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LA FORMAZIONE DELLA BOTTEGA

Nel documento Carlo Saraceni (pagine 92-97)

II CAPITOLO: CARLO SARACENI E IL CARAVAGGISMO (1606-1619)

2.5 LA FORMAZIONE DELLA BOTTEGA

E' nel secondo decennio del Seicento che Saraceni dovette creare la propria bottega. Difatti, dal 1612 sono annotati negli Stati delle anime della parrocchia di Santa Maria del Popolo per la prima volta come abitanti presso la casa del veneziano il pittore «Gianibatta Parentucci da Camerino»252 e un «servitore» non meglio noto di nome di Pietro Paolo Rimanti [?]253. Dal 1617 sono segnalati presso la medesima casa il veronese Antonio Girella o Giarola detto il Cavalier Coppa e il lorenese Jean Le Clerc, segnati come abitanti presso casa del veneziano dal 1617 al 1619254.

Tuttavia va anche segnalato che in un contratto del 1608 firmato dal pittore con due chierici spagnoli per la realizzazione di una pala (cfr. Elenco opere perdute), era specificato che l'artista «promette et si obliga di fare di sua propria mano» il dipinto, inducendo a supporre che nel 1608 si stesse già appoggiando ad una bottega.

Sebbene queste notizie non bastino a provare l'esistenza di una bottega di Saraceni, quest'ipotesi è rafforzata dall'esistenza di numerose copie seicentesche di opere del veneziano, che evidentemente dovettero riportare un notevole successo.

Come evidenziò Anna Ottani Cavina (1968) la distinzione tra le copie di bottega e le copie eseguite da artisti non vicini al maestro è una delle imprese più ardue nell'analisi della carriera del pittore. Tra le opere più copiate vanno ricordate la famosa versione della Giuditta con Oloferne 'a lume di candela' e quella precedente, tratta dal dipinto di medesimo soggetto di Lorenzo Lotto. Le due versioni note della Morte della Vergine di Santa Maria della Scala e del Metropolitan Museum di New York furono a loro volta molto riprese, così come la Madonna con il Bambino e sant'Anna dell' Honolulu Academy of Arts e alcune raffigurazioni della decorazione della cappella di Santa Maria in Aquiro. Vi sono poi delle opere del veneziano di cui ad oggi si conosce una sola copia, ed è interessante annotare come oggi siano concentrate in luoghi pubblici sul suolo francese. Presso la chiesa francese di Saint Jacques a Barjouville, nella regione dell'Eure et Loire ad esempio, è        

251 Ottani Cavina, 1968, p. 53.

252 ASVR, Santa Maria del Popolo, Stati delle Anime, 1614, fol. 6 v; Bosquet, 1978, p. 105. Cfr. Regesto e Appendice Documentaria alla data.

253 Si riportano diversi cognomi per questo servitore nei vari Stati delle anime in cui è ricordato ma questo è il più probabile essendo quello meglio leggibile negli Stati delle Anime del 1615 e del 1616 (cfr. Regesto e Appendice Documentaria alle date).

conservata una copia (olio su tela, cm 144 x 122, cat. A.7, fig. A7) della Madonna con Bambino e

sant'Anna di Palazzo Barberini, di un anonimo autore francese del XVII, mentre il Musée des

Beaux-Arts di Quimper possiede una copia (olio su tela incollata su tavola, cm 69 x 49, cat. A.49, fig. A49) del Martirio di san Lamberto di Santa Maria dell'Anima, già attribuita a Gaspar de Crayer e oggi ad un anonimo pittore francese del XVII secolo.

La presenza in Francia di queste copie da opere di Carlo Saraceni, sembrerebbe attestare la fortuna che l'artista ricosse nel paese francofono già nel XVII secolo, se la loro presenza in Francia non fosse documentata solo a partire dal XIX secolo. Il dipinto di Quimper, infatti, proviene da un lascito della collezione Silguy nel 1864, mentre non è chiaro quando la tela di Barjouville arrivò nella chiesa. Lo stesso vale per la copia dalla Morte della Vergine, conservata presso il Museo Municipale di Châlons-en-Champagne (olio su tela, cm 113 x 180, cat. A.15, fig. A15), lascito di Charles Picot alla sua morte nel 1861, o per la Giuditta e Oloferne del Musée des Beaux-Arts di Lione (cat. A.29; fig. A29), ceduto nel 1938 al museo da Nicos Dikhéos, console di Cipro a Lione. Sebbene si registrino molte copie da opere di Saraceni in altri paesi e in Italia stessa, è quanto mai singolare registrare la concentrazione di copie da opere del veneziano in Francia. L'amore di Saraceni per la cultura francese fu sottolineato fin dal XVII secolo dalle parole del Baglione che, nel descriverne la personalità dell'artista, annotava: «Costui faceva del bell’humore, e voleva andar sempre vestito alla Francese, benche egli non fusse mai stato in Francia, né sapesse dire una parola di quel linguaggio»255.

Senza dubbio, come ricordarono Rosenberg e Cuzin256, il periodo in cui Saraceni dovette avvalersi maggiormente di aiuti di bottega fu tra il 1617, quando è segnato per la prima volta presso la sua abitazione Jean Le Clerc e stava terminando forse i lavori a Santa Maria in Aquiro, e il 1619, quando era impegnato nella realizzazione della decorazione della Sala Regia al Quirinale e in quella delle due pale di Santa Maria dell'Anima. E' perciò normale che in questa fase l'artista incaricasse suoi allievi di realizzare copie delle sue composizioni più di successo.

Le Clerc ebbe poi un ruolo fondamentale nella trasmissione dello stile del Saraceni con le incisioni che realizzò dalle sue opere. La pratica dell'incisione era rara e pressocchè nulla tra i caravaggeschi, sicchè avvalersi di un aiuto di bottega che conoscesse questo mezzo tecnico dovette costituire un vantaggio per Saraceni.

Il Transito della Vergine di Santa Maria della Scala, ad esempio, fu riprodotta da Le Clerc nel 1619, due anni dopo la prima attestazione della collaborazione tra i due artisti. La fortuna artistica di Saraceni in Francia è attestata anche da il disegno acquerellato per il dipinto perduto con lo stesso

        255 Baglione, 1642 ed. 1935, pp. 145-147. 256 Cuzin e Rosenberg, 1978, pp. 190-191.

soggetto già a Notre Dame di Parigi che Nicolas Poussin trasse, intorno al 1623, dalla stampa del

Transito della Vergine di Jean Le Clerc.

Le Clerc non fu l'unico a diffondere le composizioni di Saraceni con incisioni. Nota è infatti quella che il contemporaneo J. F. Greuter desunse dalla Predica del cardinale Raimondo Nonnato nel 1614 o quella che realizzò Thomassin nel 1615 dall'affresco perduto di Saraceni a Santa Maria in Monserrato (fig. S.3) o ancora quella che Troyen realizzò della Giuditta con la fantesca per il

Theatrum Pictorium di Teniers257.

Come ha sottolineato Ottani Cavina, sebbene l'esistenza delle molteplici copie e stampe da opere di Saraceni, attesta che la sua maniera dovette riscuotere un discreto successo resta ancora difficile capire come fosse organizzato l'atelier del veneziano e quando prese forma.

Se, infatti, abbiamo detto che sicuramente Saraceni dovette avvalersi di aiuti tra il 1616 e il 1619, quando era impegnato nella decorazione della Sala Regia al Quirinale oltre che a Santa Maria in Aquiro e Santa Maria dell'Anima e che la presenza di artisti presso la sua dimora è segnalata solo a partire dal 1612, come ha sottolineato Ottani Cavina258, è probabile che l'artista si avvalesse di aiuti già nel 1610. Nel 1613 Guy François era già di ritorno nella natia Puy-en-Velay e, vista l'indubbia ascendenza che lo stile di Saraceni ebbe sul pittore francese, che soggiornò in Italia dal 1608, è probabile che questi frequentasse la bottega del veneziano già intorno al 1610. Tuttavia, probabilmente Saraceni non aveva ancora formato il proprio atelier o se così era questi non doveva essere presso la propria dimora, poichè nel 1610 il veneziano è annotato come unico abitante di una casa di proprietà di un certo Domenico Bassi negli Stati delle anime di Santa Maria del Popolo259. Come ha sottolineato la studiosa, la varietà del tipo di artisti che furono influenzati dalla maniera del Saraceni e che lo frequentarono, dal veronese Antonio Giarola ai francesi Guy François e Jean Le Clerc, o Jan e Jacob Pynas dimostrano che la bottega di Saraceni non era regolata da un rapporto tradizionale che univa maestro e allievo. D'altro canto è fors'anche indicativo a tal proposito che tutti questi artisti fossero quasi coetanei del veneziano e che quindi si poteva parlare forse più di un rapporto di collaborazione che di effettivo alunnato.

Guy François era nato intorno al 1578 perciò, se si accetta il 1580 circa come data di nascita per il veneziano, questi era addirittura più anziano di un paio di anni. Jean Le Clerc, nato intorno al 1587, è segnato nella bottega di Saraceni dal 1617, quando aveva quindi trent'anni.

Dalla testimonianza di Félibien260 che, nel parlare di Jean Le Clerc, affermava: «Il a travaillé longtemps sous Charles Vénitien, duquel il avait si bien pris la manière, qu'il a faite des tableaux qu'ont passé pour estre de la maine de son maitre», possiamo rilevare che probabilmente Saraceni        

257 Aurigemma, 2010, p. 474. 258 Ottani Cavina, 1992, pp. 64-65.

259 Ottani Cavina, 1992, p. 65 nota 17 su segnalazione di Olivier Michel, cfr. Regesto e Appendice Documentaria. 260 Félibien, 1685-88, p. 178.

dovette talvolta servirsi a tal punto del lorenese, così capace d'imitare la sua grafia, da fargli realizzare intere opere che potessero passare per suoi originali. Sulla base dell'affermazione di Félibien, Maria Giulia Aurigemma261 proponeva che fosse sottinteso un discepolato di Le Clerc ma anche «la capacità non tanto di replicare, ma di inventare quadri alla maniera di» Saraceni. L'annotazione di Félibien, ha poi l'importante merito, come sottolineò la studiosa, di testimoniare che i quadri «saraceniani» erano molto richiesti e valutati per uno stile proprio.

Resta da chiarire quanto Saraceni si facesse aiutare, nella realizzazione delle proprie opere, dagli artisti della sua bottega. Dall'analisi diretta delle opere sicuramente attribuibili al pittore non sono emersi molti dati in merito. Difatti, se per i dipinti di committenza privata, all'evidenza anche delle dimensioni solitamente ridotte, si tende a ritenerli interamente ascrivibili alla mano del veneziano non riscontrando differenze evidenti tra le varie zone, anche in quelli di committenza pubblica e di grandi dimensioni non sono apparse dissonanze evidenti, tranne che per alcuni realizzati tra il 1619 e il 1620 (cfr. cap. III).

Sia nelle opere realizzate intorno tra il 1610 e il 1614, come il Riposo durante la Fuga in Egitto di Frascati, le pale di Gaeta e Palestrina, o la Predica del cardinale Raimondo Nonnato della Curia generalizia dei Padri Mercedari di Boccea, che in quelle realizzate tra il 1616 e il 1618 a Roma, come gli affreschi della Sala Regia al Quirinale o le tele a Santa Maria dell'Anima, non mi sembra si possano individuare interventi di autori diversi. Fa eccezione la cappella Ferrari a Santa Maria in Aquiro dove il veneziano si avvalse dell'aiuto di Marcantonio Bassetti negli scomparti laterali sulla volta e nel soffitto. Si ritiene quindi che Saraceni raramente si avvalesse di aiuti nelle proprie imprese a carattere ufficiale ma che affidasse loro talvolta il compito di eseguire delle copie dalle proprie realizzazioni pubbliche, come testimonierebbero la copia del Martirio di san Lamberto presso il Musée des Beaux Arts di Quimper o quella dalla Madonna con il Bambino e sant'Anna della Galleria Barberini, conservata presso la chiesa di Saint Jacques a Barjouville (figg. A49, A7), ma altresì da quelle da destinare a una committenza privata. La domanda sempre più insistente di quest'ultima committenza, come testimoniano le pressanti richieste di Ferdinando Gonzaga per ottenere opere del Saraceni (cfr. Appendice Documentaria), sembrerebbe giustificare il considerevole numero di copie da questo tipo di produzione.

Parlare di copie di bottega, tuttavia, come ha analizzato Aurigemma per il Le Clerc, non è sempre corretto, poichè molte di esse sono più che altro delle varianti da composizioni del veneziano. Forse quindi Saraceni proponeva agli artisti di apportare alcune modifiche personali. Ne è un esempio la derivazione su rame conservata a Monaco (Bayerische Nationalmuseum, cat. A.36, fig. A36) dalla

Presentazione della Vergine al tempio di Santa Maria in Aquiro (cat. 65; fig. 65), che proponiamo

        261 Aurigemma, 2010, p. 479 nota 1.

in questa sede di attribuire a Jean Le Clerc. Il dipinto più che una copia, difatto, è una rielaborazione del modello di Saraceni poiché, se la si confronta con la composizione del veneziano nella chiesa romana, si possono notare numerose varianti. Nel dipinto di Monaco sono inserite più figure nello sfondo e la cesta tenuta in mano dall'uomo sulla sinistra è sostituita da un cappello. Nella zona centrale in cui l'affresco di Santa Maria in Aquiro è «interrotto» dalla lapide, è inserita, nel dipinto di Monaco, la figura di una donna in posizione semi-distesa di lato che ricorda da vicino quella del san Cristoforo inserito da Saraceni nel Paradiso del Metropolitan Museum (cat. 10; fig. 10). Anche la parte destra del dipinto presenta delle notevoli differenze: il bambino dell'originale saraceniano è sostituito da una figura con turbante che da' le spalle allo spettatore, già inserita a sinistra nella Nascita della Vergine realizzata nella medesima cappella Ferrari a Santa Maria in Aquiro (cat. 65; fig.65). Le architetture sullo sfondo si discostano a loro volta dal dipinto del veneziano per l'aggiunta di una colonna spezzata, che sembrerebbe avvicinarsi alla colonna traiana, un portico su due livelli con archi a sesto acuto e un edificio con nicchie in cui, come negli Amori di

Marte e Venere della collezione Thyssen Bornemisza (cat. 9; fig. 9), sono inserite delle statue che

sembrano prendere vita. Sebbene l'opera di Monaco quindi non riprenda esattamente la versione di Santa Maria in Aquiro, mostra delle invenzioni derivate dal mondo figurativo del Saraceni, inducendo a pensare che forse il veneziano avesse fornito un repertorio grafico di alcuni particolari agli allievi e che questi lì inserissero, di volta in volta, nelle loro derivazioni. La mancanza di un consistente corpus grafico di Saraceni tuttavia, non permette di appoggiare questa ipotesi e, se ci si dovesse basare sui pochi disegni attribuiti al pittore, si sarebbe indotti a pensare che, come gran parte dei caravaggeschi, questi avesse disegnato il più delle volte direttamente sui supporti, senza ricorrere a studi preparatori o solo in quei rari casi in cui non poteva eseguire il disegno direttamente sulla tela, come per gli affreschi nella Sala Regia al Quirinale, di cui si conserva per l'appunto uno dei pochi fogli attribuiti al veneziano presso il Getty Museum di Los Angeles (cat. D7; fig. D7). Difatti, non si può escludere che Saraceni avesse fornito un modello identico alla versione di Monaco, ipotesi che sembrerebbe confermata dall'esistenza di un altro dipinto di bottega, già pubblicato da Ottani Cavina, uguale in tutte le sue parti alla versione di Monaco (già Roma, mercato antiquario, cat. A.103; fig. A103). Va in questa sede sottolineato che, come dimostra il caso delle Presentazioni della Vergine di Monaco e di Roma, anche le derivazioni di bottega erano talvolta realizzate su rame, dimostrando quindi che il veneziano aveva trasmesso la predilezione per questo supporto ai suoi allievi.

Nel documento Carlo Saraceni (pagine 92-97)