II CAPITOLO: CARLO SARACENI E IL CARAVAGGISMO (1606-1619)
III: CAPITOLO: IL RITORNO A VENEZIA
3.4 LA PALA DI SANTA GIUSTINA
Per quest'ultima fase della produzione saraceniana è utile l'analisi di un'opera che, per la sua particolarità, si discosta dalle ultime realizzazioni in laguna: l'Annunciazione della parrocchiale di Santa Giustina (cat. 74; fig. 74). Il dipinto era originariamente collocato nella ‘Scoletta’ che era nel cimitero della parrocchiale di Santa Giustina (Belluno) dove, annotava l’arciprete Argenta nel 1688, s'incontravano i confratelli del Santissimo e dell’Annunciata e in cui vi era un altare raffigurante l’Annunciazione301. La pala del Saraceni proviene sicuramente dalla Scuola della SS. Annunciata poiché questa fu fondata da Don Agostino Corso nel 1621, data riportata nel dipinto sul pavimento a sinistra. Fu quindi con ogni probabilità lo stesso arciprete Corso a commissionare il dipinto a Saraceni.
Per la vicinanza riscontrata con le due Estasi di san Francesco del Redentore e di Monaco, la critica ha solitamente attribuito la composizione al Saraceni e individuato una collaborazione del Le Clerc nella figura dell’angelo. Tale collaborazione fu poi suggerita, malgrado la firma «CARLO SARACENI VENECIANO F.» riportata sul pregadio, proprio dalla data «1621», in quanto posteriore alla morte del Saraceni. Tuttavia, dopo l’analisi diretta dell’opera, e grazie al recente restauro302, malgrado l’individuazione di alcune cadute di materia sulle mani dei due personaggi e su parte del volto della Vergine, ho potuto rilevare una stesura uniforme e ascrivibile al maestro veneziano303. L’opera è certamente di grande qualità e proprio nelle vesti dell’angelo, solitamente attributo al lorenese, sono ravvisabili le pieghe sottili, curvilinee e sinuose, tipiche dei panneggi di Carlo. L’attribuzione a Saraceni è poi, a nostro avviso, confermata da un dato che non è stato preso in considerazione dalla critica precedente riguardante la data 1621. E’ quanto meno poco chiaro che sia stato usato un pigmento marrone chiaro per la firma sul pregadio ed uno marrone scuro per la data e che, a differenza della firma sull’inginocchiatoio, l’autore della trascrizione della data non decida di seguire le linee prospettiche del dipinto, come erano invece soliti fare sia il Le Clerc (si
300 Ottani Cavina, 1968, p. 96 n. 4. 301 Lucco, 1981, n. 9 (con bibliografia).
302 Si ringrazia la restauratrice Mariangela Mattia per la disponibilità e il supporto datomi nell’analisi tecnica del dipinto.
303 In accordo con l’analisi della Dott.ssa Marta Boscolo della Soprintendenza speciale per il patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico e per il polo museale della città di Venezia.
veda il telero di Palazzo Ducale) che il Saraceni (come si può osservare nel San Francesco in estasi di Monaco). La data si distacca dal resto degli oggetti rappresentati, proprio per la naïveté e per la posizione in primissimo piano. Va aggiunto che nella copia della pala nella cattedrale di Feltre realizzata da Girolamo Zigantello nel 1626 (fig. III.4), quest’ultimo, attento copista, decida di porre la data «1626» vicino alla propria firma sul pregadio e non sul pavimento come nell’originale, inducendo a prospettare l'ipotesi che nel 1626 non fosse ancora stata apposta la data sul modello del Saraceni. La data venne perciò aggiunta, io credo, con ogni probabilità da un anonimo autore successivamente alla morte del pittore e per commemorare la creazione della Scuola della SS. Annunciata.
Difficile è però comprendere come una realtà così regionale come quella di Santa Giustina arrivasse a commissionare un'opera a un pittore in vista quale Saraceni e come mai questi avesse accettato malgrado i molteplici impegni che lo occupavano a Venezia. Ancora insoluto è anche l'interrogativo se Saraceni avesse realizzato l'opera prima della sua partenza da Roma o al suo arrivo nelle lagune. La risposta permetterebbe di fare più chiarezza sui precedenti due quesiti sui quali non si possiedono abbastanza elementi. Non è dato sapere infatti se intercorsero rapporti tra Don Agostino Corso e Roma o se questi avesse avuto modo di conoscere Saraceni a Roma prima della partenza del pittore per Venezia.
L'area del Feltrino era passata sotto il dominio di Venezia dal 1404, sicché anche la Scuola della SS. Annunziata era gestita dalla Serenissima e fu quindi tramite questa, e forse qualche funzionario più in vista di Corso, che venne commissionata l'opera a Saraceni. Da un punto di vista stilistico poi, se indubbiamente la pala mostra nella sua composizione stringenti connessioni con le due versioni del San Francesco in estasi della chiesa del Redentore e dell'Alte Pinakothek di Monaco, essa riprende come modello l'Annunciazione realizzata da Merisi nei suoi ultimi anni di attività intorno al 1608-09 e oggi conservata presso il Musée des Beaux Arts di Nancy. In entrambi è presente la cesta in primo piano all'interno della quale è adagiato il panno e la Madonna sulla destra affiancata dal particolate della sedia di paglia, mentre sulla sinistra appare l'angelo sopra le nuvole e, sullo sfondo a destra, la medesima tenda verde. Le affinità tra le due tele porterebbero ad ipotizzare che Saraceni avesse ideato la composizione a Roma304. Se si considera il breve tempo trascorso dall'artista a Venezia durante il suo ultimo soggiorno, ma anche l'indubbia qualità del dipinto in cui si individua, a nostro avviso, nell'uniformità pittorica, la sola grafia del Saraceni, sarei propensa a ipotizzare che il dipinto fosse stato almeno iniziato a Roma, e proporrei una collocazione intorno al 1619.
304 Tuttavia, va sottolineato che, sulla collocazione dell'opera di Caravaggio la critica è ancora divisa tra un inserimento antecedente al 1608 e quindi quando era a Roma e uno tra il 1608 e il 1610, cioè tra l'ultimo soggiorno maltese del Merisi e l'estremo ritorno a Napoli nel 1610. Quando però l'opera arrivò nelle collezioni di Enrico II di Lorena, tra il 1613 e il 1616, Jacques Bellange ne trasse un'incisione che dovette conoscere una rapida diffusione.
Sebbene quest'opera non rappresenti uno dei massimi raggiungimenti del veneziano, bisogna sottolineare quanto dovette incidere sugli artisti feltrini attivi in quegli anni e ignari, sino ad allora, della pittura caravaggesca. Così risulta ancor più rilevante quella deflagrazione di luce artificiale aranciata che accompagna l'Arcangelo Gabriele e che definisce i volumi, qualificando i valori cromatici dei rossi, dei blu e dei verdi inscenati. Come nei due San Francesco in estasi, e più generalmente nelle opere realizzate negli ultimi anni da Saraceni, ritroviamo qui quella concentrazione espressiva sul soggetto principale e la medesima intensità psicologica.