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Carducci e la metrica barbara

2.3. Nel Neoclassicismo la rima cede il posto al verso sciolto

2.3.4. Carducci e la metrica barbara

La carriera poetica di Giosue Carducci si apriva nella tendenza di più assoluto rispetto della tradizione e fermo contrasto con la canzone libera leopardiana, che lui stesso definiva “forma senza forma”.

La sua predisposizione per le forme chiuse era ben evidente dalla prima raccolta, Rime Nuove, che si apriva con la composizione lirica

Alla rima, strutturata da strofette esastiche di ottonari e quardisillabi

con schema AaBCcB:

Ave, o rima! Con bell’arte Su le carte

Te persegue il trovadore; Ma tu brilli, tu scintilli, Tu zampilli,

Su del popolo dal cuore.

O scoccata tra due baci Ne i rapaci

Volgimenti de la danza, Come accordi ne’ due giri Due sospiri,

Di memoria e di speranza!128

127

P. Giovanetti, G. Lavezzi, La metrica italiana contemporanea, Carocci editore, Roma 2010, p.50.

128

L’intento era di rilevare il ruolo funzionale, che ebbe la rima nel quadro poetico, ed elogiarla liricamente in aggiunta agli elogi teorici espressi nella lettera allo Gnoli nel Febbraio del 1877.

Se la lirica Alla rima voleva essere la dichiarazione della poetica carducciana, la sua ferma opposizione verso le forme aperte si sviluppava nel continuo e variegato uso di metri neoclassici e tradizionali, che si susseguivano per tutta l’opera. Al seguito, della «chiusa» posizione di recupero della tradizione, sostenuta da Carducci, si potevano elencare poeti come Niccolò Tommaseo, Giuseppe Giusti e Giacomo Zanella, che con lo stesso Carducci criticavano con ferocia la canzone leopardiana. Nel suo lavoro di sostenitore delle forme tradizionali, s’inseriva anche la programmatica riscoperta delle forme più autentiche e popolari, in linea col desiderio di sostenere, anche in senso culturale, l’appena costituita Italia.

Nella prima fase portò avanti una metrica barbara che prendeva spunto dagli studi di Fantoni, poeta settecentesco che cercò di rendere ancora più italiano il metro alcaico, introducendo nei due settenari della strofe una rima.

Ode I 20, vv 1 – 4, (a Giorgio Nassar Calwering – Cowper):

Nassar, di forti prole magnanima No, non morianno quei versi lirici

Per cui suono più bella l’italica favella.129

E collegò con rima alcuni versi sdruccioli del metro asclepiadeo.

Ode I 2, vv. 1 – 4, (ad Andrea Vaccà Berlinghieri):

Vaccà, che giovano sospiri e lagrime S’oltre la stigia sponda inabile Priego mortal non giunge

129

A Pluto inesorabile?130

Trovato il giusto corrispettivo italiano per tradurre il metro saffico, questo presentava rime spesso alternate:.

Ode I 24, vv. 1 – 12, (a fille siciliana): Sereno riede il pampinoso autunno, Alle donzelle e agli amator gradito: Erran sui colli del Veseo ignoto Bacco e Vertunno.

Versan le Driadi dal canestro pieno L’uve mature; satriel caprino Mentre la calca nel fumoso tino, Dorme Sileno;

Russando ride, e voci incerte e rotte Forma col labbro da cui cola il mosto: Intanto fiuta l’asinel nascosto

Dietro una botte.131

Carducci attuò la svolta più significativa con la pubblicazione delle

Odi Barbare, cha abbondava di metri fantoniani, e con essi l’uso di

rime, fino a spingersi in esperimenti metrico – sillabici, con cui cercava di far aderire il verso italiano all’esametro e al pentametro latino attraverso “la combinazione di versi considerati ritmicamente

incompatibili”132

. L’uso della rima all’interno dei metri classici era pressoché assente, così Carducci, eccetto che nella saffica, cercava di trasporre i metri classici senza l’impiego della rima poiché la struttura classica non impiegava alcun mezzo regolatore, anche se:

130 Ibidem. 131 Ibidem. 132

[..] in buona parte dei maggiori metri italiani la rima svolge una funzione strutturale indispensabile, nei metri classicheggianti la disposizione fissa dei vari tipi di verso è di per se sufficiente a dar forma alla strofa.133

Carducci non intendeva ripudiare la rima, giacché poneva in perfetta equivalenza le strofe rimate con quelle non rimate; tuttavia nella sua ricerca alla più perfetta delle forme chiuse, trovava nella metrica barbara una fissità fondata non sul «puntello» della rima, ma sull’oggettività spaziale della strofa.

L’apporto più innovativo risiedeva nella capacità di Carducci di riprodurre secondo la metrica sillabica italiana, anche esametro e pentametro, versi ritenuti dai precedenti poeti di difficile realizzazione italiana, a causa della lunghezza. Seguendo il metodo sillabico - accentuativo del Chiabrea, creò una trasposizione dal latino all’italiano in cui i versi oscillavano, per l’esametro dalle tredici alle diciassette sillabe, mentre per il pentametro, dalle dodici alle quattordici. Carducci fece così corrispondere a ciascun metro classico un già esistente metro della tradizione italiana. Verso italiano coincidente con verso classico, la novità risiedeva “ nell’accostamento inedito di versi tradizionali” insieme all’eliminazione della rima.

Surge nel chiaro inverno la fósca turrita Bologna, e il colle sopra bianco di neve ride.

È l’ora soave che il sol morituro saluta le torri e ’l tempio, divo Petronio, tuo; le torri i cui merli tant’ala di secolo lambe, e del solenne tempio la solitaria cima.

Il cielo in freddo fulgore adamàntino brilla; e l’aër come velo d’argento giace

133

su ’l fòro, lieve sfumando a torno le moli che levò cupe il braccio clipeato de gli avi.

Su gli alti fastigi s’indugia il sole guardando con un sorriso languido di vïola,

che ne la bigia pietra nel fósco vermiglio mattone par che risvegli l’anima de i secoli,

e un desio mesto pe ’l rigido aëre sveglia di rossi maggi, di calde aulenti sere,

quando le donne gentili danzavano in piazza e co’ i re vinti i consoli tornavano.

Tale la musa ride fuggente al verso in cui trema un desiderio vano de la bellezza antica.134

Nonostante rispettasse il sillabismo italico, Carducci non riuscì a evitare la «durezza» ritmica che contraddistingueva molte delle sue opere in metro barbaro. “Dopo l’apparizione delle odi Barbare, quel ch’era pellegrina erudizione di tabaccosi eruditi, divenne scienza

elegante di giovani profumati”.135 L’eredità che Carducci lasciava alla

sua morte era ripartita fra varie correnti, tra loro opposte. La sua «azione poetica» oltre a raccogliere una schiera di giovani poeti nati nel più fervente spirito neoclassicista, provoca una forte contestazione da parte di tutti coloro che gridavano allo scandalo, già solo di fronte la soppressione della rima fuori dall’endecasillabo sciolto. In aggiunta, ai più inediti e arditi accostamenti di versi, da molti sentiti come aritmici, Carducci, nella sua più intima essenza, non si riteneva un innovatore, ma uno strenuo conservatore della tradizionale cultura, che caratterizzava la nascente Italia. In questa sua ricerca dettagliata, e

134

G. Carducci, Nella Piazza di San Petronio, vv. 1 – 20, in, Odi Barbare, Mursia, Milano 1986, p. 819 – 820.

135

Cit., Gnoli in F. Bausi., M. Martelli, La metrica italiana, Le Lettere università, Firenze 1993, p 257.

archeologica, si trovava ad adeguarsi ai tempi, e a trasportare l’amore per la classica perfezione formale, in una viva e attiva lingua italiana. La sua azione di autentico conservatorismo si muoveva con mezzi desueti e innovativi, che furono assunti, dalla poesia novecentesca, a vassallo della liberazione metrica.

Abolizione della rima, elemento fondamentale della metrica italiana, e adozione di versi lunghi, erano gli strumenti che Carducci adoperò per realizzare in italiano la metrica classica. Benché volesse rispettare la lingua andò contro di essa, ridimensionando il retaggio più popolare e comune, la rima; e «surclassando» ciò che di più privilegiato la poesia italiana avesse, l’endecasillabo. Nella sua tendenza conservatrice si misura con mezzi innovatori. Convivono così, in lui, i germogli delle future correnti poetiche novecentesche, che fioriranno in seguito alle interpretazioni che i singoli poeti vi attribuirono. Sarebbe sbagliato affermare che la metrica barbara carducciana anticipi il verso libero novecentesco, poiché la ricerca era finalizzata a un intento di chiusura, e non d’apertura, come fu invece il verso sciolto. Occorre invece ritenere la metrica barbara il terreno propedeutico per l’evoluzione del verso sciolto. Infatti, questo nasceva

dal “mancato rispetto dell’isosillabismo”136, che s’avviava, attraverso

l’azione di “trasformazione della vecchia sensibilità metrica isosillabica”137, possibile grazie a Carducci.

136

P. Giovanetti, G. Lavezzi, La metrica italiana contemporanea, Carocci, Roma 2010, p.24.

137