QUESITI CLINICI
10. Nelle pazienti affette da linfoma mammario indolente è indicata la radioterapia esclusiva rispetto alla sorveglianza, per ridurre la recidiva locale?
3.3.6 Carcinoma Mammario e Gravidanza
QUESITO CLINICO n. 8
Nelle pazienti affette da carcinoma infiltrante della mammella in corso di gravidanza, è indicata la radioterapia dopo chirurgia conservativa, rispetto alla sola chirurgia, per ridurre la recidiva locale?
Il trattamento radiante adiuvante non deve essere somministrato durante la gravidanza: si stima infatti che alla dose terapeutica di 50 Gy il feto riceva dai 0,039 ai 0,15 Gy nel primo trimestre fino a 2 Gy verso la fine della gravidanza, periodo in cui l’utero risale anatomicamente al di sotto del
diaframma. Queste dosi sono pericolose per il feto, anche nel terzo trimestre; l’uso di adeguate
schermature può ridurre la dose di circa il 50%, ma i valori raggiunti sono ancora considerati a rischio Qualità dell’evidenza SIGN Raccomandazione clinica Forza della raccomandazione clinica D
Nelle pazienti affette da carcinoma infiltrante della mammella in corso di gravidanza, sottoposte a chirurgia conservativa, il trattamento radiante adiuvante non deve essere somministrato durante la gravidanza.
Negativa forte
QUALITA’ GLOBALE DELL’EVIDENZA: Molto Bassa
La diagnosi di carcinoma della mammella durante la gravidanza rappresenta un evento raro, di profondo impatto psicologico sulla vita della paziente, della sua famiglia, del medico e comporta anche risvolti di tipo etico e professionale.
Il tumore della mammella è la più comune neoplasia nelle donne in gravidanza, con 1 caso su 3.000 donne circa. La maggior parte dei casi è diagnosticata dopo il parto. Le pazienti hanno un'età media compresa tra 32 anni e 38 anni (73-75).
L’insorgenza del carcinoma mammario durante la gravidanza non è associata a specifici fattori di
rischio; i fattori ambientali sembrano essere simili a quelli della popolazione generale (73, 74, 76), fra i fattori genetici va menzionato che circa il 33% delle pazienti ventenni e il 22% delle trentenni presentano mutazioni a carico dei geni BRCA1 e BRCA2 (77).
La neoplasia si presenta come un nodulo non dolente che può essere sottostimato per i fisiologici cambiamenti ai quali va incontro il parenchima mammario (ipertrofia e congestione) e ciò può determinare un ritardo nella diagnosi (73-75,78). Generalmente la malattia si presenta in fase avanzata e con caratteristiche biologiche di elevata aggressività (79).
Per quanto concerne la diagnosi strumentale, l’ecografia, per la sua alta sensibilità e specificità (che si attestano intorno al 100%), specie nelle pazienti più giovani, è l’esame standard da utilizzare
nelle donne in gravidanza con sospetta neoplasia mammaria. Alla luce del fatto che con la mammografia sono stati documentati fino al 25% di falsi negativi, in questo setting tale esame può essere eseguito ad integrazione, in caso di sospetta multifocalità, utilizzando un’adeguata schermatura addominale con riduzione della dose assorbita da parte del feto a circa 0.004 Gy, considerata ancora una dose di relativa sicurezza (80).
La risonanza magnetica della mammella può essere presa in considerazione nel primo trimestre solo in casi selezionati, in quanto i mezzi di contrasto a base di gadolinio sono in grado di oltrepassare la barriera placentare con conseguente potenziale tossicità fetale (81). L'accertamento bioptico riveste un ruolo fondamentale nell'iter diagnostico. Il prelievo deve giungere all'anatomo-patologo opportunamente integrato con l'informazione dello stato della paziente per una corretta interpretazione del quadro istologico e delle modifiche fisiologiche correlate con la gravidanza (82). Dal punto di vista istologico e immunoistochimico, si riscontra più frequntemente il carcinoma duttale infiltrante di alto grado, con linfonodi positivi, recettori negativi, con positività di HER-2 (nel 30% dei casi), alto indice di proliferazione e mutazioni a carico di p53, dati che tuttavia secondo un'analisi caso-controllo aggiustata per età, sembrano essere correlati con l'età alla diagnosi più che con lo stato gestazionale. Solo le maggiori dimensioni e l'invasione linfovascolare alla diagnosi sembrano essere più frequentemente riscontrate nelle donne in gravidanza (82).
Gli esami di stadiazione vengono richiesti in base all'estensione di malattia e all’eventuale sospetto
di malattia metastatica. L'esposizione del feto alle radiazioni ionizzanti con dosi superiori a 0.1 Gy può causare nel primo trimestre malformazioni congenite, ritardo mentale e incrementare il rischio
di cancerogenesi. In base a questi dati si ritiene di poter effettuare in sicurezza, oltre all’ecografia
addominale anche la radiografia del torace, che, se correttamente eseguita, espone il feto ad una dose di 0.0001 Gy (82, 83). Per la diagnosi di metastasi ossee è controindicata la scintigrafia ossea, ma può essere presa in considerazione eventualmente la RM senza mezzo di contrasto (84).
Il trattamento proposto può variare in base all’aggressività del tumore e al rischio accettabile per la madre e per il nascituro.
Non ci sono studi randomizzati né metanalisi, data anche la rarità della condizione, cosa che influenza anche la qualità delle evidenze.
La chirurgia presenta anche in gravidanza un ruolo primario nell'iter terapeutico e, a seconda che la neoplasia sia diagnosticata all'inizio o alla fine del periodo gestazionale, la scelta può ricadere su un intervento di mastectomia radicale o di chirurgia conservativa, seguita da radioterapia dopo il parto (80).
Nonostante la biopsia del linfonodo sentinella sembrerebbe, dai pochi dati di letteratura disponibili, essere attuabile e sicura in considerazione della bassa dose di radiazioni al feto, (84,85), è tuttavia sconsigliata al di sotto delle trenta settimane di gestazione.
Sebbene con un tasso di affidabilità tra il 65 e il 90%, l’uso del colorante vitale (Patent Blue V) può
sostituire in tutta sicurezza quello del radioisotopo (86).
Dalle esperienze della letteratura si evince che, a parte qualche limitazione, la chemioterapia possa essere effettuate durante la gravidanza e i dati a disposizione mostrano che gli schemi a base di antracicline possano essere utilizzati durante il secondo e il terzo trimestre, più limitati invece sono i dati di sicurezza nel primo trimestre.
La terapia ormonale, gli anticorpi monoclonali e la radioterapia devono essere utilizzate dopo il parto (73,76,83,84).
Per quanto riguarda la radioterapia, si stima che alla dose terapeutica di 50 Gy il feto riceva dai 0,039 ai 0,15 Gy nel primo trimestre fino a 2 Gy verso la fine della gravidanza, periodo in cui
l’utero risale anatomicamente al di sotto del diaframma. Queste dosi sono comunque pericolose per
il feto, anche nel terzo trimestre. L’uso di adeguate schermature può ridurre la dose di circa il 50%, ma i valori raggiunti sono ancora considerati a rischio (85).
3.3.6.1 Gravidanza in Pazienti trattate in precedenza per Neoplasia Mammaria
Solo il 10% delle donne trattate per neoplasia mammaria concepisce successivamente, con una frequenza quindi del 50% rispetto alla popolazione sana di analoga età.
La gravidanza non sembra influenzare negativamente la prognosi della pregressa neoplasia mammaria (76). Un recente studio fornisce anzi prove rassicuranti sulla sicurezza a lungo termine della gravidanza nelle donne sopravvissute al cancro al seno, dimostrando che, dopo un follow-up mediano di 7,2 anni dopo la gravidanza, non è stata osservata alcuna differenza nella sopravvivenza libera da malattia ne nella sopravvivenza globale tra pazienti in gravidanza e non in gravidanza con
(77). L’allattamento può essere reso problematico, per le alterazioni indotte dal precedente
trattamento radiante.
A causa dell'effetto citotossico sulle cellule germinali dell'ovaio causato dai chemioterapici utilizzati nella terapia del tumore della mammella, non è infrequente l'insorgenza di un'insufficienza ovarica che è causa di una menopausa precoce. Per tale motivo è raccomandato che alle donne in premenopausa vengano fornite tutte le informazioni necessarie in merito all'eventuale preservazione della fertilità e alle più moderne tecniche di fecondazione assistita (78,79).
Il tasso di infertilità iatrogena da farmaci è strettamente dipendente dalla classe, dose e posologia
dei farmaci chemioterapici utilizzati, dall’età della paziente e dalla sua condizione di fertilità
precedente le cure oncologiche (77). Alcuni esperti ritengono di poter raccomandare l’uso degli
analoghi dell’LhRH come metodo di conservazione della fertilità nelle giovani donne con cancro al
seno, pur riconoscendone le limitazioni, le controversie e i potenziali rischi (77)
La stimolazione ovarica con alte dosi di estrogeni o con letrozolo e gonadotropine è ancora
controversa: tuttavia l’uso dell’inibitore delle aromatasi e delle gonadotropine non ha documentato,
dopo un followup superiore a 5 anni, un aumento del rischio di recidive nè un peggioramento della sopravvivenza (81)