoratori, e l’opportunità di creare spazi di negoziazione, possono favorire l’assunzione (Gouvet, 1991: 124);

• gli accomodamenti per poter portare a termine il compito richiesto: si tratta della possibilità di introdurre modifiche nell’organizzazione; il rischio, però, talvolta, è che i costi siano considerati troppo alti se messi in rapporto con i benefici (Stone, Williams, 1997: 218).

I fattori che determinano la scelta di assumere, nel caso delle piccole e medie aziende, quindi, coinvolgono sia elementi esterni all’organizzazione (come le strategie legali) che quelli interni (come la possibilità di introdurre modifiche. Grazie al processo di valutazione, quindi, l’azienda giunge all’individuazione del candidato; per poter iniziare il periodo di prova, però, è necessario ottenere anche il parere positivo del medico. L’ultimo step del processo di selezione è legato al superamento delle visite mediche; poi può iniziare il contratto a tempo determinato. La valutazione medica si compone di due aspetti: capacità del lavoratore di portare a termine il compito richiesto; compatibilità tra le caratteristiche della patologia e quelle della mansione.

La normativa statunitense, che ha orientato questo modello, proibisce di effettuare valutazioni mediche prima di aver proposto il lavoro, proprio per evitare il rischio di escludere a priori i

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candidati disabili (Stone, Williams, 1997: 220). Anche nel nostro ordinamento legislativo, l’incontro con il medico avviene in una fase successiva alla scelta del datore di lavoro che, però, conosce la percentuale di invalidità del candidato prima dell’inizio della selezione. Il dottore deve essere informato delle funzioni necessarie sia a livello fisico sia mentale, per poter svolgere il lavoro. Quando ha a disposizione questi elementi conduce l’esame per accertarsi che siano presenti tutti i requisiti adatti per portare a termine la mansione richiesta: nei casi in cui la valutazione è positiva, la persona deve essere automaticamente assunta. Può capitare, però, che l’esito sia negativo; in quelle circostanze, prima di escludere il candidato, è necessario verificare se i problemi possono essere risolti con un l’introduzione di modifiche nell’organizzazione, che vengono definite accomodamenti (Segal, 1992: 103-104). Questo concetto verrà ampiamente ripreso successivamente, poiché rappresenta uno dei nodi chiave per garantire la permanenza della persona disabile nell’organizzazione. Il medico, però, è anche garante della verifica che non ci siano impedimenti medici alla possibilità di svolgere la mansione. Il dottore è la figura che certifica la compatibilità, a livello medico, tra il candidato e la mansione proposta. É sempre lui, poi, che monitora l’andamento delle condizioni di salute del lavoratore ed è garante del rispetto delle indicazioni mediche sancite, che possono subire aggiornamenti nel corso del tempo. Se la valutazione medica ha dato esito positivo, può iniziare il periodo di prova, che ha una durata diversa, a seconda dei diversi accordi tra lavoratore e azienda. La descrizione di questo modello ci ha consentito di ripercorrere i passaggi che conducono il lavoratore disabile sino all’interno dell’organizzazione. Abbiamo avuto modo, così, di iniziare a fissare, come in una fotografia, alcuni elementi che sembrano condizionare l’andamento del percorso. In particolare, paiono essere nodi significativi:

• la scelta dei canali di reclutamento; • l’identificazione della mansione;

• gli strumenti utilizzati nella valutazione del candidato; • il peso degli stereotipi e dei pregiudizi.

3. I fattori che condizionano l’esperienza professionale delle persone in condizione di disabilità: il modello di Stone e Colella

Proprio in quello stesso periodo Stone, insieme a Colella, intraprende una riflessione volta a creare un modello che, questa volta, riesca a rendere conto del trattamento che i lavoratori disabili ricevono una volta che sono entrati nell’organizzazione. Il modello di Stone e Colella nasce dalla consapevolezza, da parte dei due ricercatori, dell’assenza di un quadro complessivo in grado di analizzare i fattori che condizionano il trattamento delle persone con disabilità all’interno delle organizzazioni. I loro obiettivi sono:

• colmare questa lacuna nella letteratura e fornire un punto di riferimento per la comprensione dei fattori che influenzano il trattamento dei dipendenti disabili;

• generare un maggiore interesse per le questioni della disabilità tra i ricercatori che si occupano di organizzazione;

• offrire una guida utile per lo svolgimento di ricerche future sul trattamento delle persone con disabilità in contesti legati al lavoro.

Il modello è interessante perché, oltre che porsi come riferimento per spiegare la realtà consente di riorganizzare gli studi condotti fino a quel momento, rappresentando un punto di partenza per le ricerche successive e può avere importanti implicazioni per eliminare pregiudizi e garantire l'equo trattamento delle persone disabili nelle organizzazioni.

In estrema sintesi, la loro proposta considera che la normativa e le caratteristiche organizzative influenzano gli attributi della persona disabile, quelli dell’osservatore e la natura del lavoro. Questi elementi, a loro volta, determinano sia le reazioni psicologhe dell’ osservatore (categorizzazione, stereotipi, aspettative e reazioni affettive) che le sue aspettative relative al lavoro (possibilità di contatto e risultati previsti dall’interazione). L’insieme di tali fattori, poi, condiziona il trattamento delle persone disabili e loro le risposte sia in termini sia di comportamenti, che di stati affettivi (Stone, Colella, 996: 356). Prima di procedere con l’analisi del primo blocco, quello della legislazione, può essere utile definire i tre presupposti di fondo del modello:

• la multidisciplinarietà dei contributi: si avvale dell’apporto di diverse discipline, come la psicologia sociale, la sociologia, la psicologia e l’ambito della riabilitazione; capacità la multi- fattorialità: sono presenti sia fattori personali che ambientali ed, entrambi, influenzano il trattamento delle persone disabili nelle organizzazioni;

• la pluralità di soggetti: il termine osservatori comprende tutti coloro che possono interagire con la persona disabile e costruire giudizi su di lei.

La scelta degli autori è stata quella di escludere i lavoratori disabili che valutano se stessi (Stone, Colella, 1996: 352).

La normativa ha un impatto sulle caratteristiche delle organizzazioni come la tecnologia, le norme, i valori, le politiche e le pratiche che, a loro volta, influenzano le persone che lavorano nell’organizzazione. E’ possibile identificare due strategie che le istituzioni possono utilizzare per favorire l’occupazione delle persone disabili:

• la forza della persuasione: sensibilizzare e invitare le aziende ad assumere le persone con disabilità;

• i sistemi di quote: la presenza di obblighi che costringono a trattenere forza lavoro disabile. In entrambi i casi, sembra comunque esserci una sorta di messaggio, tra le righe, che ribadisce l’inferiorità di questi lavoratori e alimenta il loro sentimento di dipendenza dagli altri. Il processo sociale, di fatto, conferma che ci sono degli individui all’interno della società che sono svalutati (Gladstone, 1985: 106).

Preso atto che la normativa ha, sicuramente, delle ripercussioni sull’esperienza lavorativa delle persone disabili, la letteratura “si spacca” in due tronconi, piuttosto netti: da una parte ci sono coloro che sostengono i benefici che può apportare; dall’altra, ovviamente, quelli che ne sottolineano i limiti. Coloro cioè ritengono che la normativa aiuti l’occupazione delle persone disabili, sostengono che, grazie all’influenza delle leggi, i datori di lavoro: possono essere più propensi a realizzare strutture accessibili ai lavoratori disabili oppure a modificare gli orari o le mansioni per agevolare il loro lavoro; conoscono i loro doveri e, quindi, hanno un atteggiamento più positivo nei confronti dei loro dipendenti (Jackson et al, 2000). temono le sanzioni pecuniarie e ciò funziona come un incentivo per migliorare il trattamento che riservano loro ( Lalive et al, 2013: 25-27). D’altra parte, però, i detrattori della legislazione, sono convinti che:

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• possa fare ben poco per modificare le reazioni affettive e i comportamenti dei datori di lavoro (soprattutto nei confronti delle disabilità più visibili);

• debba fare i conti con la soggettività dei datori di lavoro che rende differenti anche le reazioni, (tanto che sembra inevitabile giungere a risultati tra loro contraddittori) (Clayton S. et al, 2012: 435);

• evochi sentimenti negativi quando l’assunzione è percepita come una coercizione e non, invece, come un’opportunità;

• crei un immaginario che considera la selezione solo frutto di un obbligo e non, anche, di una scelta dettata dalle abilità del candidato (Stone, Colella, 1996: 353). Una seconda serie di elementi critici è legata, invece, alle possibilità di permanenza del soggetto disabile all’interno dell’organizzazione, soprattutto nelle piccole e medie imprese che sono il focus della nostra analisi. I datori di lavoro, in questo caso:

• lamentano la tendenza delle istituzioni a combattere la discriminazione delle persone disabili, senza tener conto della loro realtà economica;

• attuano comportamenti tesi ad adempiere agli obblighi riducendo al minimo i loro sforzi (Jigsaw Research, 2009: 10);

• dichiarano che l’assunzione deriva più da una forzatura piuttosto che da una scelta autonoma e convinta (Cartwright et al, 2009:12).

Quindi, provando a sintetizzare i risultati della ricerca che ha affrontato la questione del ruolo della normativa nell’assunzione dei lavoratori disabili, possiamo dire che non si riesce a definire, in modo assoluto, se sia un aiuto o un ostacolo.

Ciò che sembra accomunare le due prospettive, però, è la convinzione che la normativa, insieme ai suoi incentivi e alle sue ammende, non può essere sufficiente a determinare un positivo trattamento delle persone disabili, senza la contemporanea modifica delle percezioni dei datori di lavoro ed una maggiore comprensione del significato, anche sociale, che questa esperienza può assumere (Cartwright et al., 2009:12). Dopo aver analizzato il ruolo delle leggi, possiamo introdurre il secondo elemento del modello, ovvero le caratteristiche dell’organizzazione, intese sia come struttura e ambiente fisico che come insieme di valori e norme che guidano l’operato dei diversi membri.

4. Le caratteristiche organizzative: la dimensione dell’azienda, la tipologia di mansione e i

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