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CARLO SARACENI E GIULIO ROMANO

Nel documento Carlo Saraceni (pagine 52-54)

I CAPITOLO: LA FORMAZIONE A VENEZIA, L’ARRIVO A ROMA E LA PRIMA PRODUZIONE

1.4 CARLO SARACENI E GIULIO ROMANO

Pietro Bernini114, allora a Roma. Nell’incisione, che Röttgen conferma essere stata molto diffusa all’epoca115, ritroviamo la stessa posizione di Dedalo in volo con le braccia aperte, quasi a planarne in discesa, e la morfologia del volto molto simile a quella del Dedalo realizzata da Saraceni, nonché una simile posizione scomposta dei due personaggi raffigurati.

Se i primi approcci con la cultura artistica capitolina furono dunque sostanziali per l'inserimento lavorativo del pittore, il suo modo espressivo fu invece marcato profondamente poi dal Caravaggio.

1.4 CARLO SARACENI E GIULIO ROMANO

Una parentesi a sé credo vada dedicata ad un'esperienza formativa alquanto singolare di Saraceni nei suoi primi anni di produzione. Tra le opere che si possono annoverare tra quelle eseguite tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento dal pittore, vi sono quattro dipinti, due su tela e due su rame, dalle misure e dal soggetto molto simili: il Bagno con Venere, Mercurio e Eros in collezione privata romana (cat. 4; fig. 4), il Bagno di Venere e Marte, già in collezione privata a New York (cat. 5; fig. 5), il Venere, Marte e una ronda di amorini del Museo de Arte di San Paolo (cat. 14; fig. 14) e gli Amori di Marte e Venere del Museo Thyssen- Bornemisza di Madrid (cat. 9; fig. 9). Solitamente la critica ha collocato gli ultimi due dipinti tra il primo e l’inizio del secondo decennio del Seicento per la grafia più matura rispetto ai primi due sebbene, mi pare, vadano comunque inseriti tra le opere eseguite ante 1605116, poiché il veneziano in questa data, con l’esecuzione dei sei rami di Capodimonte (cat. 15; figg. 15a-f) e con l’adesione ai modi figurativi caravaggeschi, è ormai lontano dalla morfologia delle figure palmesche e dai modelli rinascimentali qui inscenati. Com’è già stato evidenziato, tre di questi quattro dipinti presentano delle composizioni ideate da Raffaello, alcune delle quali furono poi riprese da Giulio Romano a Palazzo Te a Mantova. Il

Bagno di Venere, Marte e Eros attinge a una composizione di Sanzio che Saraceni poté conoscere

attraverso un’acquaforte di Giulio Bonasone (Bologna 1498 ca.- dopo il 1574) (Bagno pubblico, fig. I.29, prima metà del quarto decennio del Cinquecento)117. Bonasone, come si evince da un’incisione di Giovanni Giorgi che copiava in controparte quella del Bonasone, riprendeva nel

       

114 Baldinucci, segnalò che Giuseppe Cesari fu il maestro di Pietro Bernini nel disegno; Röttgen, 2002, p. 516, n. VI. 115 Röttgen., 2002, p. 516, n. VI.

116 Si annoti poi che se il dipinto di Madrid si differenzia dagli altri per una veduta d’interno, i paesaggi degli altri dipinti differiscono un po’ tra di loro nella morfologia, in quanto, se il dipinto già in collezione privata romana denota una ripresa delle composizioni e del tipo di paesaggio di Paolo e Mattia Bril, le cui realizzazioni Saraceni poteva osservare già a Venezia nella bottega di Rottenhammer, il dipinto Madrid o quello di San Paolo denotano una morfologia dei cespugli tondeggianti, più vicina invece ai futuri risultati di Saraceni nella serie di Capodimonte (catt.; fig..) e alle contemporanee ricerche effettuate da Elsehimer, Pynas e Lastman. Alla luce di tale analisi quindi, il dipinti già a Roma e New York precedono forse leggermente gli altri due, quindi se proponiamo il 1600-1602 per la realizzazione dei primi, si avanza il 1602-1605 come collocazione per i secondi.

Bagno pubblico una composizione ideata da Raffaello. Giovanni Giorgi annotava nella sua

incisione: «RAPH. VRBI./Pinxit» 118.

Anche nel Bagno di Venere e Marte di New York (cat. 5; fig. 5) Saraceni s'ispira a un modelli realizzato dalla scuola raffaellesca a Palazzo Madama (rappresentante un episodio della favola di

Amore e Psiche). Tuttavia l'artista, più che riprodurre direttamente l'esempio raffaellesco, si rifece

alla traduzione che ne fece Giulio Romano a Palazzo Te a Mantova nella parete nord della Camera di Psiche (fig. I.30)119, tanto che la composizione appare più vicina a quest'opera che al modello raffaellesco. Non esiste documentazione alcuna che provi una visita di Saraceni a Mantova e si può supporre che il veneziano avesse conosciuto la composizione di Giulio Romano attraverso la traduzione incisoria che ne fece Diana Scultori120(fig.). Anche negli Amori di Marte e Venere di Madrid è inserito un particolare desunto da Giulio Romano: le statue poste nelle nicchie che sembrano prender vita. Quest’invenzione, sebbene sia stata recentemente messa in rapporto da Contini121, seguito da Aurigemma122 , con le realizzazioni di Alessandro Turchi, è desunta dal

Marte che insegue Adone realizzato anch’esso da Giulio Romano nella parete nord della camera di

Psiche a Palazzo Te (fig. I.32)123.

Per i rapporti di Saraceni con la corte gonzaghesca è noto che, a seguito di uno scambio di missive dal 1613 al 1615124 , fu richiesto a Saraceni di dipingere il Loggion Serato per il duca Ferdinando Gonzaga a Mantova. Il pittore tuttavia non accettò l’incarico, troppo occupato com'era all'epoca da importanti commissioni romane anche, secondo le lettere inviate a Asdrubale Mattei, intendente del duca, Saraceni avesse inviato a Mantova nel 1615 dei quadretti che furono ricevuti ma non saldati125. Su questa base documentaria Aurigemma ha recentemente ipotizzato che i dipinti fossero stati eseguiti dal veneziano dopo un suo probabile passaggio per Mantova in una data non precisata126. L'ipotesi è rafforzata dalle parole del compianto dedicato da padre Maurizio Moro alla morte del pittore nel 1620 a Venezia, in cui era annotato, fra le varie zone in cui il pittore lasciò il segno con la sua arte, anche il Mincio, cioè il fiume che attraversa Mantova127.

       

118 Roma, Istituto di Archeologia e Storia dell’Arte, Fondo Lanciani, inv. 36189; Massari, 1983, pp. 54-55, n. 45, fig. 45a. 119 Belluzzi, 1998, v. I, p. 270, fig. 498.

120 Roma, Istituto Nazionale per la Grafica, inv. N. 50749, vol. 40 H 17; Massari, 1993, pp. 160-164, n. 155; Belluzzi, 1998, t. I, p. 382, fig. 234.

121 Contini, 2002, pp. 26-29. 122 Aurigemma, op. cit., 2011, p. 190 123 Belluzzi, 1998, t. I, fig. 502. 124 cfr. Appendice documentaria.

125 cfr. Appendice documentaria. Nelle lettere del 1613 Asdrubale Mattei informava che se Domenico Fetti poteva rendersi a Mantova, ciò non era possibile a ‘Paolo Brili’ e ‘Carlo Venetiano’ in quanto il primo diceva di non poter lasciare moglie e figli a Roma ma si dichiarava disponibile ad eseguire opere per il duca dall’Urbe, mentre il secondo era troppo preso da altre commissioni che lo impegnavano nella capitale pontificia.

126 Aurigemma, 2011, p. 188.

127 Dogliose lagrime nella morte del celebre Pittore il Sig. Carlo Saraceni Venetiano, et lodi all’illustrissimo Sig. Giorgio Contarini

Il soggiorno mantovano non è effettivamente da escludere quindi e può forse collocarsi nel momento del trasferimento da Venezia a Roma, forse al seguito di d’Arpino e di Pietro Aldobrandini che, nel 1598, effettuarono un viaggio a Mantova passando per Venezia. Aurigemma proponeva che Saraceni, per la realizzazione del Bagno con Marte e Venere già a New York avesse visto direttamente gli affreschi di Giulio Romano, per la presenza a destra delle armi di Marte, elemento questo assente nelle varie traduzioni grafiche che se ne conoscono. Va detto però che il dipinto di Saraceni, come l’incisione, è rappresentato all’inverso rispetto all’affresco di Giulio, il che ci porta a supporre che il veneziano avesse ripreso la composizione dall’incisione. Supposizione confermata dalla presenza, nel dipinto di Saraceni, del particolare dell’arco di Cupido appoggiato all’albero sulla destra, raffigurato nell’incisione di Diana Scultori, ma non nell’affresco a Palazzo Te.

Vorrei qui segnalare un altro modello figurativo desunto da Giulio Romano e presente nel Volo di

Dedalo e Icaro (Napoli, Museo di Capodimonte, cat. 15; fig. 15a) di Saraceni che sino ad ora mi

sembra sfuggito all'esame critico. I due personaggi sono rappresentati nella medesima posizione di quelli che Giulio Romano realizzò per un affresco perduto di Palazzo Te e che conosciamo attraverso una stampa di Stefano Mulinari e da alcuni disegni (fig. I.33)128.

Ricordo poi, come curiosità, che nel 1616 fu richiesto a Saraceni di restaurare la Pala Fugger di Giulio Romano, sull’altare della chiesa di Santa Maria dell’Anima a Roma (fig. I.34)129.

Nel documento Carlo Saraceni (pagine 52-54)