• Non ci sono risultati.

CARLO SARACENI, FRANÇOIS WALSHARTZ , GOTTFRIED WALS E MOSES VAN UYTTENBROECK 

Nel documento Carlo Saraceni (pagine 157-161)

IV CAPITOLO: LA BOTTEGA DEL SARACENI e LA CONTINUAZIONE DELLA ‘SARACENIANA

4.4 CARLO SARACENI, FRANÇOIS WALSHARTZ , GOTTFRIED WALS E MOSES VAN UYTTENBROECK 

La frequentazione da parte di Saraceni di un «milieu» francese a Roma si accompagnò a quella della colonia tedesca presente nella medesima. Anna Ottani Cavina481, sottolinea come Carlo Saraceni fosse in contatto con Johan Faber e Paul Bril e con le comunità religiose filo-tedesche impiantate a Roma (le chiese di San Lorenzo in Lucina, Santa Maria in Aquiro, Santa Maria della Scala e Santa Maria dell'Anima). Didier Bodart482 ricorda inoltre che i pittori lorenesi, cui il veneziano fu particolarmente legato, frequentavano a Roma i medesimi ambienti dei pittori di Liegi (Belgio). In merito a quest'ultimi, nel 1712 Abry annotava che a Roma il pittore François Walshartz (Liège 1597/98-1678/79) lavorava presso Carlo Veneziano, di cui «volle imitare» la maniera mescolandola ad un gusto nordico che mantenne tutta la sua vita483. Abry però dichiarava che

Walshartz, dopo aver studiato a Anversa, tornò a Liegi «verso il 1618» e poi viaggiò a Roma dove «il se mit sous la leçon de Carlo, Vénitien, peintre fameux». Tuttavia l'apprendistato di Walshartz presso la bottega del veneziano non dovette essere molto lungo visto che Carlo Saraceni lasciò la capitale pontificia nel 1620. Per Jacques Thuillier484 le opere realizzate da Walshartz al suo ritorno a Liège, avvenuto prima del 4 gennaio 1620, dimostrano un chiaro attaccamento all'arte del veneziano. L'Adorazione dei Magi della chiesa di Notre Dame di Foy-Notre-Dame (fig. IV.64), realizzata nel 1626, ne è un chiaro esempio e la sua prossimità allo stile del veneziano arrivò a fare        

481 Ottani Cavina, 1992, pp. 60-68. 482 Bodart, 1970, p. 97.

483 Aubry, 1712, pp. 207- 208. Per una bibliografia su Wlashartz si veda Jacques Thuillier e Pierre-Yves Klaris nella monografia Walthère Damery 1614-1678, Louvain-Paris 1978, pp. 7-8, 34-38, come ha già sottolineato Otani Cavina (1992, p. 61, nota 7). 484 Thuillier, 1978, pp. 7-8, 34-38 e poi Ottani Cavina, 1992, p. 61 nota 7.

ipotizzare Thuillier che Walshartz potesse essere altresì l'autore del Diluvio Universale del castello di Schönborn, attribuito a Saraceni (cat. A.48; fig. A48), per quella pesantezza dei tratti e quel realismo «ben più prossimi a un'ispirazione nordica che alla sensibilità del Veneziano»485. Lo stesso studioso ricorda che Walshartz manifestò, come Saraceni, un chiaro interesse per le rappresentazioni di notturni cui però poté essere sensibilizzato, oltre che dal veneziano, anche da realizzazioni di pittori del nord che aveva potuto vedere ad Anversa durante il suo soggiorno. Anche di questo artista purtroppo non si conoscono opere certamente collocabili nel periodo italiano a meno che, come rilevava Thuillier pur manifestando i propri dubbi in merito nella mancanza di maggiori dati, non si accetti l'ipotesi di Van de Walle486 di ascrivergli la copia del San

Rocco del Saraceni conservata nel castello di Beloeil (cat. A.11; fig. A11). Ma, per tracciare un

probabile legame tra Saraceni, i pittori lorenesi e il liegese, è utile ricordare le parole di Pariset che, nel valutare la carriera di Georges de La Tour e nel rapportare i suoi notturni a quelli di Walshartz, annotava: «dati i rapporti tra Liegi e la Lorena, è interessante rilevare la medesima corrente»487. Il rapporto intrattenuto a Roma da Saraceni con altri artisti più giovani del Nord, sembrerebbe supportato dal fatto che nel suo inventario post mortem, redatto a Venezia in casa Contarini, erano altresì annotati «tre paesi tondi de man de Gotfredo/un altro tondo del S. Martino/un altro paese quadro de man de un fiamengo chiamato Moise»488. Maria Giulia Aurigemma489, che ritrovò l'inventario, proponeva che quel Gotfredo andasse identificato con il tedesco Gottfried Wals, mentre Moise con Moses van Uyttenbroeck. La segnalazione di queste opere tra le pochissime annotate nell' inventario di Saraceni ha la valenza di sottolineare il persistente gusto del veneziano per i paesaggi nordici e per il formato circolare, ma permette anche d'ipotizzare che l'artista avesse scelto di portare a Venezia, fra le varie opere che doveva avere nella sua bottega romana, le realizzazioni di Wals e Uyttenbroeck, di una decina d’anni più giovani di lui, forse su richiesta di questi ultimi per fare conoscere il loro operato nella città lagunare.

D'altro canto, abbiamo già ricordato, sulla scia proposta da Ottani Cavina nel 1968, la frequentazione da parte di Saraceni del circolo elsheimeriano a Roma, cui lo stesso veneziano apportò le proprie novità riscontrabili nell'operato dei fratelli Pynas e di Pieter Lastman. È quindi normale conseguenza che le invenzioni del veneziano influirono anche sulla maniera dei pittori nordici dell'ultima generazione, come Uyttenbroeck che, conveniamo con Luigi Salerno, portò l'arte

        485 Thuillier, 1978, p. 8, nota 17. 486 Van De Walle, 1970, pp. 235-246. 487 Pariset, 1948, p. 372.

488 ASVe, Notarile Testamenti, Atti Nicolò Federici, b. 6013, cc. 323v-324v; Aurigemma, op. cit., 1994, pp. 185-188; Aurigemma,

op. cit., 1995, riportato per intero in appendice, pp. 128-129.

di Elsheimer all'Aia e fu influenzato dallo stile di Pieter Lastman490, o come Wals che fu suggestionato dalle realizzazioni di Adam Elsheimer e Filippo Napoletano491.

Il passaggio per Roma di Moses van Uyttenbroeck (Aia 1590 ca.-1648 ca.)492, sebbene non suffragato da prove certe, è supportato, sottolinea Aurigemma, dalla ripresa nei suoi dipinti d’invenzioni carraccesche del periodo romano oltre che di ricordi elsheimeriani. Se l'artista fu iscritto alla gilda di San Luca dell’Aia nel 1620, vista la presenza di sue opere in Italia, tra cui quella posseduta da Saraceni, dovette soggiornare a Roma prima del 1620 o, come proponeva Aurigemma, a Venezia. L’influenza delle soluzioni paesistiche di Saraceni sull’operato di Uyttenbroeck era invece già stata brillantemente intuita da Waddingham, che nell'osservare la serie ovidiana del Museo di Capodimonte del veneziano (cat. 15; figg. 15a-15f), ne rilevava l'ascendente sul futuro operato non solo di Jacob Pynas e Breenbergh ma anche di Uyttenbroesck e Moyaert493. Uyttenbroeck si concentrò su temi tratti dal vecchio testamento, dalla mitologia classica, tra cui le Metamorfosi di Ovidio come Saraceni, ma si cimentò anche in scene pastorali. Le composizioni del Uyttenbroeck riprendono da Saraceni e Elsheimer dei paesaggi dall'aspetto fortemente naturalista e spazialmente dominanti rispetto alle figure. Dal veneziano Uyttenbroeck derivò inoltre il gusto per una tavolozza colorata e brillante, così come la dolce scansione delle zone alberate, poste nei diversi piani prospettici, attraverso una luce dorata e una grafia tondeggiante. Non distante dal paesaggio inscenato nel Ritrovamento di Mosè di Saraceni (Firenze, Fondazione Roberto Longhi, cat. 35; fig. 35) risulta quello inserito nel Trionfo di Bacco (datato 1627; Brunswick, Herzog Anton Ulrich- Museum) (fig. IV.65), sebbene Uyttenbroeck, con gusto un po' lezioso sia per il dettaglio che per la scelta del soggetto, si avvii verso una sensibilità più settecentesca, eliminando quanto di misterioso e mistico vi era nei paesaggi di Elsheimer e Saraceni.

Queste caratteristiche permasero invece nei dipinti di Wals. L'artista tedesco poteva aver conosciuto il veneziano a Roma quando entrambi stavano lavorando con Agostino Tassi alla decorazione della Sala Regia del Quirinale494. Gottfried Wals detto «Goffredo Tedesco» (Colonia 1590/95 ca.- Soncino 1638/40 ca.) è documentato nello studio di Tassi a Roma tra il 1616/17 e il 1618495 , dove probabilmente Saraceni acquistò, o gli furono donati da Wals stesso prima della sua partenza per Napoli nel 1619, i tre dipinti ricordati nel suo inventario. E' riconoscibile una vicinanza di modi espressivi nei due artisti: cespugli tondeggianti e una luce chiara e diffusa che indaga gradualmente i piani prospettici dal più scuro al più chiaro, dando l’illusione di un’infinita linea di orizzonte. Il legame tra Wals, maestro di Claude Lorrain, e Saraceni arriva poi a sottolineare, come ha        

490 Tümpel, 1996, pp. 779-780.

491 voce «Wals, Goffredo» [a.a.] in The Dictionary of Art, v. 32, Grove New York 1996, pp. 826-827. 492 Tümpel, 1996, pp. 779-780.

493 Waddingham, 1967, pp. 44-48; Aurigemma, 1995, pp. 127, 136 note 82-86. 494 Aurigemma, 1995, p. 126.

recentemente proposto Maria Giulia Aurigemma, l’importanza del veneziano nel protrarre la pittura di paesaggio da Elsheimer sino a Lorrain.496 Per un esempio della pittura del Wals nel 1619 e quindi del tipo di paesaggio che poté possedere Saraceni, si veda Il riposo durante la fuga in Egitto del National Museum of Western Art di Tokyo497 (fig. IV.66), datato e firmato «....ine Roman 1619/ gw- fecit», in cui ritroviamo quello scandirsi di piani prospettici tipicamente saraceniano e dei personaggi morfologicamente affini a quelli inseriti da Carlo Veneziano nel Buon Samaritano di Boughton House (cat. 24; fig. 24), realizzato intorno al 1606-08. E' possibile che Saraceni possa essere stato influenzato sua volta dal Wals, come suggerisce Maria Giulia Aurigemma498, giustificandosi così la presenza nell'inventario di quel «tondo» con San Martino499 , formato caro al tedesco. Che opere di Wals e Uyttenbroeck siano elencate nell’inventario post mortem sottolinea infine che Carlo mantenne, durante tutta la sua carriera, interesse per i paesaggi su rame, da lui sviluppato in epoca giovanile a contatto con Rottenhammer e Elsheimer, e che probabilmente si affiancò ad Elsheimer come mentore della nuova generazione di pittori nordici.

Vari e di diversa nazionalità e provenienza furono gli artisti che s'ispirarono al Saraceni, prediligendo appunto una sua sigla espressiva piuttosto che un'altra. Gli italiani furono attratti dalla brillante tavolozza veneta, i lorenesi dagli studi dell'illuminazione della candela e i pittori nordici dalla sua rivisitazione dei paesaggi elsheimeriani attraverso una sensibilità italiana.

Tutti condivisero la ripresa di una grafia propria saraceniana incentrata sulla moltiplicazione delle pieghe e dei drappi e su una gestualità concitata, caratteristiche queste che, costituendo una sorta «d'impronta digitale, di marchio di fabbrica»500 del veneziano, hanno portato la critica moderna alla felice coniazione del termine «saraceniana methodus». Saraceni, a differenza di Bartolomeo Manfredi con la sua «manfrediana methodus», affrancandosi dalla drammaticità caravaggesca che agganciava lo spettatore nell'impatto scioccante dello scatto d'immagine, eleggeva l'interpretazione di una storia in toni più contenuti e sereni espressi con una stesura cromatica schiarita.

       

496 Aurigemma, 2011, pp. 184-192. Il rapporto tra i paesaggi di Wals e Lorrain è stato brillantemente indagato da Roethlisberger (Roethlisberger, 1992, pp. 209-214; Roethlisberger, 1995, pp. 9-37).

497 Olio su rame, cm 24, 5 x 34, 6; Roethlisberger, 1995, fig. 1. 498 Aurigemma, 1995, p. 127.

499 Identificato dalla studiosa con l'unica opera con questo soggetto attribuibile a Saraceni sino ad ora: il San Martino e il povero della Staatsgalerie di Berlino (cat.; fig.)

V CAPITOLO: I DISEGNI, LE INCISIONI E LA

Nel documento Carlo Saraceni (pagine 157-161)