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Gabriele D’Annunzio e la strofe lunga

2.4. Il Novecento attribuisce un nuovo ruolo alla rima

2.4.1. Gabriele D’Annunzio e la strofe lunga

D’Annunzio sfruttò l’ondata di clamore sollevatasi nel nome di Carducci, grazie all’accogliente innovazione verso liberista. Un gusto però, del tutto dissimile dal principio che mosse Carducci a praticare la metrica barbara, s’intravedeva nella sua produzione. Infatti, “lo

sfarzoso collezionismo”139

metrico dannunziano, aveva ben poco in comune con l’approccio filologico – erudito, e anche folkloristico che aveva perseguito Carducci.

D’Annunzio, guidato dalla sua passione di rievocare atmosfere medioevali e cortesi – cavalleresche, ricercava tutti i metri della tradizione, uscendo però dal rigido calco dell’imitazione, grazie espedienti ritmici – strutturali. Prendeva spunto, quasi con un ossessivo recupero antiquario, dai metri della tradizione, per giungere poi alla strofa lunga, la cui prima applicazione risale al Laus Vitae del 1896. Nel Libro segreto affermava che:

138

P. Giovanetti, G. Lavezzi, La metrica italiana contemporanea, Carocci editore, Roma 2010, p.61.

139

Cit., Capovilla, in, P. Giovanetti, G. Lavezzi, La metrica italiana contemporanea, Carocci editore, Roma 2010, p. 24.

La strofa lunga gli consente di seguire un “ritmo mentale”: un ritmo che gli insegna a scegliere e collocare le parole non secondo la prosodia e la metrica tradizionale, ma secondo “la [sua] libera invenzione”.140

Laus Vitae,I, vv 43 – 63:

Nessuna cosa mi fu aliena; nessuna mi sarà

mai, mentre comprendo, mondo Laudata sii, Diversità

delle creature, sirena

del mondo! Talor non elessi perché parvemi che eleggendo io t’escludessi,

o Diversità, meraviglia sempiterna, e che la rosa bianca e la vermiglia fosser dovute entrambe alla mia brama,

e tutte le pasture co’ lor sapori,

tutte le cose pure e impure ai miei amori;

però ch’io son colui che t’ama, o Diversità, sirena

del mondo, io son colui che t’ama.141

All’interno della strofa lunga erano applicati espedienti ritmici vari, come l’uso di rime imperfette, interne, assonanze; tutto in stretta collaborazione con una polimetria che spaziava da versi brevissimi a lunghi, intrecciati da frequenti enjambement. Cercava sempre di rendere sciolto lo scorrere dei versi, senza ostacoli strutturali, come se

140

P. Giovanetti, G. Lavezzi, La metrica italiana contemporanea, Carocci, Roma 2010, p. 67.

141

alla lettura o all’ascolto il fruitore partecipasse al libero scorrere dei pensieri del poeta. Nella sua poetica convivono due anime antitetiche. Le loro differenti direzioni, bilanciavano lo spirito del poeta verso componimenti che, seppur all’apparenza richiamassero schemi tradizionali, ne scardinavano l’interno attraverso l’uso di versi lunghi, eterometrici, con polivalenti versi sdruccioli. Tutto era intessuto con diligente artificio e nel suo eclettismo metrico, ricercava sempre di calibrare la tastiera timbrica – ritmica, spesso con l’uso delle rime, sostituite con assonanze. Era dunque evidente il legame ancora stretto con la tradizione, per la scelta di alcuni sistemi strofici, dal verso sillabico – accentuativo e:

dall’uso della rima come correttivo dell’arbitrarietà delle misure; ma forte è anche la volontà sperimentale, affidata all’eterometria e alla conseguente non prevedibilità dell’alternanza delle misure, che provoca un rinnovamento del sistema di pasuazione e un rilievo nuovo attribuito alla parola singola.142

D’Annunzio calibrava le due tendenze, bilanciandole, e sembrava collaborassero fra loro, infatti “appare evidente la volontà di contemperare, nei medesimi testi, l’anomalia di certe soluzioni formali con la ferrea regolarità delle altre”143

. La rima non era sottoposta ad allontanamento, in conseguenza al suo rigido ruolo vincolante. Certo, era diventata “camp de cymble à la fin du ver, trop prévu”144

, cioè troppo prevedibile e troppo sonante, ma d’Annunzio tentava di rivoluzionarla e rivisitarla in chiave nuova. Non perdeva le sue qualità, erano reinterpretate, per essere sfruttate con maggiori e nuove potenzialità anche nella metrica liberata. La rima portava una nuova sonorità, si ricercava attraverso, assonanze, o collocando le rime stesse in posizioni diverse rispetto alla norma, come in mezzo al verso; e altri ancora potevano essere i giochi originati dalla particolare

142

P. Giovanetti, G. Lavezzi, La metrica italiana contemporanea, Carrocci, Roma 2010, p. 71.

143

F. Bausi, M. Martelli, La metrica italiana, Le Lettere, Firenze 1993, p. 290

144

Cit. in P. Giovanetti, G. Lavezzi, La metrica italiana contemporanea, Carocci, Roma 2010, p. 192.

sensibilità sonora del poeta. Cercava di regolare le rime imperfette

compensando con “ipercaratterizzazioni foniche d’altro tipo”145

(fumi:confusi, sempre:settembre), e le rime sdrucciole, che spesso non

rimano in modo perfetto tra loro creavano delle “rime ritmiche”146. La

diversa sistemazione delle rime all’interno del componimento, permetteva di leggerlo non con la sola forma metrica di partenza, ma suggeriva letture alternative con differenti strutture metriche.

La pioggia nel Pineto, vv. 1 – 32:

Taci. Su le soglie del bosco non odo parole che dici umane; ma odo parole più nuove

che parlano gocciole e foglie lontane.

Ascolta. Piove dalle nuvole sparse. Piove su le tamerici salmastre ed arse, piove sui pini scagliosi ed irti, piove sui mirti divini,

su le ginestre fulgenti di fiori accolti,

sui ginestri folti di coccole aulenti, piove sui nostri volti silvani,

piove sulle nostre mani ignude,

sui nostri vestimenti

145

Cit., A. Mengaldo, in, P. Giovanetti, G. Lavezzi, La metrica italiana contemporanea, Carocci editore, Roma 2010, p. 193.

146

leggieri,

su i freschi pensieri che l'anima schiude novella,

su la favola bella che ieri

l'illuse, che oggi m'illude, o Ermione.147

La Pioggia nel pineto è un ottimo esempio che evidenzia la capacità di saper fruire della tradizione attraverso l’insistente ricorso a parallelismi e iterazioni, non rompendo i ponti con questa, ma sapendo coglierne tutte le potenziali possibilità d’innovazione.