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Caricature postsovietiche: «La Patria precipitata nel caos»

CAPITOLO 2: IL CROLLO, LE MACERIE, LA POLVERE

3.5 La fine dell'Unione Sovietica e il postcomunismo: l'abbattimento del vecchio edificio

3.5.4 Caricature postsovietiche: «La Patria precipitata nel caos»

In questo quadro di violenza e confusione, a Kolima è chiaro che il suo Paese non solo non possiede più nessuna autorità, ma semplicemente non esiste più: il vecchio, con la sua autorità solida, moralistica ed opprimente, è scomparso mentre le uniche tracce rimaste sono dei simulacri svuotati di senso e delle caricature.

L'esercito della Federazione, il relitto della vecchia Armata Rossa che costituiva il pilastro del potere sovietico ed uno dei simboli della rivoluzione fondatrice, è il luogo perfetto dove trovare le tracce del passato in una particolare forma di deformazione del linguaggio. Molti soldati ed ufficiali continuano a chiamarsi fra loro «compagni», senza che a questo corrisponda più la struttura ideologica che nel vecchio stato socialista doveva svolgere la funzione di collante sociale.

I dialoghi offrono un esempio evidente di come determinate espressioni linguistiche, funzionali al regime comunista dal quale fino a poco tempo erano fortemente connotate, siano desemantizzate proprio dal loro impiego nel presente, senza un contesto che ne giustifichi l'utilizzo. Si tratta di relitti di vecchie abitudini e fantasmi: il guscio dell'ideologia svuotato del suo contenuto.

- Sergente Glasunov! Seguitemi compagno! - ha detto con una voce che aveva lo stesso suono del carrello di un Kala8nicov quando manda in canna la carica.

«Un cane pulcioso è il tuo compagno», ho pensato io […].68 - […] Chi di voi sa guidare la macchina?

- Io, signor tenete maggiore! - ho risposto con un una voce da giovane comunista, piena di energie e fiducia nel futuro della Patria.

67 I guerriglieri afghani ed arabi sono formati e sostenuti forze americane, salvo poi essere combattuti dagli Stati Uniti in scenari differenti.

[...]

Non chiamatemi mai più «signor tenente maggiore», chiaro? D'ora in poi siete nei sabotatori, noi non abbiamo i gradi, solo i nomi, ricordatevelo. Quindi per voi sono il «compagno Zebelin».69

Parallelamente, sempre sul piano del linguaggio, è possibile riscontrare una diversa tendenza, leggibile come una particolare forma di “ironia postmoderna” nel postcomunismo, ovvero la derisione del linguaggi del passato. Si tratta di una parodia amara, perché chi la attua, per quanto detestasse la retorica ipocrita del vecchio regime, è consapevole che ad esso non è seguito nulla, se non il caos ed il collasso sociale.

- Allora, sei tu il famoso criminale? Zabelin mi ha scritto molte cose sul tuo conto... […]

- Sì, sono io, compagno capitano! Nosov mi ha guardato fisso negli occhi:

- Lascia stare le cazzate tipo «compagno capitano»: qui siamo tutti un'unica famiglia, chiamami «Ivani9».

L'esperienza collettiva della guerra inasprisce ulteriormente questa situazione di crisi, sottoponendo un grandissimo numero di uomini - vera e propria massa indistinta, appiattita delle divise dell'esercito - ad un'esperienza di vita “estrema”, come ripete spesso Lilin nelle interviste che rilascia. Se si confronta però questa guerra con altre del passato, ad esempio quella contro la Germania nazista, ci si rende conto che al soldato russo contemporaneo manca quel senso di appartenenza, per quanto inculcato dalla propaganda, che permette di sopravvivere ad esperienze del genere. Non c'è nessuna struttura collettiva da difendere, né una nazione da proteggere contro l'invasione di un altra forza: non è possibile che si produca un fenomeno di coesione sociale esteso come è stata, per esempio, la resistenza di Stalingrado durante la Seconda Guerra Mondiale. Kolima ed i suoi compagni sono stati spinti al fronte da un potere che appare irrimediabilmente estraneo: non c'è una politica dalla quale si sentano rappresentati, ma al contrario i dirigenti di Mosca sembrano non conoscere minimamente la situazione effettiva del fronte; non c'è un obiettivo chiaro da perseguire, mentre sono palesi gli interessi che legano ufficiali corrotti ed i capi dei terroristi; non c'è un'idea chiara di nazione: spesso i mercenari ceceni con i quali i russi si scontrano sono i loro stessi ex-compagni d'armi della guerra in Afghanistan mentre fra gli anziani dei villaggi assaltati dall'esercito della Federazione si incontrano reduci della Seconda Guerra Mondiale che

ancora conservano le proprie medaglie al valore70; non c'è nessun supporto da parte della

popolazione da “liberare”, che in Cecenia è ostile, mentre in Russia è disinformata o addirittura disgustata dai veterani, come se fossero stati loro i veri artefici del conflitto.

Non si tratta naturalmente di operare un'impossibile distinzione tra esperienze di guerra “positive” o “negative”, come è altrettanto chiaro che non sono certamente solo le guerre contemporanee ad essere scatenate per interessi occulti ben poco idealistici o ideologici; anche il sentimento di lontananza del soldato, specie se di origine popolare, rispetto al potere che lo costringe alla guerra è antichissimo. È però importante sottolineare è che ciò che connota la distanza che Kolima ed i suoi compagni provano rispetto alla struttura statale russa che sta alle loro spalle, è il desiderio del potere di occultare il conflitto nel quale il protagonista rischia quotidianamente di perdere la vita. Il solo obiettivo che lega fra loro i soldati con un sentimento fortissimo si riduce a quello della pura sopravvivenza: una lotta disperata, condotta senza una direzione precisa, dove i nemici sono tanto nella barricata opposta quanto alle proprie spalle, un conflitto che conduce chi vi partecipa alla regressione animale.

La parola “Patria” è ora divenuta l'icona di un nazionalismo vuoto, il residuo di un sentimento antico71, privato di qualsiasi sostanza: diventa un'etichetta di comodo, una bandiera

ideologica dotata di un ricchissimo e antico vocabolario ormai privo di senso, che però continua ad essere sventolata per giustificare operazioni tutt'altro che patriottiche, volte all'arricchimento di una piccola élite - occulta ma contemporaneamente esposta agli occhi di tutti -. Un concetto deformato per il quale la distinzione fra indipendentisti ceceni o nazionalisti russi perde completamente di senso.

Poi il nostro capitano si è alzato in piedi: sapevamo cosa stava per succedere, infatti siamo rimasti seduti a goderci lo spettacolo, come eravamo abituati a fare in queste occasioni.

[...]. Nosov ha tirato fuori dalla tasca un documento, l'ordine operativo che andava letto prima di ogni missione:

- Compagni soldati! La Patria vi ringrazia per il vostro indispensabile servizio, e non può nascondere l'orgoglio che prova nel sapere che la libererete dalla parassitaria presenza dei terroristi islamici nascosti nella cittadina di N***, che per semplicità e per ignoranza militare chiameremo con il nome caro a noi tutti di «obiettivo»! [...] Alle ore ventitré e quindici, orario di Mosca, insostituibile capitale del nostro magnifico Paese, è arrivata l'attesissima conferma del nostro preziosissimo ordine...[...].Dunque la Patria ordina di uscire in quantità di due reparti indipendenti dirigendosi verso l'«obiettivo», entrare combattendo all'interno dell'«obiettivo», sfondare la difesa nemica, eliminare fisicamente tutti i terroristi, gli islamici, i musulmani, i 70 Cfr. ivi, pp. 287-288.

cani e i gatti e tutto quello che troverete di vivo, fino a raggiungere la strada centrale dell'«obiettivo», dove è concentrato il nodo delle comunicazioni delle trincee nemiche... All'arrivo, segnalate con tre razzi rossi ai carristi e ai reparti di sostegno la vostra posizione, prendete la difesa e aspettate che vi raggiungano... Ah, la Patria vi ricorda inoltre che è severamente vietato morire, rimanere colpiti o farsi del male in qualsiasi altro modo...

[...]

Noi ci tenevamo la pancia dalle risate, e Nosov ha concluso:

- Come ufficiale maggiore della compagnia, confermo l'ordine ricevuto e vi auguro buona fortuna, miei cari compagni soldati!

Dopo qualche minuti ci siamo incollati alla blindatura, e di buonumore - grazie all'intervento comico del capitano - siamo partiti per la nostra missione, anche se sapevamo che non c'era proprio niente da ridere...”72

La deformazione caricaturale del Paese di Kolima si perfeziona ne Il respiro nel buio con l'incontro con il generale Lavrov, ex ufficiale del KGB. Questi, assieme al suo collaboratore Viktor, dichiara la sua adesione convinta al modello comunista sovietico, nonostante siano passati dieci anni dal crollo del vecchio regime, ed in nome del suo ideale politico afferma di voler proteggere lo stato russo dalla mafia, dal terrorismo e dall'incapacità delle forze attualmente al potere: per perseguire questo scopo si servirà dei propri agenti privati e delle informazioni raccolte quando era ancora un importante dirigente dei servizi segreti.

A questo fine Lavrov e Viktor hanno creato un esercito privato, assumendo veterani dell'Armata russa come agenti di sicurezza, assegnando loro il compito sorvegliare i propri avversari e compiere atti intimidatori che possono giungere all'eliminazione di personalità scomode: in sostanza, una sorta di P2 sovietica che, dotata di un braccio armato, unisce alla cospirazione atti terroristici.

L'incontro con il generale avviene in un sotterraneo dove Lavarov emerge da una porta luminosissima che impedisce alle reclute, trovandosi nel buio, di vedere che cosa si trovi alle spalle del vecchio agente del KGB. L'ingresso scenografico del generale è coronato dagli indumenti che indossano lui ed i suoi collaboratori: le vecchie divise dei servizi segreti sovietici.

Cominciavo a trovare qualcosa di grottesco nel lessico del generale: sembrava un impasto di letture dell'ideologia comunista, compendi di spionaggio, manuali militari e classici censurati dal regime. Era una persona senz'altro colta, determinata, e aveva l'aria da leader indiscusso, ma nello stesso tempo con quella sua uniforme sovietica mi faceva l'effetto di un feticista, come quei poveri disgraziati che si vestono da Batman o da personaggi di Guerre

stellari per riunirsi con i propri simili e far finta di vivere dentro una storia inventata da

qualcun altro. Diciamo che ero piuttosto perplesso.73

“Di nuovo mi venivano in mente i supereroi. Quel bunker era la bat-caverna e noi Bruce Wayne.”74

Dopo l'incontro col generale, Kolima ed i suoi compagni discutono perplessi di quanto hanno visto. Un altro reduce della Cecenia, incline a credere a teorie complottistiche, è sicuro che si tratti di una messa in scena volta a coprire le attività illecite che Lavrov, ora importante uomo d'affari, porta avanti per arricchire il proprio gruppo finanziario. Il “fattore di improbabilità”, come lo definisce il compagno di Kolima, permette di rendere un complotto talmente incredibile da non essere plausibile per l'opinione pubblica: inoltre, qualora lui ed i suoi compagni fossero arrestati, chi sarebbe disposto a credere ad una storia che ai suoi stessi protagonisti sembra tratta da un fumetto?

Indipendentemente dalla più o meno sincera adesione del generale al vecchio ideale politico, la soluzione narrativa di Lilin mantiene lo stesso potere significante: le vecchie divise, temuto simbolo del lato più repressivo del vecchio potere, oggi sortiscono l'effetto di confondere in una sorta di perversione il comico con l'inquietante. Il loro utilizzo, inoltre, non è più quello di proteggere il potere di uno Stato totalitario, ma è quello di delinquere, adottando gli stessi mezzi e logiche che precedentemente sarebbero state ferocemente combattute, in quanto tipiche della corruzione occidentale capitalista.

Così, infatti, suonano le istruzioni fornite da Viktor ai nuovi assunti di un'organizzazione che non ha nulla da invidiare ai più forti gruppi mafiosi:

- Come ho già detto ad ognuno di voi nei colloqui di arruolamento, vi chiedo professionalità ed esperienza, in cambio vi offro soldi e garanzia di un trattamento particolarmente privilegiato. Siamo costretti a vivere in una società ridotta a mercato, e ci comporteremo di conseguenza. Ognuno di voi riceverà uno stipendio mensile su carta di credito che troverà nella busta con il suo nome, vi abbiamo già aperto un conto in una banca di proprietà dal generale Lavrov, e se ne avrete bisogno potrete accedere a un fido sostanzioso. In più, al termine di ogni operazione di una certa importanza riceverete un compenso straordinario in un conto estero. Come potrete immaginare dobbiamo tutelarci un minimo, quindi per quanto riguarda questo conto potrete avervi accesso dopo un anno di servizio nella nostra agenzia... Ci sono domande?75

73 N. Lilin, Il respiro nel buio, cit. p. 191. 74 Ivi, p. 192.

Un ulteriore elemento che arricchisce il quadro desolato dei ruderi postsovietici è costituito da un personaggio fondamentale dell'ultima parte del romanzo, il figlio del generale. Il contrasto tra la figura del padre e quella del figlio è fortissima: entrambi naturalmente si occupano di operazioni illegali, ma mentre il padre veste la sua attività con un rigidissimo abito ideologico, il figlio è il degno rappresentante di una generazione che rifiuta qualsiasi tipo di etica o morale, anche di facciata. Il piglio grave e serio da dirigente del PCUS del padre è contraddetto dal comportamento da gangster americano del figlio, la sobrietà dell'uno si ritrova rovesciata nella tossicodipendenza e nelle perversioni sessuali dell'altro, la discrezione e l'abilità del cinico generale nel concludere i propri affari cozzano con la chiassosità e l'incapacità del figlio, tanto megalomane quanto indegno della fiducia paterna.

Tuttavia è nel nome del figlio che è possibile leggere il segno più evidente della fortissima contrapposizione tra i due, estendibile al contrasto che separa due ere diverse, vicinissime ma inconciliabili:

Da buon comunista devoto ai santi della sua religione, Lavrov l'aveva chiamato Ernst, in omaggio a Che Guevara, ma lui, non condividendo la fede del genitore, si faceva chiamare «Lenka» come il celebre criminale d'inizio secolo Leonid Pantelkin.76

Tornando al campo di battaglia ceceno, è chiaro che l'apocalisse alla quale assiste Kolima riguarda qualcosa che supera i confini delle aree del combattimento, un crollo che non riguarda soltanto la regione del Caucaso sconvolta dalla guerra ma che coinvolge ogni abitante della Russia: è un collasso sociale che si consuma su tutti i fronti e la guerra, per quanto sia la forma più cruenta e spietata, almeno consente a chi vi partecipa di rendersi conto della gravità del processo in atto. Chi resta nella “società pacifica”, anestetizzato da qualsiasi trauma e drogato dalla nuova euforia, è condannato alla leggerezza dell'ignoranza, confortato dal fatto di condividere una condizione che riguarda la maggior parte delle persone: sarà proprio questa posizione di minoranza a scatenare in Kolima la follia, una volta giunto a casa e resosi conto che la realtà sordida, dolorosamente scoperta e sofferta nel corso dei due anni di servizio militare, resterà un segreto incomunicabile.

Uno dei momenti in cui si realizza l'illuminazione in Kolima e nei suoi compagni è quando sentono due ufficiali discutere dell'ordine costituzionale che, modificando il vecchio regolamento militare, impone l'esecuzione di qualsiasi direttiva giunga dall'alto anche se si tratta di un'azione criminale o, come in questo caso, sia un errore e comporti la completa distruzione delle truppe

coinvolte.

«Che merda amico...» ha detto il colonnello all'improvviso […]

- Quale merda? - ha chiesto Nosov, ben sapendo a cosa si riferisse l'altro. «Quel cazzo di ordine costituzionale...»

- Conosci il solo posto in cui l'ordine costituzionale ha valore? L'altro per un po' ha taciuto:

«No, non mi viene in mente...» - È semplice, vecchio, è il cimitero!

Sentire un discorso simile da due ufficiali era come sciacquarsi la faccia con l'acqua gelida; la mente cominciava a elaborare gli episodi vissuti nelle ultime ore e a vedere le cose in modo più semplice. Eravamo noi stessi a stabilire l'ordine costituzionale, l'ideale per il quale ci sentivamo pronti a perdere le nostre vite, l'ideale odiato da tutti noi... Ma sapevamo che in realtà questo ideale non esisteva. Almeno non per i nostri ufficiali, non per i nostri ragazzi, non per le famiglie degli scomparsi... Perché se un soldato è «scomparso» il governo non paga nulla né per il trasporto del corpo né per il funerale; uno scomparso può anche esser un disertore o un criminale che ha abbandonato il reparto ed è passato dalla parte del nemico. Ma erano pochi quelli veramente scomparsi, perché nei reparti grandi la maggior parte dei caduti veniva lasciata al suo posto. I corpi finivano nelle fosse comuni e nessuno li trovava più. È per questo che non avevamo rispetto per l'ordine costituzionale. Perché sapevamo che non esisteva nessun ordine, tutta la Patria era precipitata nel caos.