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Sesso e violenza indifferenziati: la distruzione del corpo si consuma nel Pulp o alla

3.2 Alcuni caratteri degli anni Ottanta e Novanta ereditati dagli anni Duemila: televisione,

3.2.6 Sesso e violenza indifferenziati: la distruzione del corpo si consuma nel Pulp o alla

In romanzi di (de)formazione Ronald De Roy, Beniamino Mirisola e Viva Paci dedicano un capitolo alla deformazione del corpo e dei sensi, con appositi paragrafi per la vista, il tatto, l'udito e l'olfatto, studiando come la dilatazione del potere percettivo dei cinque sensi nella narrativa degli ultimi vent'anni abbia determinato la costruzione di un peculiare filtro ermeneutico dei soggetti letterari. Il corpo dei personaggi degli Novanta subisce le decostruzioni postmoderniste più radicali, particolarmente nel pulp, mentre è possibile individuare una ricostruzione, sempre incentrata sui sensi e la corporalità, nella letteratura più recente.

Un altro settore nel variegato panorama della deformazione letteraria è costituito dal vasto terreno dei sensi. I narratori esaminati operano spesso un incisivo lavoro stilistico e narrativo su uno o più dei cinque sensi. Si tocca così la dimensione intimamente corporea e sensoriale che caratterizza gran parte della prosa di oggi. In quanto assaliti e bombardati da stimoli visivi, mentali e mnemonici provenienti da un microcosmo frenetico e multimediale, i personaggi e i protagonisti di questa narrativa appaiono spesso dotati di un'ipersensibilità e di una grande acutezza sensoriale.122

Ripercorrendo i mutamenti socioeconomici del mondo occidentale, nei paragrafi precedenti si è cercato di ripercorrere il ciclo di trasformazioni che hanno determinato la particolare rappresentazione della destrutturazione del vecchio mondo modernista nel paesaggio postmodernista, costituito da molecole impazzite, frammenti euforici e spazzatura informe. Il

121 A. Moresco, Canti del caos, Milano, Mondadori, 2001.

soggetto di questa visione vive la propria frammentazione senza consapevolezza, non avendo mai sperimentato la precedente verticalità o avendo comunque obliterato la propria memoria storica e le proprie capacità analitiche, immergendosi nel presente contemporaneo e lasciandosi travolgere dalla sua piattezza. Al soggetto letterario (e reale), privato di una qualsiasi visione globale del mondo - o totalizzante, riprendendo Jameson -, rimane dunque solo se stesso, divenendo perciò personaggio di narrazioni che potrebbero essere definite “intimiste”, popolate di personaggi dotati di una visione soggettiva del mondo, spesso limitata alla ristretta dimensione quotidiana.

Tuttavia nel pulp dei “giovani cannibali”, o comunque nelle opere che si riconducono a questo “filone”, la vecchia dimensione verticale è rimossa a tal punto che, anche per quanto riguarda l'interiorità del personaggio, non è più possibile rintracciare nemmeno la profondità della psiche. Non esiste un'interiorità strutturata in grado di interpretare il mondo - seppur attraverso uno sguardo soggettivo ed alieno da qualsiasi visione collettiva politica e sociale - né esiste un Io profondo in grado di riconoscere a se stesso uno statuto simile a quello della monade alienata, impossibilitato ad indagare il mondo reale ma in grado di scrutare sé stesso. Ai protagonisti di queste narrazioni appiattite rimane semplicemente il proprio corpo, ridotto a guscio, ed i suoi sensi, svuotati della tensione epistemologica verso il mondo.

Il processo di riduzione dei protagonisti pulp - e dei loro “discendenti” - allo statuto di puri personaggi bidimensionali di carta o celluloide, l'eliminazione nella finzione narrativa di tutto ciò che li rendeva plausibilmente persone, la scomparsa dei soggetti politici, sociali e psicologici, può essere accostato a quanto descrive Jameson relativamente alla morte del soggetto modernista nel già citato passo in cui il Grido di Edvard Munch è posto come termine di confronto del passato con il presente postmodernista:

Tutto questo suggerisce un'ipotesi storica più generale: concetti come quello di angoscia ed alienazione (e le esperienze cui corrispondono, come nel Grido) nel mondo postmoderno non sono più adeguati.

[...]

Questi termini richiamano inevitabilmente uno dei temi più in voga nella teoria contemporanea, quello della “morte” del soggetto modernista – la fine della monade autonoma borghese, dell'ego o dell'individuo – e una parallela insistenza, da intendersi come nuovo ideale morale, oppure quale descrizione empirica, sul decentramento del soggetto o della psiche precedentemente centrati.

[…]

[…] il quadro di Munch […] ci mostra infatti che l'espressione esige la categoria della monade individuale, ma al tempo stesso ci mostra l'alto prezzo da pagare per quella

precondizione, mettendo in scena il triste paradosso che, quando si costituisce la propria soggettività individuale come un campo autosufficiente e chiuso, ci si esclude da tutto il resto e ci si costringe alla cieca solitudine della monade, sepolta viva e condannata ad una prigione senza uscita.

Probabilmente il postmodernismo segna la fine di questo dilemma, a cui ne sostituisce uno nuovo. La fine dell'ego borghese, della monade, comporta certamente anche la fine delle proprie psicopatologie cioè quello che ho chiamato declino degli affetti.123

La fine delle psicopatologie moderniste, però, non determina una guarigione del soggetto, ma semplicemente la perdita della capacità di autoanalisi, la fine delle rimuginazioni del Io alienato sul proprio stato che, se lo rende un emarginato, lo pone anche al di sopra degli altri, come se la sua particolare percezione delle cose lo rendesse membro di un'élite solitaria e dolorosa. Si tratta della fine di una nevrosi, talvolta contornata da un certo narcisismo, degenerata in psicosi, dove la realtà è una sola e non viene messa in discussione: il soggetto non si rende conto di nulla, non è in grado di identificare la propria diversità come un'anomalia rispetto all'altro ma, chiuso in una bolla, fluttua disinteressato a cogliere qualsiasi profondità attorno e dentro di sé.

Quanto all'espressione, ai sentimenti o alle emozioni, la liberazione, nella società contemporanea, dalla precedente anomia del soggetto centrato potrebbe implicare non solo una semplice liberazione dall'angoscia, ma anche una liberazione da ogni altro tipo di sentimento, dal momento che non si dà più un io che possa provarlo. Questo non vuol dire che i prodotti culturali dell'era postmoderna siano del tutto privi di sentimento, ma piuttosto che tali sentimenti […] fluttuano liberamente […].124

Il corpo e la sessualità, dunque, smettono di essere dei soggetti politici coerenti come invece accadeva, citando un esempio particolarmente significativo, nei film di Pasolini della

Trilogia della vita: nel tardo capitalismo, invece, l'eros è ridotto a merce e la liberazione sessuale ad

un requisito minimo per l'accesso al mercato.125

Lo stesso Pasolini, del resto, aveva ben chiari questi sviluppi fin dagli anni Settanta, prima che questo meccanismo si esplicitasse con la chiarezza e gli eccessi degli anni Ottanta e Novanta; anzi fu proprio questa consapevolezza a spingerlo ad abiurare la sua stessa Trilogia ed a realizzare

123 F. Jameson, Postmodernismo ovvero la logica culturale del tardo capitalismo, cit., pp. 31-32. 124 Ibidem.

125 Il sesso costituiva già un elemento importante in Altri libertini (1980) di Pier Vittorio Tondelli, tuttavia lo scarto con questo tipo di scrittura è evidente proprio dalla scissione sesso-sessualità che invece operano i cannibali. Persino in narrazioni generazionali di qualità decisamente più bassa (per molti, probabilmente, scadente) come il celebre

Porci con le Ali (1975) di Marco Lombardo Radice e Lidia Ravera, la rappresentazione esplicita del sesso, allora

giudicata scandalistica, è finalizzata ad una descrizione emancipatrice della sessualità giovanile, rigorosamente connessa con la sfera politica e sociale nella quale gli stessi protagonisti erano immersi.

Salò o le 120 giornate di Sodoma: un'opera di senso inverso rispetto alle precedenti, realizzata con

l'intento di mostrare come l'esercizio del potere si esplicitasse sadicamente attraverso quegli stessi giovani corpi e quella stessa sessualità nei quali, un tempo, Pasolini aveva cercato tracce di una sacralità perduta. Non è più possibile, secondo l'intellettuale, conservare il vecchio sguardo che lo aveva condotto a sviluppare una poetica del corpo e dell'eros, cercando di realizzare un progetto politico, che contribuisse alla liberazione sessuale, ed uno di ricerca mitica, indagando il principio di sacralità nascosto nella fisicità candida dei suoi personaggi:

Ora tutto si è rovesciato.

Primo: la lotta progressista per la democratizzazione espressiva e per la liberalizzazione sessuale è stata brutalmente superata e vanificata dalla decisione del potere consumistico di concedere una vasta (quanto falsa) tolleranza.

Secondo: anche la «realtà» dei corpi innocenti è stata violata, manipolata, manomessa dal potere consumistico: anzi, tale violenza sui corpi è diventato il dato più macroscopico della nuova epoca umana.

Terzo: le vite sessuali private (come la mia) hanno subito il trauma sia della falsa tolleranza che della degradazione corporea, e ciò che nelle fantasie sessuali era dolore e gioia è divenuto suicida delusione, informe accidia.126

Secondo Pasolini, la nuova libertà sessuale ottenuta non costituisce nulla di sostanziale se non una convenzione, un obbligo in grado di generare ansia nel soggetto che, intrappolato nel ruolo di consumatore, è costretto ad un coito impersonale e reificante per poter partecipare della nuova realtà sociale.

Tornando alle opere del cinema e della letteratura pulp degli anni Novanta, partendo da Tarantino ed arrivando agli italiani Nove, Ammaniti e Scarpa, è facile, per non dire banale, notare l'evidente ruolo centrale detenuto dal sesso, nell'intreccio ma soprattutto nei dialoghi e nelle “riflessioni127” dei personaggi: si tratta probabilmente dell'elemento più disturbante di queste

narrazioni, assieme - non è un caso - alla violenza. Riguardo a quest'ultima si è parlato spesso di “iper-realismo” nel descrivere ferite o mutilazioni in genere censurate dalle vecchie narrazioni, concedendo all'autore in alcuni casi un certo merito stilistico in grado di controbilanciare, se non compensare, una sua morbosità dello sguardo di fronte ai corpi dilaniati dei suoi personaggi. Per

126 P. P. Pasolini, Abiura dalla Trilogia della vita, in Lettere Luterane, Torino, Einaudi, 1975, 2003, pp. 71-72. Comparso il 9 Novembre 1975 ne «Il Corriere della Sera».

127 Le virgolette sono d'obbligo, dal momento che, se i personaggi pulp naturalmente sono in grado di formulare pensieri, il prodotto della loro attività psichica si presenta come una fluttuazione libera di immagini e concetti, assolutamente complanare a quanto dicono, ai loro riflessi incondizionati, ai loro istinti sessuali, alle loro azioni più inconsulte.

quanto riguarda il sesso, però, la stessa morbosità dello sguardo del narratore genera un quadro voyeuristico che spesso deriva nel pornografico e nell'osceno, attirando su di sé un giudizio spesso negativo e, giustamente, nauseato.

Sotto l'ombrello delle deformazioni tattili, possiamo categorizzare innanzitutto le caratteristiche scene di (estrema) violenza che troviamo sparpagliate in tanta narrativa dei giovani “cannibali”. Questa fervida immaginazione che ruota attorno alla violenza fisica, e che spesso sfiora la dimensione fumettistica, va di pari passo con una visione deformante dell'atto amoroso in chiave esclusivamente fisica, spesso pornografica. Ne abbiamo un chiarissimo esempio nel debutto narrativo di Tiziano Scarpa: in Occhi sulla graticola l'amore è collocato fermamente sotto il segno dell'immobilità e della non comunicazione. Manca ogni idea positiva del rapporto amoroso, così come qualsiasi ombra di formazione, di educazione sentimentale: tutta la storia tra Alfredo e Carolina si riduce […] a voyeurismo e autoerotismo.128

Esprimere un giudizio su narrazioni di questo tipo non è sicuramente facile ed è indiscutibile il fatto che l'inserimento dell'elemento sessuale renda spesso un prodotto più interessante al grande pubblico, premettendo una più facile e premeditata commercializzazione. Tuttavia, almeno per alcune di queste narrazioni, parlare di operazioni puramente commerciali è sensato quanto parlare di pornografia (come si è effettivamente fatto) per film come Salò o le 120

giornate di Sodoma di Pier Paolo Pasolini o Arancia Meccanica di Stanley Kubrick.

È innegabile che l'osceno sia presente, ma ciò che è erotico o pornografico agli occhi del personaggio (ad esempio nei racconti Complotto di famiglia, Vibravoll, Un attimino bella, C'era

mio padre sul divano, Jasmine tratti da Superwoobinda di Aldo Nove, o il precedentemente citato

racconto di Tiziano Scarpa tratto da Amore®) non lo è affatto per il lettore, il quale, spettatore

esterno, percepisce (e subisce) impotente una dolorosa distorsione della libido.

Questo racconto che ho scritto è una bella occasione di lettura per tutti perché dice che sono stato felice tre ore davanti alla tele, chiunque lo può fare se ha 20 000 lire da spendere bene. 20 000 sono il prezzo di un settimanale a vista del metrò milanese (da novembre) e chiunque lo può prendere. Io l'ho fatto per avere il Videocatalogo 1995 Rabbit Home Video Rocco Siffredi Production Preziosa Lolita. 180 minuti di sesso!

Ciascuno deve amare il sesso! Fa dimenticare il lavoro e la morte, nessuna tristezza gli resiste, tutti sono contenti e lo vogliono fare: Gianfranco Fini e Gianfranco Funari, Mara Venier e Roberto Baggio lo fanno, tuo padre lo fa (o lo ha fatto).

[…]

[…] mi muovo meglio in questa società stupenda, vedo tutte le fighe che voglio, che 128 R. De Rooy, B. Mirisola, V. Paci, Romanzi di (de)formazione, cit., p. 110.

fanno tutto quello che voglio alla tele, anche il giovedì pomeriggio e la domenica mattina e non solo venerdì sera quando ero un povero ragazzino e Telereporter mi comandava come un pupazzo.129

Nel passo successivo lo svuotamento della sessualità si mescola alla pratica formale dell'elenco, che permette di passare in rassegna la merce (particolari accessori per la telefonia convertiti in giocattoli erotici) descritta con l'esattezza linguistica che normalmente si ritrova nelle pagine di un catalogo: la stessa precisione asettica, però, è utilizzata dalla protagonista per parlare della propria vita sessuale.

Mi chiamo Stefania e sono Ariete cuspide Toro. Mio Marito si chiama Gianni, ha quarant'anni e fa l'agente di finanza.[…]

Il mio telefono cellulare è uno Sharp TQ-G400.

Misura 130 per 49 per 24 millimetri e pesa 225 grammi con la batteria standard.[…] Il mio telefono cellulare ha indicati il livello di ricezione del segnale, quello della carica della batteria, lo stato del telefono e l'ora. […] Registra in memoria le ultime dieci telefonate che ho fatto. Così, quando guido sull'autostrada alla ricerca di un attimino di relax, posso telefonare a Gianni e farmi dire delle porcate. Gianni mi dice: «Ti leccherei la figa, brutta bagascia che non sei altro», e io guido e mi bagno.

Gianni mi telefona sempre da Piazza Affari dove tutti gridano e nessuno si accorge cosa dice il mio Gianni al suo cellulare, un Ericsson EH237 da 1 583 000 lire.

[…] devo dire che una coppia così, che viaggia molto, dovrebbe senz'altro avere, come me e Gianni, Vibravoll.

Vibravoll è l'avvisatore silenzioso dei telefoni cellulari che mio marito mi ha messo nel culo il giorno dell'anniversario del nostro matrimonio.

Mi ha detto: «Aspetta che ti metto una cosa su per il culo».

Pensavo fosse il solito vibratore, con schizzo o senza schizzo, vibrante o non vibrante, con glande scopribile o non scopribile, insomma un oggetto da mettere nel culo.

Invece era Vibravoll.

Mio marito è uscito dalla stanza e mi ha chiamata col suo Ericsson EH237 al mio Sharp TQ-G400.

Subito Vibravoll ha incominciato a vibrare […].130

Com'è possibile riscontrare analizzando anche l'architettura di molte narrazioni horror o

splatter, specie quelle di serie B, la chiave di volta del pulp anni Novanta non è costituita dalla

presenza del sesso o dalla violenza, ma dal loro peculiare rimescolamento, dalla confusione

129 A. Nove, Videocatalogo Italia in Superwoobinda, cit., pp. 157-159. 130 A. Nove, Vibravoll in Superwoobinda, cit., pp. 17-19.

generata tra i due poli verso i quali tende l'Io freudiano, la libido e la destrudo. Ciò che rende però originali queste produzioni rispetto alle altre scritture dell'orrore è il luogo dove avviene il rimescolamento: lo schermo televisivo, di fronte al quale i personaggi stazionano per ore, il mondo catodico che li imprigiona e lo “sguardo televisivo” col quale si accostano gli uni agli altri anche nella vita reale.

Effettuando dunque una lettura sistemica di questi elementi narrativi - spersonalizzazione, sesso, violenza, televisione - è semplice individuare un collegamento tra questo particolare utilizzo pornografico e sadico del corpo e la realtà circostante, riconoscendo così nel pulp non i sintomi di un voyeurismo autocompiaciuto, quanto piuttosto la cruda messa in scena di segmenti tratti dalla confusione mediatica contemporanea: frammenti che, inseriti nella narrazione, diventano espressione del rimescolamento caotico interiore del soggetto, componendo una particolare parafilia sadomasochistica generata dalla confusione indistinta di libido e destrudo.

Il corpo, denudato, contratto nell'amplesso come nell'agonia di uno sfregio mortale, diviene il terreno ultimo della rappresentazione del Reale: ridotto a puro involucro, eliminata qualsiasi profondità verticale sia verso l'esteriorità - per quello che riguarda le relazione con la storia e la società - sia verso l'interiorità - per quanto concerne lo spessore psicologico -, non può che essere destinato alla fruizione puramente utilitaristica (sessuale) in quanto bene di consumo, quindi alla distruzione e smaltimento in quanto rifiuto o scoria esaurita. Ancora una volta, dunque, ritorna nella descrizione del referente contemporaneo il binomio merce/spazzatura.

Tuttavia non si deve pensare ad una semplice operazione simbolica: il sadomasochismo ed il rimescolamento delle pulsioni non sono tanto una metafora pasoliniana dell'esercizio del potere nel mondo contemporaneo, ma divengono una realtà concreta se si considera l'utilizzo effettivo che la televisione e la pubblicità fa del corpo, soprattutto femminile, distorcendo vecchi valori di emancipazione sociale e sessuale a vantaggio della produzione di un nuovo non-soggetto, un modello “usa e getta” di velina manageriale al quale tendere per poter appartenere alla società contemporanea.

Ciascun elemento del pulp, infatti, si ritrova praticamente identico nel flusso mediatico televisivo, un torrente che scorre ininterrotto ed incensurato: la riduzione ad immagine dei corpi facilita l'appiattimento al modello consumistico, portando necessariamente alla separazione della sessualità (e le sue profondità psicologiche, sociali e politiche) dal sesso, anch'esso tramutato in merce e status symbol, per il quale si presuppone un consumo rapido, reiterato e aggiornato fino alla compulsività, come per qualunque altro prodotto di mercato. Il corpo, trasformatosi da soggetto in oggetto attraverso la televisione, diviene un elemento passivo manovrato dai media che lo

predispongono al consumo, lo espongono galvanizzandolo, per poi trasformarlo in rifiuto nell'ambito di un gioco di dominio e sottomissione puramente sadomasochistico.

Lo spettatore, ugualmente dominato dal flusso televisivo, proietta il proprio sguardo voyeuristico sullo schermo, ritrovandosi a sua volta appiattito nell'immagine di se stesso, svuotato di profondità critiche, incapace di interpretazione ma disponibile solo alla ricezione: del resto, è il canale stesso che non richiede interpretazione; tuttavia, qualora lo spettatore si cimentasse nell'atto ermeneutico, l'assuefazione e la caoticità della realtà contemporanea frammentata renderebbero vani i suoi sforzi.

A questo punto il corpo del soggetto postmoderno, ridotto a simulacro, attua il proprio processo di frammentazione e decostruzione andando letteralmente in pezzi: gli arti mutilati del

pulp costituiscono dunque le macerie di un particolare tipo di crollo, quello della corporeità e della

sessualità del vecchio “soggetto centrato modernista”.

La descrizione dell'orgasmo finale Roberta Palmieri in Fango costituisce un esempio calzante di rappresentazione della disgregazione del corpo. La donna, infatti, ha ipnotizzato il proprio vicino di casa per poter utilizzare il suo corpo inerte come feticcio sessuale: la citazione riportata riguarda il raggiungimento del quarto orgasmo, quello “del fuoco”.

«Sì Davide! Bravissimoh Davide! Eccolo... Eccoloooo...» E arrivò.

Con un botto che le fece saltare tutti e due i timpani.

Stranamente al posto del piacere atteso c'era un dolore. Un dolore d'inferno. Sentì il fuoco ustionarle le budella. Aprì gli occhi.

Un nebbione padano aveva riempito la stanza. Il suo salotto mediorientale era completamente distrutto.

Si guardò il ventre. E vide che le sue interiora erano diventate esteriora. Le budella le colavano giù, come un gigantesco lombrico floscio, a terra. Viscide, rosse e bruciate.

Provò a tirarsi su. Non ci riuscì.

Le gambe!

Le sue gambe giacevano a terra, a un metro da lei, staccate di netto dal busto in un lago di sangue e carbone.

Appena si rese conto che si reggeva in un equilibrio precario sull'erezione di Davide Razzini incominciò a ondeggiare pericolosamente.

Ma Davide aprì gli occhi.

Quell'esplosione doveva averlo tirato fuori dall'ipnosi. Nello stesso istante in cui si risvegliò, la sua erezione scemò.

Roberta Palmieri crollò di faccia contro il pavimento.131