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Carmen Scano sul Demostene di Treves…

Mario Attilio Levi: un confronto

4.5 Carmen Scano sul Demostene di Treves…

Questo era il retroterra culturale, accademico ma anche politico in cui vanno inserite le due recensioni che Carmen Scano299, allieva di Pais, dedicava nel 1935 al Demostene e la libertà

greca e all’Ottaviano capoparte.

Per la verità, Treves e la Scano dovevano già conoscersi bene, se così si può dire. Nel 1932, all’interno della scuola di De Sanctis (e con l’intervento anche di Croce) si era sviluppata la già citata discussione sulle origini della II guerra punica, vista come l’inizio della politica mediterranea ed imperialistica di Roma. Anche se ufficialmente l’Italia non aveva ancora “il suo Impero”, come nel caso del dibattito sulla libertà greca lo studio del passato rifletteva tensioni del presente. Non fu accidentale, dunque, che in quell’occasione Treves instaurasse un parallelismo tra la figura di Annibale e quella di Demostene. Il secondo conflitto punico non era affatto una guerra difensiva, tesa a salvaguardare Roma e i suoi possessi nella penisola, bensì esso mirava a creare un’egemonia mediterranea; non era uno scontro tra Arianesimo e Semitismo, come aveva visto De Sanctis, ma uno scontro tra due diversi modelli politici e ideali, tra imperialismo e libertà. Ecco allora che Roma era la nuova

298 L. Polverini, Rostovzev e De Sanctis in Rostovtzeff e l’Italia. Incontri perugini di storia della storiografia antica e sul

mondo antico, 9: Gubbio, 25-27 maggio 1995 a cura di A. Marcone, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 1999, pp.

97-113, 107. Nella minuta l’ultima frase era sostituita da una descrizione più lunga (poi cancellata): “il quale ha pagato il prezzo richiesto rinnegando il suo maestro Mommsen e scrivendo alcune falsificazioni ad usum

delphini sull’imperialismo romano. Debbo poi aggiungerle che la destituzione del Beloch essendo stata illegale

[…] io avrei ricusato in ogni caso di raccogliere la sua eredità se egli stesso non mi avesse esortato a fare il possibile perché la sua cattedra non cadesse in mano agl’inetti e ai bricconi. Questo dico perché non vorrei che l’avere aspirato alla cattedra di Roma fosse ritenuto una mancanza di fedeltà all’amico e maestro Beloch. Posso dire a fronte alta che io ignoro che cosa sia infedeltà”.

299 Purtroppo non esistono studi sulla figura di Carmen Scano. Nel 1927 scrisse Ettore Pais: profilo, Cagliari,

Edizioni della Fondazione Il nuraghe. Nella seconda metà del ‘900 fu autrice di diverse commedie teatrali, collaborò al Dizionario delle scrittrici italiane contemporanee: arte, lettere, scienze (Milano, Gastaldi, 1957) e pubblicò uno studio su La vita e i tempi di Michelangelo da Caravaggio (Milano, Gastaldi, 1952).

Macedonia ed Annibale il nuovo Demostene, il singolo che combatte invano ma non inutilmente per la victa ma giusta causa300.

Nella questione si inserì con un articolo, l’anno successivo, Carmen Scano. Subito la studiosa difendeva il maestro: la responsabilità del conflitto era da attribuire non ai Romani ma ai Cartaginesi, come nella Storia di Roma durante le guerre puniche aveva dimostrato Ettore Pais, “uno storico, il quale, senza attardarsi sterilmente a colmare con ipotesi le lacune troppo profonde della tradizione, si inalza ad un equanime apprezzamento di uomini e di cose”. Ma il vero problema era un altro. La Scano, riprendendo posizioni che erano state di De Sanctis, le corredava del peggior nazionalismo e, addirittura, di chiare allusioni razziste. Infatti, se Roma era l’esponente dell’arianesimo e Cartagine del mondo semita, allora “negare […] il vero significato del duello mortale fra Roma e Cartagine, porta a travisare deliberatamente le origini e l’opera della nostra civiltà, svalutando, per decisa volontà antistorica, a vantaggio di particolari tendenze personali, verità scientifica e cosciente orgoglio di stirpe”. Ecco allora che Arianesimo e Semitismo non erano più categorie scientifiche (o pseudo tali) e definire l’ebreo Treves “storico cartaginese”301 era una chiara manifestazione di antisemitismo.

Due anni dopo, Carmen Scano ritornava a criticare Treves, ed in particolare il suo

Demostene e la libertà greca. Innanzitutto, bisogna notare che, mentre l’allievo di De Sanctis in

tutta la sua produzione giovanile era stato attento a sottolineare l’importanza di combattere per ciò in cui si crede indipendentemente dal risultato e il valore etico di una sconfitta, l’allieva di Pais, invece, scriveva sulle pagine di “Historia”, edita dal “Popolo d’Italia”, fondata da

300 P. Treves, Le origini della seconda guerra punica, “Atene e Roma”, 1932, pp. 14-39. Id., recensione a Problemi di

storia antica di G. De Sanctis, p. 93. Treves tornerà su questo argomento più volte, sia negli anni Trenta sia

dopo l’esilio, si veda: recensione a Aratos of Sicyon di F.W. Walbank, “Athenaeum”, 12, 1934, pp. 324-329, 328;

Il mito di Alessandro e la Roma di Augusto, Milano-Napoli, Riccardo Ricciardi Editore, 1953, p. 93 n. 9; Lo studio dell’antichità classica nell’Ottocento, p. 1248.

Arnaldo Mussolini e, dunque, “portavoce di un potere autoritario e autogiustificantesi sulla base del successo conseguito”302.

Ciononostante, le critiche della Scano non erano prive di ogni fondamento. La studiosa, per esempio, lamentava, e si può dire correttamente, l’ardire di un paragone come quello che Treves instaurava tra Demostene e Mazzini. In fondo, quest’ultimo intravide e volle un’Italia unita, Demostene, invece, ebbe sempre un orizzonte più ateniese che greco. C’era poi la riproposizione di tesi droyseniane e l’allieva di Pais ricordava come non fu certo per merito dell’autore delle Filippiche che la civiltà greca si espanse in Medio Oriente permettendo quel sincretismo culturale da cui nacque il Cristianesimo.

Centrale era, inoltre, la critica all’“egoismo” e al “particolarismo” di Demostene. Ciò fu evidente, una volta per tutte, quando nel 335 a.C. Atene e Tebe provarono a ribellarsi al giogo macedone ma, fallito il tentativo, la città attica si smarcò dall’alleata per evitare di essere distrutta insieme ad essa. Emerse in questo, come in altri episodi, che il fine di Demostene era sì l’indipendenza della Grecia dalla Macedonia, ma solo tramite il ritorno egemonico di Atene. A questo punto, scriveva Scano, “si può giudicare […] su quale fragile base riposasse il concetto della libertà in Demostene”.

Era una questione niente affatto banale che, lo vedremo, negli stessi anni occupava Momigliano. Carmen Scano, invece, riuscì a banalizzarla, facendo trasparire il significato politico della sua recensione con un ultimo riferimento a favore della teoria dello stato etico: quello di Demostene, infatti, era un “tradizionalismo fuori del pensiero attuale, per cui libertà è volontaria disciplina delle parti al tutto, delle Regioni alla Nazione, degli individui allo Stato”303.

302 M. Cagnetta, Demostene, i simboli e la muffa, p. 291.