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CARLO SARACENI E I PITTORI DEL NORD

Nel documento Carlo Saraceni (pagine 54-71)

I CAPITOLO: LA FORMAZIONE A VENEZIA, L’ARRIVO A ROMA E LA PRIMA PRODUZIONE

1.5 CARLO SARACENI E I PITTORI DEL NORD

CARLO SARACENI E ALBRECHT DÜRER

Come ricordava Karel van Mander, nella sua vita di Albrecht Dürer: «I migliori artisti italiani attinsero alle sue opere, sia per la composizione delle storie che per la rappresentazione degli abiti e di altri elementi» [fol 208 r]130. Anche Saraceni ha ripreso dal tedesco alcuni particolari come i cappelli piumati (presenti nel San Martino e il povero di Berlino o il soldato a cavallo nel Martirio        

128 La stampa di Mulinari, datata 1784, fu pubblicata in seguito a Disegni originali d’eccellenti pittori esistenti nella Real Galleria di

Firenze del 1782, dove era riprodotto il disegno da cui era tratta la stampa. Il disegno, d’ignoto autore, preparatorio per l’incisione

conservato agli Uffizi (Penna e acquerello, Uffizi, Gabinetto Disegni e Stampe, 13353 F; Massari, 1993, p. LIII, tav. 42) riprende uno dei due originali di Giulio già nella collezione Ellesmere venduti a Londra nel 1972 (Sotheby & co., 1972, p. 165, n. 61 A; Hartt, 1958). I fogli furono datati da Hartt intorno al 1530 poichè esiste un foglio con questo soggetto datato, eseguito da Romano agli Uffizi (inv. 1452 E; Hartt, 1958, 297°, II, fig. 471). Secondo Massari questa composizione fu eseguita da Giulio per un dipinto perduto, forse già nell’appartamento di Troia a Palazzo Ducale o più probabilmente a Palazzo Te (Massari, 1993, pp. LI-LII). Il disegno fu in seguito pubblicato poi ripreso in una stampa di Stefano Mulinari datata 1784.

129 Cfr. Appendice documentaria alla data. 130 Van Mander, 1604, c. 208r, ed. 2000, p. 136.

di sant’Agapito della cattedrale di Palestrina) e forse a volte alcune composizioni. Il veneziano

aveva senza dubbio potuto osservare in più occasioni le stampe di Dürer che circolavano copiosamente a Venezia come a Roma e, come hanno recentemente dimostrato Röttgen131 e Hermann Fiore132, erano state ispiratrici degli artisti più stimati e apprezzati che lavoravano in quegli anni nella città papale: Cesari, Caravaggio e i Carracci.

Anche tra gli oggetti lasciati alla sua morte da Camillo Mariani, maestro del pittore, vi erano le stampe della Passione del tedesco.

Dürer per la potenza ritrattistica, l’interpretazione sottile delle tematiche religiose, l'accorta osservazione della natura, ma certamente anche per l’analisi scientifica delle proporzioni e l’attenzione alla resa grafica, esercitò un grande fascino su tutti. Minimo comun denominatore tra questi artisti era la ricerca empirica della vita nella natura e in ciò Dürer si era senz’altro dimostrato un maestro: l’attenta osservazione dei fenomeni visibili era un dato inscindibile dal suo operato. Così, nel Martirio di sant’Erasmo di Gaeta del Saraceni (1610-12; cat. 39; fig. 39), se in secondo piano è inscenato il cruento martirio, nel primo l’artista inserisce una folla tipicizzata quasi nordicamente nella durezza delle linee dei volti, e ricorda da vicino nell’ ‘espressione degli affetti’ i modelli düreriani. Gallo133 ha rilevato che la composizione del dipinto di Gaeta deriverebbe da un

modello nordico: un Martirio di sant’Erasmo realizzato da un ignoto pittore della scuola di Lucas Cranach il Vecchio, conservato alla Staatsgemäldegalerie di Aschaffenburg (fig. I.35). E’ quindi probabile che se il dipinto della Staatsgemäldegalerie riprendeva un’originale di Cranach, Cranach a sua volta si fosse ispirato a un modello düreriano. D’altro canto, l’idea di dividere la scena rappresentata in due parti, inserendo alcuni personaggi dietro un parapetto in un’architettura rialzata nel retroscena, era già stata impiegata da Dürer nel suo Ecce Homo dalla Piccola Passione, che conosciamo dalla xilografia del 1509 134.

La ripresa di modelli düreriani era un fenomeno comune visto l’enorme successo, non solo italiano ma europeo, che riscossero i libri del tedesco sulla teoria della proporzione umana: Unterweisung

des Messkunst135. Questi libri si posero, a cavallo tra Cinque e Seicento, come manuali

fondamentali per la formazione degli artisti e adottati nelle Accademie che stavano nascendo nella penisola, tra cui quella di San Luca di cui fece parte Carlo Saraceni136. I Carracci, come gli accademici di San Luca, proposero ai propri apprendisti di esercitarsi sulle stampe di Dürer, seppure i Carracci nella loro Scuola perfetta per imparare a disegnare, in contrasto con l’opera di

        131 Röttgen, 2011, pp. 113-122. 132 Hermann Fiore, 2011, pp. 123-151. 133 Gallo, 1997, pp. 149-154.

134 Hermann Fiore, 2011, pp. 126-127, fig. 4.

135 Editi a Norimberga nel 1525 e nel 1533, e editi a Venezia in italiano nel 1591 e nel 1594. 136 Bordini, 1991, pp. 177-203.

Dürer, decidessero di non riportare enunciati teorici ma solo disegni e stampe su cui si dovevano esercitarsi gli allievi. Il fondatore dell’Accademia di San Luca, Federico Zuccari, nell’Idea de’

pittori, scultori e architetti (1607), ha ricordato Roccasecca137, affermava, di non condividere gli enunciati del testo teorico di Dürer, poiché li riteneva troppo analitici e matematici, promotori quindi di una ‘servitù meccanica’ che avrebbe danneggiato gli artisti. Nel ritratto che di lui fece Giovanni Maria Morandi intorno al 1695138, Zuccari è però raffigurato mentre sostiene una tavola in cui è rappresentata, vicina a delle figure geometriche, un’illustrazione dal trattato di Dürer139 con le proporzioni del corpo umano. Questo contributo iconografico e la presenza tra il materiale didattico dell’Accademia di San Luca di stampe di Dürer 140, tra cui diciassette provenienti dalla serie della

Vita della Vergine e della Passione di Cristo, dimostrano che gli enunciati e le composizioni del

tedesco riscossero indubbiamente interesse anche presso gli accademici di San Luca. La donazione da parte dell’accademico Ottavio Leoni di un ritratto di Dürer all’Accademia nel 1616, porterebbe anche a dedurre che il tedesco era ritenuto indirettamente uno dei maestri ispiratori dell’Accademia stessa. Negli inventari dell’Istituzione del 1624 e del 1627 sono poi registrati libri di Albrecht Dürer, tra cui una traduzione in volgare di La Simmetria e una in tedesco.

A ricordare la ripresa da parte del Saraceni di modelli düreriani vi è infine l’incisiva testimonianza di un membro dell’Accademia, poi principe della stessa nel 1656 e nel 1657, Filippo Gagliardi. L’artista, tra il 1648 e il 1659, scrisse un trattato di prospettiva per gli accademici in cui, a conclusione di una dimostrazione geometrica sullo scorcio dei solidi irregolari, ricordava: «Queste dimostrazioni come ho già detto altre volte quando veramente se ne intende il suo senso si puole tirare in prospettiva qualsivoglia figura Solida Regolare o Irregolare quanto Animate quanto Exanimate. Questa diligenza di far scorciar le figure animate lo mostra Alberto Dürero al ultimo del suo libro di simmetria de corpi umani, e per esser troppo modo laborioso non solo de intenderlo ma di operarlo quasi nessuno vi bada. L’hanno osservato li Carracci che se ne sono serviti per quelli loro moti di figure sono così admirabili come anchora doppo li Carracci se ne sono serviti il Civoli, Borgiani et Carlo Venetiano Domenico Zampieri come si vede nelle loro opere che sono molto bene aggiustate in questo particolare del che hanno lasciato fama eterna di prestantissimi pittori»141. Secondo Gagliardi fu quindi grazie al tramite delle stampe di Dürer e dei suoi scorci di figure che Saraceni, Borgianni e Zampieri conquistarono la ‘fama eterna’.

        137 Roccasecca, 2011, pp. 88-97.

138 Per l'attribuzione a Morandi e questa datazione si veda la scheda del dipinto di Bortolotti, 2007, p. 360, n. VII.30 e Roccasecca, 2011, pp. 88-89, fig. 2.

139 Il trattato di Dürer fu tradotto in italiano nel 1591, con il titolo di Della simmetria dei corpi humani, da Giovanni Poalo Gallucci. 140 Infatti, già dall’apertura dello Studio nel fienile vicino alla chiesa di Santa Martina, affianco all’Accademia, dove si dovevano esercitare gli artisti nel disegno, fu registrato tra il materiale didattico in un foglio del 1594 un documento in cui si riportava: ‘ M Pietro Faccetti [donò] una stampa del giudizio di otto/ fogli reali et una stampa di alberto duro di una/pietà’; Inventario all’Archivio Storico Accademia Nazionale di San Luca; cfr. Roccasecca, 2011, p. 90, nota 8.

Come ha annotato Hermann Fiore142, La Sacra Famiglia nella bottega di san Giuseppe del Wadsworth Atheneum di Hartford (catA. ; fig.), a mio avviso attribuibile a Guy François con composizione ideata da Saraceni, sembrerebbe riprendere un modello di Dürer nel particolare dei due angeli alati a destra e in quello dei trucioli di legno in primo piano a terra, presenti nel

Soggiorno della Sacra Famiglia in Egitto düreriano, xilografia tratta dalla Vita della Vergine (fig.

I.36)143. Interessante è ricordare che quest’ultima composizione fu ripresa anche da Annibale Carracci in un’opera non pervenuta ma tramandata da una stampa settecentesca di Jacques Couché, quando il dipinto era nella collezione del duca d’Orléans144.

CARLO SARACENI, PAUL BRIL E HANS ROTTENHAMMER

L'attrazione del Saraceni per l'espressività artistica nordica, che con Dürer, aveva influenzato incisivamente il mondo artistico peninsulare, è comprovato poi dalla fascinazione che il veneziano provò per alcuni artisti ponentini a lui contemporanei come i tedeschi Hans Rottenhammer e Adam Elsheimer, gli olandesi Jacob e Jan Pynas e Pieter Lastman ma anche, direttamente o indirettamente, tramite Elsheimer o Rottenhammer, con il fiammingo Paul Bril145.

Causa ne fu forse anche la fama che gli artisti nordici riscossero attraverso il Libro della Pittura di Karel van Mander, pubblicato in Olanda nel 1604. Van Mander ricordava che Paul Bril si era specializzato nella produzione di paesaggi e, ancor prima di Rottenhammer, Elsheimer in ‘opere di piccole dimensioni...su tela o su rame’146.

Saraceni ebbe forse modo di vedere opere di Bril già a Venezia nella bottega di Rottenhammer, dato che quest’ultimo era solito eseguire le figure e inviare poi i dipinti a Roma a Bril perché il collega completasse il dipinto con un paesaggio. Carlo Ridolfi ricordava nel 1648: «alcuni Signori di [Rottenhammer] faceuan fare figure in rame, mandandole poscia à Paulo Brilo à Roma acciò vi facesse il paese»147. Saraceni conobbe dunque Paul Bril a Roma, anche perché nell’ottobre del

       95, nota 27.

142 Hermann Fiore, 2011, pp. 134-135, fig. 14. 143 Hermann Fiore, 2011, pp. 134-135, fig. 13.

144 Annibale Carracci e i suoi incisori (catalogo della mostra, Roma Istituto Nazionale per la Grafica), Roma 1986; stampa di Couché nel volume della Biblioteca Corsiniana vol. 33. I-28; Hermann Fiore, 2011, p. 134, nota 73.

145 Bril lavorò con Rottenhammer a Roma dal 1593-94 al settembre del 1595 e continuò a collaborarvi a distanza anche in seguito. Grazie al carteggio tra i due artisti, sappiamo che il fiammingo realizzò dei paesaggi per alcuni dipinti del tedesco anche dopo la partenza di quest’ultimo da Roma (Ridolfi, 1648). A sua volta Elsheimer ebbe stretti contatti con Bril poiché lo scelse come suo testimone di nozze a Roma nel 1606 (Andrews, 1985, p. 47). Inoltre i due artisti realizzarono dei dipinti in collaborazione (a questo proposito si vedano: Pijl, 1998, pp. 660-667; Wood Ruby, 2008 e altresì Cappelletti, 2005-2006).

146 Van Mander, 1604, c. 292r, ed. 2000, p. 348. 147 Ridolfi, 1648, v. 2, p. 76.

1607, quando il veneziano era stato registrato tra i membri dell’Accademia di San Luca148, nello stesso elenco erano ricordati Camillo Mariani149, Paul Bril, Orazio Gentileschi e Orazio Borgianni150. La loro conoscenza è indubbia se si considera poi che Paul Bril è segnato nel documento come colui che aveva raccolto le quote d’iscrizione degli artisti all'Accademia. Tuttavia, se nei paesaggi di Saraceni sono morfologicamente rilevabili chiari rimandi ad opere di Elseheimer, Latsman, Pynas e inizialmente anche dei Carracci, più difficile è individuare una ripresa diretta di modelli brilliani. Tra le opere di Paul Bril che forse influenzarono Saraceni bisogna annoverare un foglio recentemente passato per il Salon du Dessin di Parigi rappresentante Il Mese di Ottobre (fig. I.37)151, poiché in primo piano a sinistra il fiammingo inscena un san Martino e il povero

vicinissimo, nella posizione, a quello introdotto da Saraceni a sinistra della Predica di san Giovanni

Battista di collezione privata (1604 ca., cat. 11; fig. 11) e poi ripetuto, sebbene specularmente, nel San Martino e il povero di Berlino (1608 ca., cat. 30; fig. 30).

L’apporto della poetica artistica di Hans Rottenhammer sulla produzione del veneziano è invece piuttosto evidente. A proposito di Rottenhammer van Mander racconta: «Arrivato a Roma152, egli si dedicò alla pittura su rame, come solevano fare i nederlandesi..» «..senza comportarsi però come i lavoratori giornalieri, dedicandosi all’invenzione di molte opere. Il primo dipinto a renderlo noto fu un rame verticale, piuttosto grande, raffigurante Tutti i santi ovvero Il Paradiso…morbido nella resa e con una bella maniera d’impiegare il colore»153. Il dipinto di Rottenhammer, cui si fa riferimento, è l’Incoronazione della Vergine, eseguito su rame, oggi conservato alla National Gallery di Londra154 (1595 ca., fig. I.38). L'opera, viste le parole di van Mander e i disegni preparatori che se ne conoscono, dovette essere cardinale nella carriera di Rottenhammer e non è forse un caso che poco dopo anche Saraceni, sull’esempio del pittore tedesco, realizzasse un Paradiso, oggi al Metropolitan Museum (1602-1605, cat. 10; fig. 10)155. Infatti, dopo Venezia, la continuità del rapporto a distanza tra Saraceni e Rottenhammer è confermata proprio dalla vicinanza tra queste due opere poiché entrambi gli artisti ripresero, con qualche variante e in epoche diverse,156 la medesima composizione ideata da Francesco Bassano (1549-1592) nel Paradiso che fu esposto nella Chiesa del Gesù a Roma in occasione del pontificato di Papa Clemente XIII, tra il 1592 e il        

148 cfr. Regesto alla data

149 AASL, Libro del Camerlengo, vol. 42, 1593-1627, fol. 35r; De Lotto, 2008, p. 196, doc. 49. 150 AASL, Libro del Camerlengo, vol. 42, 1593-1627, fol. 35 t; Papi, 1993, p. 22.

151 Penna e inchiostro nero, matita bruna e grigia, segni di biacca bianca su matita nera, cm 198 x 332, firmato e numerato 24, annotazione: «Paul Bril/ De la collection de M. de la Nouë,/ ancien et célèbre curieux sur le montage»; Paris, Salon du Dessin 2012, Agnew’s Gallery, New York; già pubblicato in Wood Ruby, 2007, pp. 87-89, n. 25.

152 Rottenhammer si recò a Roma tra il 1594-95; Borggrefe, 2008. 153 Van Mander, 1604, c. 296r, ed. 2000, p. 358.

154 Olio su rame, cm 53 x 46, 7 (1602-1604 ca.). La composizione di Bassano, in seguito, fu ripresa anche da Marcantonio Bassetti, allievo di Palma il Giovane, nella sua versione del Paradiso (conservata presso il Museo di Capodimonte di Napoli; Pallucchini, 1981, p. 579, fig. 336) in cui a destra aggiungeva però, come Saraceni, il san Cristoforo sopra le nuvole in posizione allungata. 155 Olio su rame, cm 91, 3 x 63, 8, Inv. NG. 6481; [HB] Borggrefe, 2008, pp. 101-104, n. 10.

156 Saraceni dovette vedere l’opera non prima del suo arrivo a Roma nel 1598 circa, mentre Rottenhammer potè ammirarla durante il suo soggiorno romano tra il 1593-94 e il settembre del 1595.

1605 (fig. I.19). Saraceni sembrerebbe poi derivare dall’Adorazione dei magi (oggi all’Alte Pinakothek di Monaco, fig. I.39)157 di Rottenhammer l’idea di aggiungere, nel suo Paradiso del Metropolitan Museum, un personaggio disteso in primissimo piano che si volge a guardare la scena principale a lui retrostante.

L’incontro tra Rottenhammer e Saraceni, come ho anticipato, era avvenuto forse tramite Palma il Giovane158 a Venezia, poiché il soggiorno di Hans nella città lagunare è documentato intorno al 1591 e nuovamente dal 1595 al 1606 ca., dopo un breve passaggio per Roma di un anno e mezzo (tra il 1593-94 e il settembre del 1595159). Con Rottenhammer, Saraceni condivise una particolare affezione alle composizioni di Paolo Veronese e di Palma il Giovane, ma anche a quelle del cavalier d’Arpino. Hans Rottenhammer, ad esempio, riprese nel suo Venere, Marte e Vulcano (Stadtische Kunstsammlungen di Asburgo, del 1605 circa, I.40)160, come Saraceni nel suo dipinto di medesimo soggetto oggi conservato nel Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid (cat. 14; fig. 14), la composizione del Venere nella fucina di Vulcano (Padova, collezione privata, 1590-1595 ca., fig. I.2) 161 di Palma il Giovane. Se Saraceni però estrapolò il particolare dei due amanti avvinti sul letto, Rottehammer li rappresentò leggermente distanti. Il comune denominatore però tra le due derivazioni di Saraceni e Rottenhammer, rispetto al modello palmesco, è la traduzione in un colorismo più acceso e brillante, favorito anche dal supporto metallico e l’inserimento, da parte di entrambi, della fucina di Vulcano in secondo piano. Se l’amorino, intento ad allacciare i calzari di Marte, è riproposto nella versione del tedesco, non è però raffigurato nel dipinto del veneziano che introduce invece alcune sue invenzioni come i putti che giocano con l’armatura di Marte sulla sinistra o ancora quella dell’amorino che spunta da sotto le lenzuola.

CARLO SARACENI E ADAM ELSHEIMER

Saraceni, sottolineava Ottani Cavina162, dopo le ricerche svolte sulla pittura di Palma il Giovane e del Cavalier d'Arpino, che non provocarono in lui «un'intuizione progredente, risolutiva», si avvicinò alla pittura di Adam Elsheimer. Come ricordava la stessa studiosa, sebbene di fronte agli studi dedicati alla poetica del paesaggio da Elsheimer risulti riduttivo e limitato l'intervento di        

157 Aikema, 2008, fig. 67.

158 Sappiamo che Jacopo Palma il Giovane e Hans Rottenhammer si conobbero a Venezia grazie al Ridolfi che riportava: «Fioriva nello stesso tempo in detta città Jacopo Palma il giovine, di cui Giovanni e divenuto amico, seguì alcune volte la maniera di lui, valendosi talora d’alcuna sua invenzione» (Ridolfi, 1648, ed. D. v. Hadeln, 1924, vol. II, p. 84; già citato da Hochmann, 2003, p. 643 nota 19).

159 Hochmann, 2003, p. 642 e Borggrefe, 2008, pp. 12-13.

160 Olio su rame, cm 31 x 38, inv. 1585; [H. B.] Borggrefe, 2008, pp. 166-167, n. 71. 161 Mason, 1984, p. 98, n. 191, fig. 134.

Saraceni, egli ebbe comunque il merito di avvertire attraverso la sua sensibilità il mutamento di direzione del gusto e di farsi coinvolgere dalla nuova corrente naturalista apportando a sua volta un contributo al diffondersi di questo genere.

Come è stato anticipato, l’incontro con Adam Elsheimer (Francoforte1578- Roma 1610) avvenne probabilmente a Venezia presso la bottega di Rottenhammer. Non è forse un caso se van Mander, proprio nel descrivere la vita di Hans Rottenhammer, aggiungeva verso la fine una breve descrizione di Elsheimer: «Attualmente a Roma si trova un pittore della Germania settentrionale chiamato Adam, nato a Francoforte», «arrivato in Italia, costui era un maestro alquanto mediocre, ma a Roma fece dei progressi veramente notevoli, diventando con il lavoro, un maestro assai ingegnoso; non si dedicava a disegnare qualcosa in particolare, bensì si sedeva in una chiesa, o altrove, e vi osservava continuamente le opera dei vaghi maestri, imprimendo tutto cioè nella memoria. Era meravigliosamente leggiadro nel dipingere vaghe invenzioni su lastre di rame e, benchè no lavorasse moltissimo, era sorprendentemente celere. Si dimostrò sempre ponderato e disponibile ad aiutare chiunque ne avesse bisogno»163. Visto il profilo che ne dà van Mander, Adam quindi, era abituato a collaborare con gli artisti e i confronti tra le sue opere e quelle di Saraceni porterebbero ad appoggiare una collaborazione o parallelismo delle loro carriere come delle loro sperimentazioni compositive. L'incontro tra i due artisti seppur probabilissimo non è documentato, dunque ugualmente ipotetico è supporre che possa essere avvenuto a Venezia, dove Elsheimer si trattenne in una data imprecisata tra il 1597 e il 1600164, o a Roma, città in cui Saraceni arrivò intorno al 1600 (cfr. cap. I.1). Certo è che i due artisti frequentarono i medesimi ambienti nelle due città e furono entrambi iscritti all’Accademia di San Luca di Roma negli stessi anni.

Elsheimer, figlio di un sarto, compì la sua prima formazione tra il 1593 e il 1597-98 nella bottega di Philip Uffenbach a Francoforte. In seguito venne in Italia e, dopo un probabile soggiorno a Venezia dove forse aveva frequentato la bottega di Rottenhammer e aveva avuto modo di osservare le opere di Tintoretto e Veronese che lasciarono un’impronta importante nelle sue realizzazioni, dal 1600 era registrata la sua presenza a Roma. Qui, oltre a frequentare l’Accademia di San Luca, entrò in contatto con l’ambiente dell’Accademia dei Lincei per interessamento del fisico e botanico papale tedesco Johann Faber, suo estimatore e grande amico, ma amico del fondatore (nel 1603) dell’Accademia dei Lincei: Federico Cesi. Nel 1606 Elsheimer si sposò a Roma con Carola Antonia Stuart e uno dei testimoni delle nozze fu Paul Bril. Il pittore è poi segnalato negli Stati delle Anime di San Lorenzo in Lucina nel 1607 mentre con lui abitavano, oltre ai servitori e la moglie, l’artista        

163 Van Mander, 1604, c. 296r, ed. 2000, p. 358.

164 Il soggiorno veneziano l’Elsheimer, entro queste date, è talvolta messo in dubbio perché nel 1598 l’artista firmava e datava a Monaco un disegno, oggi a Brunswick, per un album amicorum (di un ignoto collezionista di Monaco) e nel 1600 era già a Roma (Klessmann, 2006, pp. 8-9). La conoscenza diretta però di opere veneziane del Veronese e del Tintoretto, e conseguentemente un passaggio del tedesco a Venezia, è supportato dalle sue realizzazioni, molto influenzate da questi due artisti.

incisore Hendrick Goudt. Elsheimer decise di convertirsi al cattolicesimo nel 1606, motivo per il quale nel 1608 Rubens scrisse una lettera a Johann Faber per sconsigliarlo di frequentare ancora Elsheimer viste le sue ultime scelte religiose. Il pittore morì a Roma lo stesso anno di Caravaggio, nel 1610.

L'influenza di Elsheimer sul pittore, ha anticipato Ottani Cavina165, è facilmente riscontrabile nell’analisi di alcune opere del primo periodo romano: la serie dei sei dipinti su rame del Museo di Capodimonte (catt. 15; figg. 15a-f), rappresentanti le vicende tratte dalle Metamorfosi di Ovidio, è indubbiamente l’esempio più noto. D'altro canto le realizzazioni del 1607-08 del tedesco denotano lo studio degli esperimenti già intrapresi da Saraceni a testimoniare dunque che, se il veneziano doveva molto all'esempio di tedesco, il rapporto non fu da lui vissuto solo in maniera passiva.

Nel documento Carlo Saraceni (pagine 54-71)