• Non ci sono risultati.

Lo sperimentalismo di Matteo Maria Boiardo

2.2. Lo sviluppo della rima tra Rinascimento e Barocco

2.2.1. Lo sperimentalismo di Matteo Maria Boiardo

Il pubblico trovava diletto in quelle opere che riuscivano a creare un migliore connubio fra poesia e musica, andando a sollecitare di

conseguenza la danza. Il poeta, dunque, cominciava a ricercare nel testo una sorta di prosodia ricavabile dalla distinzione fra sillabe lunghe e brevi, e sottoponendo la lingua d’uso a una dispositio più ingegnosa e inusuale. Il linguaggio musicale presupponeva una resa più originale dei valori specifici del linguaggio con cui la musica collaborava intimamente. “Il testo nella sua messa in musica, muta la

sua forma discorsiva”77

, infatti, gli elementi linguistici si subordinavano, già nella loro messa in forma, a quelle regole ritmiche che permettono il fluido e coordinato scorrere delle parole. Gli schemi rimici, insieme alla ricerca di posizioni accentuali ben definite, davano una precisa organizzazione interna del testo e del verso, attraverso gli elementi di tempi e di ritmi più brevi; attribuendo così all’intero componimento un aspetto snello, veloce e cantabile.

Matteo Maria Boiardo, poeta che raggiunse il vertice

dell’eccellenza creativa, riuscì a creare il connubio perfetto. Nel suo canzoniere, Amorum libri, si può cogliere lo sperimentalismo formale che contraddistinse il Quattrocento, infatti:

negli Amorum Libri, le regole fissate dalla tradizione per metri come la ballata, la canzone e il madrigale vengono infrante [..] eppure Boiardo non è mosso dall’aspirazione a forme libere e aperte, sottratte alle norme canoniche, ma da “un gusto e da una ricerca di proporzionalità e simmetria”(CONTI 1990, pp. 163 – 164).78

Le sue ballate, definite dall’autore stesso chori, mostravano l’uso di una rima della ripresa mutata, con cui si stabilivano legami nuovi fra le diverse parti del componimento, come nella ballata XXV (schema a specchio YXYX xYxY):

Deh, non chinar quel gentil guardo a terra, Y Lume del mondo e specchio de li Dei, X

77

M. Praloran, Metro e ritmo nella poesia italiana, Edizione del Galluzzo per la Fondazione Ezio Franceschini, Firenze 2011, p. 60.

78

Ché fuor di questa corte Amor si serra Y E sieco se ne porta i pensier miei. X

Perché non posso io star dove io vorei, X Eterno in questo gioco, a Dove è il mio dolce foco a Dal qual tanto di caldo già prendei? X Ma se ancor ben volesse io non potrei X Partir quindi il mio core assai o poco, A Né altrove troveria pace né loco A E sanza questa vista io morerei. X Deh, vedi se in costei x Pietade e Gentileza ben s’afferra, Y Come alcia li occhi bei x Per donar pace a la mia lunga guerra. Y79

Sia il sonetto sia la canzone prevedevano delle varianti artificiose tutte riguardanti la rima. Si passava dall’uso di rime identiche, a quelle equivoche e poi alle rime al mezzo. Boiardo instaurava dei giochi rimici talmente virtuosi da permettergli di mettere in forma le tematiche più varie, raggiungendo vertici di straordinaria complessità. Partendo dalle forme liriche considerate eccellenti dalla tradizione, riuscì con la sua fantasia metrica, a trasmettere parole che dilettavano la sua corte. Tutta questa spettacolarità era permessa da un elemento che era in origine fonte primaria di comunicazione popolare, la rima.

Con l’Orlando Innamorato Boiardo sancì il definitivo successo metrico dell’ottava rima. Dal principio utilizzata come metro narrativo, cioè “[..] il metro, soprattutto dei cantari, tanto cavallereschi, quanto storici e religiosi: i testi che dalla metà del

Trecento conobbero una straordinaria diffusione popolare”80. La sua

straordinaria diffusione popolare dava all’ottava un’immediata fortuna, poiché era un metro che si piegava bene a qualsiasi utilizzo.

79

Ibidem, p.119.

80

La sua diffusione provocò il declino delle forme narrative in precedenza in voga, tra cui il serventese, che scomparve del tutto. Con il termine ottava rima si designava un componimento strofico di otto versi endecasillabi, e in base alla tipologia dell’intreccio rimico si aveva una diversa varietà d’ottava: siciliana, struttura a doppia rima alternata ABABABAB; toscana, uso di tre rime alternate disposte in ABABABCC, o in quattro con schema ABABCCDD. Queste forme di ottava cominciarono a diffondersi soprattutto nel XV sec. mentre in principio restarono più isolate. L’ottava narrativa nasceva nel Trecento, attestata da Boccaccio, che l’impiegava per vari scopi. Il

Filostrato, composto nel 1335, era considerato la prima opera in

ottava narrativa:

Standosi in cotal guisa un dì soletto A Nella camera sua Troiol pensoso, B Vi sopravvenne un troian giovinetto A D’alto legnaggio e molto coraggioso; B Il qual veggendo lui sopra il letto A Giacer disteso e tutto lacrimoso B «Che è questo – gridò- amico caro? C Hatti già così vinto il tempo amaro?»81 C

La struttura dell’ottava permetteva una partizione logico – sintattica sia in quattro distici sia in due quartine, facendo scorrere l’argomentazione in modo abile attraverso un andamento rimico che snelliva e velocizzava il ritmo. Il diletto derivava soprattutto dalla sonorità e dal ritmo allegro e leggero prodotto attraverso una struttura rimica alternante, e grazie il facile controllo argomentativo, l’ottava diventava così, l’eccellenza in campo narrativo.

L’origine risaliva alla stanza di canzone o di ballata, anche se non si

attestavano forme preesistenti rispetto all’ottava narrativa

81

boccacciana. Nel XV sec. l’ottava si affermava anche in funzione di metro lirico ed epigrammatico, con le forme di rispetto e strambotto:

Strambotto in ottava siciliana di Francesco Galeota:

Non venire in somno a molestare! Quand’è la notte, lassame dormire! Ché ‘l giorno vivo come l’onda al mare, portato da gran vento de sospire;

poi, quando credo de me repossare, me viene sempre per darme martire. Ché se tu me venisse a consolare, voria del somno mai non me partire!

Strambotto in ottava toscana di Serafino Ciminelli:

Ecco la nocte: el ciel tutto se adorna Di vaghe stelle fulgidi et lustranti; la luna è fuori con le dorate corna

Che si apparecchia a dar luce agli amanti; Chi quieto dorme, et chi quieto ritorna Alla sua amica a dar triegua a gli pianti. Ognuno ha qualche pace, io sempre guerra: Tua crudeltà m’ha facto unico in terra.82

Le ottave potevano essere continuate, cioè collegate in serie, come in un componimento polistrofico del Polizano, Serenata over lettera in

strambotti. Nonostante fossero parte di uno stesso componimento, le

ottave rime avevano, fina dalle origini, la qualità di mantenere una certa autonomia e indipendenza, sebbene, attraverso l’artificio tipico della canzone, coplas capfinidas, si cercasse di mantenerne i nessi logici. L’ottava rima espresse la sua massima potenzialità in ambito narrativo, diventando nel XV sec. la forma metrica per eccellenza dei poemi epici cavallereschi, e M. M. Boiardo ne fu il più grande fautore.

82

Or se tornano insieme ad afrontare, Con vista orrenda e minacciante sguardo. Ogniun di lor più se ha a meravigliare De aver trovato un baron sì gagliardo. Prima credea ciascun non aver pare; Ma quando l’uno a l’altro fa riguardo, Iudica ben e vede per certanza

Che non v’è gran vantaggio di possanza. E cominciarno il dispietato gioco,

Ferendose tra lor con crudeltate. Le spade ad ogni colpo gettan foco, Rotti hanno i scudi e l’arme dispezzate; E ciascadun di loro a poco a poco Ambe le braccie se avean disarmate. Non pôn tagliarle per la fatasone, Ma di color l’han fatte di carbone.83

Giusto de’ Conti, precedette con la sua produzione letteraria il Boiardo, intraprendendo la via del petrarchismo, poi percorsa dal Bembo e molti altri poeti del Cinquecento.

Nel suo canzoniere, La bella mano, era evidente la notevole fedeltà al modello petrarchesco dei RVF. Il Conti, infatti, prendeva a modello Petrarca più sul piano linguistico, tematico, e stilistico; mentre su quello metrico procedeva in linea con lo sperimentalismo del secolo, sulla scia dell’Alberti e anticipava certe soluzioni boiardesche. Qui si attesta cioè “la ricomparsa nella prima mutazione di una rima della ripresa”84

, la norma seguita nelle ballate del Quattrocento:

O sola qui fra noi del ciel Fenice, che alzata a volo nostra etade oscura,

83

M. M. Boiardo, Orlando Innamorato, Libro I, Canto IV, a cura di, A. Scaglione, Classici italiani UTET, Torino 1984.

84

e sopra all'ale al ciel passa sicura, si che vederla appena ornai ne lice.

O sola agli occhi miei vera beatrice in cui si mostra quanto sa Natura: bellezza immaculata e vista pura,

da far con picciol cenno ogni uom felice.

In voi si mostra quel che non comprende al mondo altro intelletto, se no il mio, che Amor leva tanto alto, quanto v' ama :

in voi si mostra siccome s' accende l’ anima gloriosa nel desio,

che per elezione a Dio la chiama85.

85

2.2.2. La prima grande rivoluzione formale della poesia italiana nel