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CAPITOLO 2: IL CROLLO, LE MACERIE, LA POLVERE

3.5 La fine dell'Unione Sovietica e il postcomunismo: l'abbattimento del vecchio edificio

3.5.3 Distopie cittadine di guerra e di pace

Analogamente per quanto è accaduto per lo spazio naturale premoderno della Siberia, anche lo spazio urbano moderno che Kolima abita diventa improvvisamente irriconoscibile, deformandosi assieme alle persone che lo abitano, finendo con l'assomigliare sempre più a un improponibile cartone animato. I personaggi che si muovono in questo cartoon sembrano essere il calco dei protagonisti di soap opera televisive: improvvisamente tutti vogliono essere occupati come un newyorkese, pieni di faccende da sbrigare ed “affari” da gestire, come se improvvisamente la piccola città transnistriana si fosse trasformata nella dinamica metropoli americana.

L'eccesso di colore nella nuova architettura e negli arredamenti unito al desiderio di costruire una nuova realtà patinata fanno sì che la città assomigli sempre più ad un parco a tema, determinando in Kolima un crescente senso di straniamento, come come se si trovasse a far parte di un racconto distopico dalle tinte clownesche.

I nuovi visionari della civiltà occidentale avevano lavorato a strati sull'architettura decadente e grigia dell'Urss, e la libertà e la democrazia avevano preso la forma di interventi estetici eseguiti da lavoratori turchi con materiali cinesi. Le mura delle vecchie case erano dipinte con colori nuovi, sembrava di stare dentro un cartone di Walt Disney, oppure in una visione strappata dalla testa di qualche maniaco. I locali pubblici avevano una quantità esagerata di fiori di plastica e alberi finti come soluzioni d'arredamento, le luci al neon dentro i cessi e poi la gente: tutti occupatissimi, tutti che correvano anche se non ce n'era bisogno, l'importante era dare l'impressione di avere qualcosa da fare. Tutti dicevano «Scappo, sono in ritardo», «Ho delle commissioni da sbrigare», «Sono impegnato», «Sono incasinato», tutti che copiavano i personaggi delle soap opera messicane e americane con cui le compagnie nazionali ti friggevano il cervello offrendoti un nuovo esempio di esistenza: tutti broker, manger, dealer, killer, pusher.56

Vedevo la voglia […] di prendere l'angelo della morte per i capelli e dipingerlo con colori ridicoli, trasformando la sua figura fatale in quella di un clown.57

La crisi di Kolima peggiora sempre di più: la condivisione di massa della nuova illusione di benessere postsovietico fa sì che lui sia sempre più tagliato fuori dalla propria società. Ciò che maggiormente turba il protagonista di fronte alla città è che i nuovi abitanti non solo non si rendono conto della propria completa deformazione, ma ancora meno sono in grado di capire che, traendo la propria ricchezza sulla guerra da lui appena combattuta, costituiscono il rovescio della medaglia di un'altra distopia, solo in apparenza diversa: le rovine delle città cecene, devastate dai combattimenti.

La guerra condotta per il controllo di un punto nevralgico dei traffici clandestini e dello sfruttamento delle risorse del Mar Caspio alimenta la ricchezza necessaria alla nuova Russia per affacciarsi competitivamente nel mercato globale: le immagini viste alla televisione, i vestiti griffati, il nuovo linguaggio alla moda adottato da tutti, l'aura caricaturale nella quale si è trasformato il Paese di Kolima nasconde delle rovine tutt'altro che simboliche.

Molte delle operazioni condotte in Cecenia interessavano aree urbane: l'impatto di Kolima e del lettore con questo scenario è ancora drammaticamente straniante. La città sembra essere stata sospesa fuori dal tempo, le macerie la rendono amorfa ed irriconoscibile, salvo poi trovare tracce di una vita ordinaria, normale, interrotta bruscamente: una postazione di tiro organizzata in un piccolo salotto con divani e poltrone, carcasse di automobile, vecchie scuole, fotografie.

56 N. Lilin, Il respiro nel buio, p. 51-52. 57 Ivi, p. 11.

Attraversavamo velocemente le strade della città, diretti al nostro campo, passando fra le rovine di case semidistrutte che sembravano enormi scheletri di animali preistorici. Fin dai primi giorni una delle cose che mi avevano colpito di più erano le macerie degli edifici. Tutto ciò che ti circonda, in guerra, diventa una specie di immagine ingrandita di quello che sta succedendo dentro di te: eravamo annegati in una violenza disumana, che cambiava le persone, le annientava, anche la nostra anima era una maceria. Guardavo le case sventrate, i muri sfondati e i mobili incendiati, le foto di gente che non conoscevo bruciate e strappate, buttate per terra senza alcun rimorso, senza nessuna pietà per la memoria. Chi attraversa la guerra […] non possiede più nulla di personale, nemmeno la propria storia.58

In generale, uno dei caratteri peculiari della rovina è quello di conferire una sorta di eternità alla sua stessa presenza, costituendosi come segnale di un passato che è palese ed inimmaginabile allo stesso tempo, relitto proveniente da un'altra era. Ai soldati che combattono nelle cittadine cecene sembra effettivamente di essere stati mandati fuori dal mondo, salvo poi riconoscere una struttura che tutti loro conoscono molto bene: si tratta degli edifici pubblici del tempo sovietico, presenti in tutto il Paese e dismessi prima ancora dell'inizio del conflitto. Così Kolima si ritrova a far parte di un operazione d'assalto ad un vecchio asilo59, ancora riconoscibile in

questo quadro totalmente stravolto: l'edificio, già convertito in dimora privata da un magnate locale, è stato trasformato dai terroristi ceceni in una postazione di fuoco antiaereo.

Le rovine di questo edificio riportano alla mente lo stato sovietico durante il quale l'asilo era stato costruito ed alla cui politica sociale era funzionale: la deformazione del luogo - deputato in origine all'educazione nella prima infanzia ad ora divenuto una postazione militare - è totale, ma è importante notare anche il passaggio intermedio, la trasformazione in villa. Questa conversione, che sembrerebbe rivestire un'importanza marginale nell'economia del racconto, è invece fondamentale, perché permette di stabilire un chiaro collegamento con il cambiamento che hanno subito anche le altre città dell'ex Urss, che pure continuano a vivere in pace.

Non c'è contraddizione o diversità tra Bender, Groznij o San Pietroburgo, l'abbattimento del vecchio edificio che condividevano si è svolto secondo le stesse modalità: la distruzione della Città in Cecenia - intendendo “Città” come polis, centro della vita sociale dell'uomo - è segretamente ma intimamente connessa con la distruzione della Città in Transnistria, in Russia, come in Albania, in Africa o in Italia. È il meccanismo per il quale il centro, inseguendo il modello consumistico, decostruisce se stesso, alimentando questo processo dispendioso con la linfa

58 N. Lilin, Caduta libera, Torino, Einaudi, 2010, p. 142. 59 Cfr. ivi, p. 260.

succhiata della periferia. La Bender del Duemila, più simile a Disenyland che alla città che conosceva Kolima da bambino, è solo uno uno schermo che copre il campo di battaglia di Groznij.

Kolima ed i suoi compagni incontrano in Cecenia uomini provenienti da ogni parte del mondo: mercenari e tiratori sportivi dall'Est Europa, guerriglieri afgani, arabi, magrebini, ex soldati delle guerre Jugoslave, terroristi provenienti dall'Africa Nera.

Dal comando arrivavano di volta in volta numeri diversi: prima si parlava di mille terroristi, poi di mille cinquecento, infine quasi di tremila. Ogni ora il numero saliva come fossimo stati a un'asta. Una cosa però era certa: molti di loro erano arabi e afghani, gente povera assoldata per combattere, quasi tutti tossicodipedenti. […].

I loro capi erano invece dei mercenari professionisti che avevano fatto molte guerre, in Afghanistan, in ex Jugoslavia, e in tutti i conflitti in cui avevano preso parte i rappresentanti del mondo islamico.60

Tanti mercenari di diversi Paesi venivano assoldati come cecchini, perché era un lavoro bene pagato. Mi è capitato spesso di incontrare cecchini ucraini, lituani ed estoni, tiratori molto abili che venivano dall'ex Unione Sovietica;61

Noi stavamo zitti, in attesa. A un certo punto, però, la situazione vicino alla casa è cambiata: due [terroristi] neri, africani, urlando qualcosa si sono avvicinati all'edificio.62

Chi si era esercitato nei campi militari dell'Arabia Saudita, dell'Afghanistan, e in altri Paesi asiatici sotto il controllo della NATO, era abituato a lavorare in gruppi composti anche da sei persone: tre coppie di cecchini, in comunicazione fra loro via radio.63

Le stesse armi utilizzate dai terroristi - il cui ruolo nel romanzo è fondamentale, pari a quello dei personaggi - provengono dalle più diverse parti del mondo, rendendo partecipi del conflitto anche Paesi apparentemente estranei: le mine simili a giocattoli di San Marino, pistole di fabbricazione Europea, mitragliatrici tedesche, coltelli e giubbotti antiproiettile americani.

A noi avrebbero lasciato i fucili, i cannocchiali, i puntatori laser a infrarossi, che gli arabi avevano addosso in abbondanza, dato che gli Stati Uniti li rifornivano sistematicamente con grande generosità di tutto il necessario.64

60 Ivi, p. 61. 61 Ivi, p. 93. 62 Ivi, p. 98 63 Ivi, p. 264. 64 Ivi, p. 74.

Gli Arabi avevano a disposizione parecchi ordigni esplosivi, molti dei quali erano di fabbricazione italiana. Provenivano da San Marino: avevano meccanismi diversi, ma erano tutte armi micidiali.65

Al ritorno da ogni operazione di solito portavamo con noi dei trofei: le armi e le munizioni tolte al nemico. Per questo ogni sabotatore aveva un paio di pistole americane ed europee […].

La Glock austriaca e le sue varianti, invece, erano molto amate dai soldati di leva obbligatoria e da quelli a contratto. Andavano molto bene anche le CZ, e vari altri modelli di pistole tedesche. Tra i terroristi, oltre a una quantità incredibile di armi di fabbricazione russa - come Makarov 9, Ste9kin, Tokarev 7.62 -, giravano sempre calibri europei o americani, in genere 45 ACP, 9 PARA o 9X21. Io stesso ho preso dal corpo di un morto una Beretta 98 FS calibro 9X21, un'arma bellissima e molto comoda, più precisa e sicura delle pistole russe.66

Il senso di straniamento, a questo punto, è contemporaneamente alimentato e contraddetto: se lo scenario ceceno, a causa della sua posizione periferica e della sfregio subito nel corso dei combattimenti, trasmette a Kolima ed al lettore l'impressione di trovarsi in una dimensione aliena, contemporaneamente si è turbati dalla presenza di segni che indicano, al contrario, una partecipazione globale a questo conflitto dimenticato. Il tutto è ovviamente tenuto nascosto all'opinione pubblica dei russi e degli altri Paesi, per la quale questa guerra è un affare che riguarda solamente la Russia ed i separatisti ceceni: proprio per questo carattere sotterraneo del conflitto, distorto per poter essere digerito dall'opinione pubblica, è possibile parlare di “guerriglia mondiale”. Come nei conflitti di scala planetaria del passato, la guerra coinvolge persone ed interessi provenienti da tutto il mondo, spesso dai maggiori centri di potere politico ed economico: la differenza sostanziale è l'occultamento di questo scontro di proporzioni gigantesche, confinato nella periferia.

È proprio questo il lato segreto che lega intimamente la guerra che Kolima sta combattendo alla società consumistica nella quale non riesce ad integrarsi: la guerriglia mondiale cecena non è affatto in contrasto con la vita nella “società pacifica”, ma rappresenta anzi una particolare forma di globalizzazione, un terreno di competizione dove chi non ha interessi primariamente politici (come ad esempio i russi o gli stessi ceceni) può intervenire facendo circolare la propria merce, producendo ricchezza. Così anche i Paesi europei, tra cui l'Italia, possono intervenire nel conflitto vendendo le proprie armi ed alimentando la ricchezza delle proprie “città pacifiche”.

65 Ivi, p. 114. 66 Ivi, p. 52

Inoltre, la presenza di patti e legami internazionali fra gli esponenti dell'Islam radicale, fra i paesi dell'ex area Sovietica, fra i paesi occidentali (come la NATO) e l'interazione estremamente frastagliata fra questi “blocchi” non coerentemente contrapposti67, alimenta ulteriormente il caos,

favorendo così la sopravvivenza di quella particolare forma di mercato mondiale che Kolima ha riconosciuto nella guerra: per garantire la crescita costante del suo peculiare PIL, è sufficiente che circolino senza interruzioni armi e uomini, mentre la direzione e la logica di questi movimenti non hanno importanza, fintanto che garantiranno ricchezza ai loro artefici.