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Terapia Sistemica Primaria

Nel documento Best Clinical Practice (pagine 48-51)

QUESITI CLINICI

2. Nelle pazienti con carcinoma mammario invasivo sottoposte a chirurgia e con indicazione a chemioterapia adiuvante (regimi contenenti antracicline e/o taxani), la

2.2. Terapia Sistemica Primaria

2.2.1 Introduzione

La chemioterapia primaria o neoadiuvante presenta delle differenze sostanziali rispetto ad un utilizzo adiuvante della terapia sistemica (chemioterapia, ormonoterapia) nel trattamento del carcinoma mammario non metastatico. Infatti, mentre tutta la terapia sistemica ha prevalentemente lo scopo di ridurre il rischio di recidiva, lo scopo della chemioterapia neoadiuvante è primariamente quello di ottenere una significativa riduzione del tumore primitivo, che possa consentire un intervento chirurgico meno esteso, oltre a quello di sterilizzare possibili focolai di malattia che possano causare diffusione a distanza della malattia. Pertanto, in quelle pazienti che rispondono al trattamento farmacologico ed in cui può essere quindi eseguita una chirurgia di tipo conservativo, è possibile evitare i rischi associati alla ricostruzione, ottenendo un miglioramento dei risultati estetici

ed una complessiva riduzione delle complicanze postoperatorie, soprattutto in caso di radioterapia postoperatoria [1-5].

La terapia neoadiuvante consente inoltre una valutazione precoce dell'efficacia della terapia sistemica in relazione alla presenza o l'assenza di cancro invasivo residuo dopo terapia (risposta patologica completa, pCR, definita come assenza di tumore invasivo nella mammella e nei linfonodi sentinella/linfonodi).

. La pCR è difatti un fattore prognostico molto rilevante per il rischio di recidiva, specialmente nel carcinoma mammario HER2-positivo e nei tumori triplo negativi [6]. Per quanto riguardo l’impatto della chemioterapia neoadiuvante sulla sopravvivenza (Overall Survival, OS), una recente metanalisi ha dimostrato una OS analoga in pazienti sottoposte ad una terapia sistemica pre- o postoperatoria [7]. Data l’importanza della caratterizzazione biologica del tumore mammario, per dare indicazione ad una terapia sistemica primaria è fondamentale la biopsia percutanea. Ciò permette di caratterizzare la malattia per quanto riguarda l’istotipo, il grado istologico, lo stato recettoriale (ER e PgR), Ki67/MIB-1 e infine lo stato di HER2.

Se l’esame obbiettivo della paziente evidenzia la presenza di linfonodi a livello ascellare o sovraclaveare clinicamente sospetti è opportuno effettuare un’agobiopsia o un agoaspirato a scopo diagnostico (vedi capitolo 1).

2.2.2 Obiettivi della Chemioterapia Primaria Tumori operabili (stadio I, II, IIIA)

La chemioterapia neoadiuvante, quando indicata, incrementa le possibilità di chirurgia conservativa, presentando un tasso di conversione da mastectomia ad un trattamento conservativo di circa 20-40% [8]. Tale variabilità è correlabile sia all’istotipo che alle caratteristiche biologiche della neoplasia. Per monitorare la risposta clinica al trattamento neoadiuvante, è consigliabile tatuare la lesione a livello mammario, oltre a posizionare un repere radio-opaco per via percutanea. Per le modalità di ristadiazione della malattia al termine del trattamento sistemico si rimanda al Capitolo 1, ed alle indicazioni di società nazionali (ad es. AIOM) ed internazionali (ad es. ESMO). Data la complessità della gestione di pazienti affette da neoplasia mammaria con possibile indicazione a terapia sistemica neoadiuvante, la discussione multidisciplinare preliminare è di fondamentale importanza, per definire l’approccio più idoneo e concordare i tempi ottimali di rivalutazione ed interventi successivi (chirurgia, eventuale radioterapia). Pertanto, nelle pazienti con carcinoma mammario operabile (stadio I, II, IIIA) ma candidate a mastectomia, o in quelle con fattori di prognosi indicativi di maggiore aggressività, la possibilità di effettuare una terapia sistemica

primaria è un’opzione percorribile, specie in caso se confermata una malattia biologicamente aggressiva (amplificazione HER2, triplo negativo).

Tumori localmente avanzati non operabili (IIIB, IIIC, e carcinoma infiammatorio)

In questi casi un intervento chirurgico quale primo trattamento non può essere preso in considerazione in relazione all’impossibilità di ottenere una radicalità, sia a livello del tumore primario che a livello ascellare (dimensioni cospicue e/o per la presenza di N2/N3 clinico). Il trattamento primario ha la finalità di permettere una eventuale chirurgia successiva che, in caso di mastite carcinomatosa, dovrebbe essere la mastectomia radicale, associata a dissezione ascellare omolaterale. Una chirurgia conservativa o una mastectomia di tipo skin-sparing può essere presa in considerazione nelle pazienti che ottengono una ottima risposta dopo il trattamento primario, ma non è comunque indicata nelle pazienti con interessamento cutaneo. Nelle pazienti con carcinoma mammario localmente avanzato non operabile (stadio IIIB, IIIC, e carcinoma infiammatorio) una terapia sistemica primaria dovrebbe sempre essere presa in considerazione, in accordo con una valutazione multidisciplinare [9].

Regimi di chemioterapia neoadiuvante nel carcinoma mammario HER2-negativo

La scelta del regime chemioterapico da adottare nel setting neoadiuvante è correlata al beneficio terapeutico dimostrato dagli stessi farmaci in modalità adiuvante. A tal proposito la percentuale più elevata di risposta patologica completa (pCR) è stata documentata in pazienti trattate con regimi contenenti antracicline e taxani, somministrati sequenzialmente con un numero complessivo di 6-8 cicli prima della chirurgia (inclusi regimi con 4 cicli trisettimanali di antraciclina-ciclofosfamide seguiti da taxano settimanale per 12 somministrazioni) [10, 11]. Il tasso di pCR e di conversione a chirurgia conservativa con antracicline a taxani è risultato variabile tra gli studi e tra i diversi immunofenotipi di carcinoma mammario, come dimostrato da una recente metanalisi [7]. In particolare, tumori di alto grado, con recettori ER e PgR negativi, anche se di piccole dimensioni, presentano una maggiore probabilità di risposta clinica e patologica ad una chemioterapia neoadiuvante contenente antracicline e taxani. Nelle pazienti portatrici di mutazione BRCA è

comune l’utilizzo di un derivato del platino (ad es. carboplatino) in associazione al taxano in setting

neoadiuvante.

Trattamento neoadiuvante del carcinoma mammario HER2-positivo

In tutte le pazienti con carcinoma mammario HER2-positivo che presentino una indicazione a chemioterapia neoadiuvante, va utilizzata l’associazione del trastuzumab alla chemioterapia

citotossica [12, 13]. L’associazione di pertuzumab a trastuzumab in setting neoadiuvante, il

cosiddetto “doppio blocco”, non è ancora opzione rimborsabile dal sistema sanitario nazionale

italiano.

Il beneficio dell’aggiunta del trastuzumab ad un regime contenente antracicline e taxani è stato osservato sia in pazienti con tumori operabili, che in paziente affette da tumori HER2-positivo localmente avanzati ed infiammatori. In particolare, in pazienti con tumori operabili è stato dimostrato come esso fosse in grado di incrementare il tasso di pCR in assenza di tossicità di rilievo [14]. In pazienti a prognosi più sfavorevole (forme localmente avanzate ed infiammatorie) il trastuzumab non solo ha presentato un impatto in termini di pCR, ma anche in termini di sopravvivenza [15]. Ad oggi, il regime da preferire consiste nella sequenza antracicline-taxani con il trastuzumab somministrato in concomitanza con i taxani, nonostante non sia documentato un rischio clinicamente significativo di cardio-tossicità con i regimi che hanno impiegato il trastuzumab in combinazione con le antracicline [15].

L’indicazione ad una eventuale radioterapia adiuvante, in particolare sulla mammella sinistra, che può essere posta dopo valutazione dell’esame istologico definitivo ed in base ai parametri di

presentazione iniziale della malattia (vedi Capitolo 3.1), potrebbe impattare sulla tossicità cardiaca. Esistono difatti specifici protocolli di periodica valutazione cardiologica da seguire nel follow-up di queste pazienti (vedi Capitolo 3.4).

Nel documento Best Clinical Practice (pagine 48-51)