• Non ci sono risultati.

Radici siberiane, colonialismo occidentale e perdita dell'alterità naturale

CAPITOLO 2: IL CROLLO, LE MACERIE, LA POLVERE

3.4 Radici siberiane, colonialismo occidentale e perdita dell'alterità naturale

Il primo percorso educativo di Kolima è quello attraversato in seno alla comunità siberiana di Bender, nel corso della sua infanzia e prima adolescenza. In Educazione siberiana il giovane protagonista abbraccia con entusiasmo i riti e l'etica da « criminale onesto» che gli viene trasmessa dagli anziani della propria comunità: il culto per le armi, il disprezzo per qualsiasi istituzione connessa con lo Stato e la stretta osservanza delle leggi della comunità, l'utilizzo della violenza - se pur rigidamente regolamentata dalle autorità criminali - per amministrare la giustizia e risolvere i conflitti.

Al lettore è chiaro che questo processo di formazione delinea una situazione molto problematica nel protagonista e nei suoi compagni: il giudizio, però, risulta estremamente difficile proprio a causa dell'entusiasmo col quale il narratore - adottando il punto di vista del giovane Kolima - abbraccia i valori ai quali è stato educato. Questa scelta peculiare riguardante la focalizzazione del punto di vista narrativo determina delle difficoltà nel lettore che, per proseguire la lettura, si trova costretto ad adottare la stessa etica impartita a Kolima, mettendo da parte la propria: se invece intendesse esprimere un giudizio, non avrebbe altra scelta se non quella di uscire

dalla narrazione, abbandonando la lettura.

La difficoltà del lettore, attratto dal racconto e spaventato dalla necessità di rinunciare al proprio bagaglio formativo per proseguire la lettura, è rappresentata narrativamente in uno degli elementi fondamentali di Educazione siberiana, il tatuaggio tradizionale che Kolima comincia a studiare dall'età di sette anni presso Le8a, un vecchio tatuatore della comunità. Il tatuaggio fra gli Urca risale a pratiche antichissime, testimoniate da simboli di età precristiana, ai quali si fondono poi elementi mutuati dalla tradizione iconografica cristiano-ortodossa. La sua funzione è quella di rendere chiaramente riconoscibili gli appartenenti alla comunità e quella di raccontarne la vita, intrecciando i diversi simboli tatuati nel corpo in una complessa semantica di carattere esoterico. In questo modo il tatuato non è costretto a parlare della propria vita, delle esperienze attraversate, delle condanne scontate e dei crimini commessi: tutta la sua esistenza è condensata nei simboli che porta sul proprio corpo. Poiché il tatuaggio tradizionale non riveste alcuna funzione estetica ma, anzi, detiene un ruolo essenzialmente comunicativo, non può essere eseguito in qualsiasi momento: talvolta è necessario attendere anni per ottenerne l'esecuzione, i soggetti rappresentati devono essere connessi con storie personali particolarmente significative ed essere collocati secondo un ordine preciso nel corpo, partendo dalle estremità degli arti per poi arrivare con gli ultimi al petto e torace.

Questa forma di arte popolare, nonostante la sua peculiarità, non manca di destare un grande interesse presso i membri delle diverse comunità criminali (o “caste”, come le definisce Lilin): il tatuaggio non è una pratica esclusiva, a patto che esso sia giustamente meritato o, come spiega Kolima, “sofferto”:

Come si dice in Siberia, i tatuaggi bisogna «soffrirli». Dopo aver vissuto qualcosa di particolare, lo si racconta tramite il tatuaggio come in una specie di diario. Siccome la vita criminale è dura, si dice che i tatuaggi non vengono «fatti», ma «sofferti».

Spesso si sente dire da qualcuno che si è fatto un nuovo tatuaggio:

«Ecco, ho sofferto un altro tatuaggio», e la frase non si riferisce al dolore fisico provato durante il processo del tatuaggio, ma al significato di quel particolare tatuaggio e alla vita difficile che gli sta dietro.20

Il tatuaggio dunque può essere eseguito anche su coloro che non condividono le tradizioni siberiane, a patto che la sua realizzazione avvenga nel rispetto delle regole rituali. Si tratta di un modo che i siberiani hanno per raccontare se stessi al di fuori della propria comunità, superare la barriera che li separa dal mondo esterno, condividendo schemi e valori con persone di culture molto

diverse. I simboli disegnati sulla pelle, dunque, costituiscono una forma peculiare di scrittura e di narrazione: la loro condivisione con l'Altro, estraneo al mondo di provenienza dell'autore, è un'operazione sostanzialmente equiparabile all'atto di scrittura di Lilin che, non a caso, era destinato egli stesso a divenire tatuatore della propria comunità. La condivisione della pratica del tatuaggio col mondo esterno porta in sé tutte le problematiche che sorgono dalla condivisione del patrimonio di qualunque realtà marginale con chi non la conosce, suscitando simultaneamente un senso di curiosità e di repulsione generati dal contatto col “diverso”: dunque quale dovrà essere, in generale, la modalità del racconto, la condivisione del proprio patrimonio effettuata attraverso un canale artistico, la cui fruizione è destinata a persone che non condividono la cultura dell'autore?

Già nella fase di studio dei disegni, ho cominciato a chiedermi e a chiedergli21 perché ogni tatuaggio non poteva essere inteso esclusivamente come un’opera d’arte, piccola o grande che fosse. Il mio maestro mi rispondeva che la vera arte è una forma di protesta, quindi ogni opera d’arte deve creare contraddizioni, far discutere. Per la sua filosofia, il tatuaggio criminale era la forma d’arte più pura che esisteva al mondo. La gente - diceva - odia i criminali, però ama i loro tatuaggi. Io ribattevo che forse era possibile stabilire una connessione tra arte di qualità e significato profondo, filosofia della tradizione siberiana. Lui mi rispondeva, dicendo con molta fiducia nella voce: - Quando si arriverà al punto che la gente qualsiasi avrà voglia di farsi tatuare i simboli della nostra tradizione, allora avrai ragione... Ma non credo che succederà mai, perché la gente odia noi e tutto quello che è legato alla nostra vita.22

La medesima problematicità che il tatuaggio suscita nei non appartenenti alla comunità è riverberata nella pratica di scrittura di Lilin, il quale non cerca di interpretare il passato di Kolima ma piuttosto vuole fornire al lettore gli strumenti per immergervisi, correndo il rischio di suscitare contestualmente alla curiosità un sentimento di rifiuto o repulsione.

Il tatuaggio riporta questo percorso ad uno degli elementi fondamentali della prima formazione impartita a Kolima ed a uno dei più importanti crolli dei quali il protagonista porta il segno: quella che Jameson definisce l'“alterità naturale precapitalista”, distrutta dall'industrializzazione del modo moderno.

La subcultura criminale nella quale Kolima cresce, coerente con lo spazio degradato della cittadina sovietica provinciale, è dunque figlia di un'altra cultura più antica, per la quale è possibile rintracciare un esponente in Nicolaj, il fratello maggiore23 di Boris, il nonno paterno di Kolima.

21 Kolima si riferisce a Le8a il vecchio tatuatore dal presso il quale svolgeva la sua attività di apprendista. 22 N. Lilin, Educazione siberiana, Torino, Einaudi, 2009, p. 93.

Nicolaj vive ancora in Siberia dove svolge l'attività di cacciatore, preservando intatte le ultime tracce della vecchia cultura tribale degli Urca. Kolima decide di andare a trovarlo dopo il servizio militare, quando si rende conto che le ripetute crisi da reduce che sta affrontando, oltre a distruggergli la vita, lo hanno reso effettivamente inadatto a vivere con altri esseri umani nella città.

In Il respiro nel buio il secondo capitolo (L'uomo della foresta) è interamente dedicato alla Siberia, alla storia di nonno Nicolaj ed alle tradizioni antiche, spesso cruente, di chi ancora nel XXI secolo abita la taiga.

Kolima si reca in Siberia in treno, trovandosi casualmente ad affrontare il lungo viaggio assieme ad un giovane studente di geologia, tanto entusiasta di recarsi nella Taiga quanto ignorante delle effettive difficoltà dell'ambiente nel quale si stava avventurando:

- Nella mia famiglia sono tutti laureati, da più di cinque generazioni! - mi spiegava tutto eccitato. - Uno dei miei antenati era un grande esploratore, ha guidato molte spedizioni, persino al Polo Nord! Adesso finalmente tocca a me... Mi sembra già di vedere il bosco, di sentirne il profumo... Basta leggere qui, - Aggiungeva sventolando il libro, - mio nonno lo descrive alla perfezione!

Volava tra le nuvole, troppo in alto, parlando di cose su cui senza dubbio aveva letto molti libri costruendosi una grande base teorica, ma si capiva a prima vista che nella pratica non sarebbe sopravvissuto una notte nell'orto di mia nonna, figuriamoci negli spazi immensi pieni di alberi e fiumi veloci e animali che non sanno né leggere né ragionare come gli uomini.24

Kolima dunque assume un ruolo di insegnate, organizzando una sorta di “Università Mobile Transiberiana” (p. 98) nell'ambito della quale, giorno dopo giorno, istruisce il giovane studente trasmettendogli tutto il sapere antico appreso a sua volta dai propri vecchi.

Questa breve storia di formazione, nella quale il protagonista facendo rivivere i propri antenati, assume il ruolo di maestro, è un'occasione di confronto tra Natura e Cultura: il geologo deve rivoluzionare il suo intero sistema conoscitivo, non solo accettando l'esistenza di un'“alterità” della quale non riusciva neppure a concepire l'esistenza, ma prendendo confidenza con un nuovo modo di osservare il mondo, cominciando in primo luogo a rivedere le proprie nozioni di spazio e tempo:

rapporto apprendista-maestro o discepolo-insegnante) è uso utilizzare il termine Nonno. Per questo motivo anche in questo lavoro si utilizzerà l'espressione “nonno Nicolaj” anche se si tratterebbe più propriamente di un porzio del protagonista.

[…] chi vive nel bosco finisce per diventare bosco... I siberiani hanno un modo tutto loro di percepire le distanze, per chi arriva dalla città ed è abituato ai trasporti pubblici, alle comodità ed alla vicinanza di tutte le strutture, è difficile camminare a lungo... Devi stare molto attento quando chiedi indicazioni ai siberiani, se ti dicono «è qui dietro l'angolo» di solito c'è almeno qualche chilometro, «bisogna camminare un po'» prevede molto probabilmente una spedizione di qualche giorno.25

- Sai, - ho cominciato, - il bosco non è tanto semplice. Chi ci vive da sempre ne fa parte, anche nel carattere, ha dentro di sé un po' di animali, uccelli, alberi, fiumi, paludi neve... Io vado in Siberia a trovare mio nonno da quando avevo otto anni, a volte ho passato mesi interi con lui nel bosco, eppure mi sembra ogni volta di dover cominciare tutto da capo, è tutto nuovo. Per capire la Taiga bisogna passarci molte stagioni, solo quanto cambia la tua percezione del tempo e della vita puoi cominciare a capire qualcosa.26

Non si tratta di una trasformazione indolore: recuperare il contatto con la Natura non è una regressione, ma secondo il punto di vista del narratore, un'elevazione. Così, quando il geologo risponde stupito al giovane siberiano di non aver portato nessuna arma con sé, Kolima gli spiega la necessità di spogliarsi del suo sguardo cittadino - comprese le sue nozioni di geologo - per potersi presentare preparato alla taiga: la formazione naturale, dunque, si configura come vera e propria deformazione del soggetto civilizzato, il quale per prima cosa deve sforzarsi di annullare se stesso.

Tu ti identifichi come «geologo», ma il bosco non lo sa, per lui sei semplicemente un essere umano, un estraneo rompiscatole che è arrivato da lontano per scavare dentro la terra e disturbare il corso della vita. Se entri nel bosco come «geologo» non hai speranze, devi entrare come «niente», devi cancellare le cose che conosci e cercare di imparare il resto.

Il geologo sembrava confuso.

- Come faccio a essere «niente»? - ha detto col suo ditino alazato.

Devi azzerarti! Portarti al livello del bosco. E siccome il nostro livello di partenza è quello della società moderna, vuol dire che devi elevarti, non degradarti. La gente pensa che passando dalla società sviluppata a un mondo primordiale tutto è molto più semplice. Invece questo passaggio ha bisogno di una crescita enorme, difficile, che molti non riescono a compiere neppure in un'intera vita.27

Kolima condivide la parte più ancestrale della sua educazione siberiana, legata alla parte più autentica della sua infanzia: come sopravvivere nel bosco, come procurarsi il cibo e non attirare predatori verso sé, ma soprattutto come non mutare i delicati equilibri che regolano l'ecosistema

25 Ivi, p. 110. 26 Ivi, p. 87. 27 Ivi, p. 88.

della taiga in modo da preservarne l'integrità, garantendo la sua rigenerazione e con essa la sopravvivenza dei suoi abitanti, che siano animali o uomini:

Spiegavo al mio studente che nel bosco tutto si basa sugli odori.

- Annusando gli escrementi gli animali memorizzano gli odori e li collegano a certe zone, se avvertono la presenza dell'uomo in una zona cercano di evitarla per lungo tempo, così un turista o un cacciatore o un escursionista inesperto e non preparato alla vita nel bosco può distruggere un ecosistema senza neppure accorgersene, allontanando un branco di animali dal posto che hanno scelto sulla base della loro alimentazione e spesso costringendoli a morire, perché di solito nel bosco, come in un buon condominio, tutti i posti migliori sono già occupati. La Taiga è grande, ma nonostante all'apparenza sia potente è anche molto fragile... Devi stare attento a non lasciare neppure segni semplici come resti di cibo, cicche di sigaretta, impronte di fuoco, sapone profumato o dentifricio al mentolo, se li lasci in un posto sbagliato possono scatenare una reazione catastrofica... Quando i predatori si comportano in modo violento con gli uomini spesso non è perché vogliono mangiarli, ma semplicemente perché li irrita l'odore delle cose che noi portiamo nel bosco.28

Terminato il viaggio in treno, Kolima prosegue a piedi viaggiando da solo per alcuni giorni, fino a raggiungere la vecchia casa di Nicolaj. Anche a questo personaggio è dedicato uno spazio importante, diverso da quello che in Educazione siberiana è riservato a ciascun anziano della comunità che abbia avuto un ruolo nella formazione del protagonista: nonno Nicolaj è la forma più autentica di tutti i valori appresi dal protagonista nella sua giovinezza. Questi insegnamenti gli erano stati impartiti però in un ambiente degradato, lontano dal teatro nel quale erano stati originariamente sviluppati, e perciò destinati inevitabilmente alla contaminazione, al decadimento ed alla perdita di significato.

La cultura siberiana, rifiutata dagli stessi Urca delle generazioni più recenti - compreso il padre di Kolima -, per Nicolaj ha ancora senso e si ritrova intatta come intatto è lo spazio nel quale si sviluppa, la Taiga. Per questo di fronte al progresso contemporaneo, che per il nonno di Kolima e simboleggiato dalla conquista della Luna, il vecchio cacciatore si mostra scettico, rifiutando di ascoltare le argomentazioni del nipote.

[…] non c'è niente da conquistare al di fuori degli istinti naturali che abbiamo perso. Se gli uomini vogliono sopravvivere devono imparare a stare insieme, per stare insieme devono imparare a condividere ogni cosa -. Ha infilato il naso nella brocca e ha approvato la 28 Ivi, p. 100.

tisana con lo sguardo: era pronta. - Continuiamo a comportarci come se fossimo dèi anche se ogni giorno tutti quanti dobbiamo scendere dalle nostre divine altezze per scaricare gli escrementi come qualsiasi altro animale, continuiamo a far finta di essere immortali... Ti sei mai chiesto perché gli uomini davanti alla morte si comportino come se fosse un evento straordinario o brutale? Te lo dico io perché, perché tutti in fondo pensiamo di essere eterni, senza fine, perché ci piace vivere e perché la vita appare in sé come un'immagine ferma. Ma niente è fermo in questo mondo, l'hanno capito tutte le specie viventi tranne noi, creature indegne e insignificanti... Per questo abbiamo inventato Dio, il Paradiso, la vita eterna, perché non riusciamo a percepire il fatto che ogni nostro respiro, ogni nostra esperienza, nasce dalla natura e ritorna nella natura, e si trasforma nella sostanza che dà vita alle altre creature... Questo è Dio, questo è il Paradiso, questa è la vita eterna, ma non dipende da noi, non siamo figure centrali, possiamo solo contribuire a mandare avanti questo mondo senza rovinarlo...

Mi ha passato una tazza fumante ed è uscito, dirigendosi verso la legnaia. A quanto pare il suo discorso per adesso era concluso. Ho assaporato la tisana pensando a quello che mi aveva appena detto: come sempre mio nonno buttava giù un po' di parole in cinque secondi, e io a capirle ci mettevo anni.29

Nei dialoghi tra Kolima e il nonno ritorna quello scontro tra Natura e Cultura rappresentato poco prima, durante l'“educazione siberiana” trasmessa dal protagonista al giovane geologo. Si tratta di un contrasto che si ritrova anche tra la comunità transistriana ed il mondo esterno, ma con modalità diverse: la comunità siberiana deportata nel sud-ovest dell'Urss non dispone più del proprio spazio e rappresenta nella sua totalità un cumulo di macerie, i residui di un crollo avvenuto precedentemente, molto più a nord. Se l'attività criminale nella sua terra d'origine assumeva il carattere di una guerra di resistenza, la sua sconfitta non avviene con la perdita della tradizione, ma con la deportazione e la sottrazione del motivo della lotta secolare condotta dagli antenati di Kolima: la loro terra.

Quelli come lui [scienziati e geologi] mio nonno Nicolaj li chiamava «diavoli della città», perché spesso osavano disturbarlo con le loro domande sulle tipologie di pietre della zona e su cosa si trovava nella terra, pensando che i vecchi fossero talmente stupidi da raccontare dov'era l'oro e dove le pietre preziose. Mio nonno aveva un argomento forte e imbattibile contro i geologi e tutti gli scienziati che avevano lavorato in Siberia: raccontava che intere tribù di nativi erano morte per colpa delle scatolette di cibo lasciate dai membri delle varie spedizioni scientifiche. Quegli uomini così intelligenti, grandi studiosi, non si rendevano conto che l'alimentazione dei nativi siberiani era basata su cibi estremamente naturali, e il loro metabolismo non sopportava i prodotti industriali, così pensando di fare un bel gesto, regalavano le scatolette e avvelenavano un tribù. La loro totale incapacità di comprendere la 29 Ivi, p. 150.

differenza tra la Russia moderna e il vecchio mondo tribale ha rovinato la Siberia.30

La guerra condotta dai criminali siberiani si riveste nel romanzo di connotazioni simboliche, incarnando in sé la lotta per la sopravvivenza dell'elemento naturale contro quello antropico:

Ho cominciato a interessarmi alla Siberia quando ero piccolo: nonno Boris, padre di mio padre, era nato lì e aveva passato l'infanzia in un villaggio siberiano, e mi raccontava spesso di questa terra, le sue fiabe antiche, le storie dei combattenti, dei «criminali onesti» che rapinavano le carovane dei russi, le loro barche sui fiumi, e cercavano di distruggere i loro insediamenti nei boschi.

Era nato in una famiglia di resistenti anticomunisti, a dire il vero erano resistenti-da- sempre e se la prendevano con chiunque arrivasse in Siberia a estendere il proprio dominio, ma con il regime comunista si era creata una vera e propria guerra […].31

In la seconda connotazione di cui si riveste la resistenza dei siberiani e quella antimperialista, nel tentativo di opporsi al saccheggio attuato da una potenza esterna, proveniente dal mondo moderno:

[...] nessun criminale ha mai sostenuto una forza politica, vivevano tutti seguendo solamente le loro leggi e combattendo qualsiasi potere governativo. La Siberia ha da sempre fatto gola ai russi perché è una terra molto ricca di risorse naturali: oltre agli animali da pelliccia, che in Russia erano considerati un tesoro nazionale, la Siberia aveva tanto oro, diamanti, carbone; più tardi hanno scoperto pure petrolio e gas. Tutti i governi hanno tentato di sfruttare il più possibile la regione, naturalmente senza fare i conti con la popolazione. [...]

In quegli anni tra gli Urca siberiani esisteva una filosofia, un modo per intendere la realtà, che si chiamava «Grande patto». Era una specie di piano generale che permetteva a tutti i criminali di esercitare una resistenza attiva contro il governo rapinando in continuazione i treni e i vari mezzi di trasporto. Secondo la vecchia legge criminale, una banda non poteva