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1.4. Dal proto verso indoeuropeo alla versificazione medievale

1.4.4. Uso spontaneo della rima

La funzione della rima all’interno della poesia colta, ricalcava l’uso che aveva avuto già nella lingua degli scambi quotidiani. Qui l’impiego della rima come ripresa fonica, era soprattutto frequente nei proverbi e nei detti popolari, e dava un’organizzazione espressiva tale da evidenziare un sapere che, detto in maniera naturale, sarebbe passato inosservato. Valéry affermava che:

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Ibidem., p. 50.

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mentre il linguaggio ordinario tende a volatilizzarsi appena capito, per cedere il posto alle idee, impressioni, atti, ecc. ecc., che evoca la poesia tende, nella sua forma stessa, a persistere nel nostro spirito; la poesia è una cosa che dura, è per eccellenza memorizzabile (Ruwet, Long., 152)29.

La poesia è memorizzabile, la sua struttura metrica, costituita da richiami, elementi che enfatizzano ed evidenziano parti del discorso, ne permettono tale memorizzazione. Per fare in modo che il metro eserciti, nella forma – poesia, la sua funzione mnemonica oltre che organizzativa e strutturale, deve rispondere a un certo andamento ritmico. Per prima cosa l’artista ha in mente un’ispirazione amorfa, un’idea informe, che è promossa e vive nella sua testa grazie ad un elemento ritmico – sonoro. Da questo ritmo che promuove l’idea, l’artista si lascia guidare nella sua creazione, facendo in modo che, la messa in atto dell’idea, porti con sé il suo ritmo di partenza. La concretizzazione dell’idea avviene attraverso il materiale linguistico di cui il poeta è a conoscenza. Il materiale verbale si piega e si modifica in funzione dell’esaltazione dell’idea; il metro assunto dall’artista deriva da due stimoli opposti, una proveniente dal basso, cioè la forma espressiva del linguaggio comune; l’altra proveniente dall’alto, l’andamento ritmico – sonoro dell’idea di partenza. Alla prima si rimanda la rima, alla seconda il ritmo. La forma – poesia è dunque quell’insieme di versi commensurabili e correlabili, marcati da cadenze e richiami rimici - ritmici, che non sono semplici portatori di significato, ma loro stessi sono significato, o meglio idea espressa. Nell’importante differenza fra forma – poesia e prosa, si deve aggiungere che la forma – poesia:

possiede in più la strutturazione metrica, la quale sviluppa e evidenzia valenze formali che alla prosa in parte sono assenti [..] e per il maggior grado di straniamento che la forma – poesia comporta, ne acuisce la percezione30.

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Ibidem, p. 80

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Il verso latino del medioevo cercava dunque, in linea con la tradizione antica, di rendersi memorizzabile. L’aspetto mnemonico e anche divulgatore derivava da una struttura metrica nuova che, sulla base del nuovo assetto verbale, s’immergeva alla ricerca di quelle formule più espressive di cui la lingua parlata era portatrice. Le più frequenti e immediate, si rintracciavano nei discorsi prosastici, in cui la sintassi conferiva chiarezza espressiva attraverso quei parallelismi di parole, terminanti con flessioni identiche, che originavano la rima. Benché tutte le lingue siano fornite in potenza dell’uso della rima, solo gli influssi costanti fra varie lingue hanno permesso di attivare in alcune, particolare interesse per degli aspetti mai considerati prima.

Ciò si pensava accadesse sia con la rima, poiché si sviluppò e diffuse in modo graduale a cominciare dai secoli VIII – IX, con la sua saltuaria e irregolare presenza in vari testi dell’Alto Medioevo. Il problema però si pose quando, facendo un salto indietro di 400 anni, alla fine del IV sec. d. C., si trovò nel salmo sillabico di Agostino contro i Donatisti,il regolare uso di una rima mono sillabica. Tutti i 282 versi dell’inno finiscono con la –e:

[..] Honores vanos qui quadri, non vult cum Christo regnare, Sicut princeps huius mali, de cuius vocantur parte;

Nam Donatus tunc volebat Africam totam abtinese; Tum iudices transmarinos petit ab imperatore [..]31.

Gli studiosi supposero che una così precisa ripetizione fonica non fosse avvenuta per caso. La teoria generale voleva ipotesi che oltre all’influenza degli omoteleuti prosastici, ci fosse un’influenza esterna che portò l’imitazione di questa ripetizione fonica. Da qui si sollevarono due ipotesi opposte sul tipo d’influenza esterna, una di stampo occidentale, l’altra orientale. La prima riconduceva l’influenza all’ambito celtico. La rima dei celti d’Irlanda del V sec., era presente

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allo stesso tempo sia nei loro versi latini sia in quelli scritti in lingua madre. La stessa rima doveva essere già nota ai celti della Gallia, ed essere arrivata ad Agostino nell’Africa Settentrionale. La modalità di trasmissione fu lasciata al caso, e si preferì divinare su come accadde accadere. Ciò rese poco verosimile e credibile la cosa.

Nella seconda ipotesi si trovavano varianti d’influenza. Una riconduceva l’influenza all’ambito siriaco. Il canto di Agostino era indirizzato contro i canti dei Donatisti, e avendo questi contatti con gli eretici della Siria, potevano aver preso a modello la loro versificazione. L’assenza della rima nel verso siriaco di questo periodo (giusto parallelismi come presso i latini), nonostante i vari collegamenti, fece cadere questa prima variante orientale. Un’altra variante, quella più accreditata, rimandava l’influenza alla poesia cristiana – araba settentrionale. Effettivamente era presente un fiorito uso della rima nella poesia araba classica, però si registrò solo 200 anni più tardi, cioè nel VI sec. Un’ultima variante possibile sembra essere la rima nella poco nota versificazione lidia (Asia Minore). Anche qui siamo ai limiti del verosimile. Nonostante sia rimasto un componimento in versi del IV sec. a. C., la lingua lidia era morta all’inizio della nuova era, e come fosse giunta ad Agostino, era cosa difficile da definire. Non si poteva assumere nessuna di queste ipotesi a reale teoria d’influenza e derivazione della rima nella poesia Medioevale latina. La questione rimaneva aperta, una sola cosa si poteva confermare e cioè che “l’unica possibile fonte della rima nei

versi era la rima retorica nella prosa”32

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