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Demostene “apostolo di libertà”

Piero Treves e il suo Demostene e la libertà greca

3.9 Demostene “apostolo di libertà”

Dunque, non solo impero di libertà, quello ateniese era anche impero di benessere a pace. E infatti Demostene, il più convinto promotore di una nuova Pentecontaetia, veniva più volte definito da Treves eirenofulax213, ovvero protettore della pace. Ma il parallelismo tra lui e Pericle continuava perché, come nel V secolo esisteva un’età periclea, così nel IV si poteva parlare di “età demostenica”214. Per l’allievo di De Sanctis, insomma, Demostene diventa protagonista eponimo della sua epoca.

Addirittura, negli scritti di Treves la figura di Demostene assumeva connotati sacrali. Intanto l’oratore ateniese “sembra miracolosamente preconoscere il corso e il divenire della storia”: egli “anticipa il giudizio degli storici antichi e moderni”215. Ma, oltre a ciò, in lui “ogni anima ha potuto ritrovare, nel fluire continuo dei secoli, un segno di luce; e quasi scorgere in lui il volto di un ignoto fratello, di un maestro lontano”216. “Demostene”, scriveva ancora Treves, “assurge, da puro politico, a modello e maestro sublime di eticità”; la sua immagine “appare illuminata in una livida luce di profezia”217. È a questo punto che Treves crea un esplicito parallelismo tra l’oratore ateniese e le grandi figure dell’Ottocento che lottarono per la libertà: Demostene,

213 Ibid., p. 89 e Id., Apocrifici demostenici, p. 170.

214 Licurgo, L’orazione contro Leocrate, con traduzione, introduzione e note di P. Treves, Milano, Signorelli,

1934, p. 7. Treves usò questa formula fin dal 1933 nelle recensioni a Demade oratore di V. De Falco, “Athenaeum”, 11, 1933, pp. 95-96 e a Zwei religiös-politische Begriffe, Euergetes Concordia di E. Skard, “Rivista di Filologia e di Istruzione classica”, 61, 1933, pp. 514-520. Del 1936, poi, è l’articolo Il secolo di Demostene, “Il Lavoro”, 25/11/36, p. 3.

215 Demostene, Le tre orazioni olintiache, p. 7 (corsivo mio). Cfr. anche P. Treves, Le Olintiache di Demostene, p. 18. 216 Licurgo, L’orazione contro Leocrate, p. 27.

Dopo aver combattuto in ogni sua ora per essere libero, volle, almeno, poiché viver da libero più non si poteva, farsi libero nella morte. Alla canaglia macedone sopravveniente non altro volle dare, come, a Sanza, ventidue secoli dopo, Carlo Pisacane, non altro che il suo cadavere. […] A quegli spiriti magni del passato, a quei combattenti non vinti di libertà si ricongiunse, oltre la vita e per sempre.

Ma questo non era l’unico parallelismo che Treves instaurava: “l’azione”, scriveva, “è la morale e il dovere di questi apostoli di libertà, sia Demostene l’eroe, sia Mazzini”218. Il paragone era già stato proposto, appena un anno prima, da De Sanctis. In Annibale e «la

Schuldfrage» d’una guerra antica, contributo non certo privo di una valenza politica, il professore

romano aveva definito Demostene ed Arato di Sicione come i “precursori ideali del Mazzini”219. Bisogna poi tenere conto che lo zio (fratello della madre) di Treves, Alessandro Levi, era un importante studioso proprio di Mazzini. Già nel 1917 aveva pubblicato La

filosofia politica di G. Mazzini; a dieci anni di distanza, “all’indomani della condanna di Nello

Rosselli al confino […] il Levi si era recato personalmente a Napoli per chiedere a Croce di pubblicare nella Critica una recensione a Mazzini e Bakounine di Nello”220.

L’opera di Alessandro Levi fu così importante che, su questo tema, influenzò la maggioranza degli intellettuali antifascisti: Nello Rosselli, appunto, ma anche Gobetti, De Ruggiero, Salvatorelli e Croce. Nella sua Storia d’Europa nel secolo XIX (1932) si può leggere: “Per difetto di approfondimento speculativo e di senso storico [Mazzini] non riuscì a formolare e dedurre teoricamente il concetto di libertà, e anzi teoricamente lo compromise,

218 P. Treves, Demostene, pp. 191 e 67.

219 G. De Sanctis, Annibale e «la Schuldfrage» d’una guerra antica, “Problemi di storia antica”, Bari, Laterza, 1932,

pp. 161-186 ora in Id., Scritti minori, V, a cura di A. Ferrabino e S. Accame, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1983, pp. 197-216, 215. Nel 1931 De Sanctis inserì proprio Mazzini fra i “maggiori eroi di libertà che la storia ricordi” (Id., Aristagora di Mileto, “Rivista di Filologia classica”, N.S., 9, 1931, pp. 48-72 ora in Id.,

Scritti minori, V, a cura di A. Ferrabino e S. Accame, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1983, pp. 9-30, 9).

220 A. Cavaglion, Levi, Alessandro, “Dizionario Biografico degli Italiani”, 64, Roma, Istituto della Enciclopedia

e quasi lo negò”221. Evidente la vicinanza con Levi che, quindici anni prima, aveva scritto: “Il pensiero politico [di Mazzini], per questo suo carattere spiritualistico, etico-religioso, che tutto lo informa, si differenzia profondamente da quello della democrazia liberale”222.

A questo punto è interessante notare come il “crociano integrale”223 Treves, che, come si vedrà, dovrà all’interessamento del filosofo napoletano la pubblicazione del suo

Demostene, su questo punto fosse distante dall’interpretazione mazziniana sia di Croce che di

Alessandro Levi, a cui, pure, era molto legato224. Secondo le categorie proposte da Levis Sullam, quella trevesiana probabilmente fu una “appropriazione simbolica”, ovvero “una lettura e interpretazione che guarda a Mazzini come a un simbolo, ad esempio come patriota, come eroe, come figura etica, ma senza riferimento al suo pensiero”. Tuttavia, il Demostene- Mazzini di Treves, a cui mancava “l’elemento teocratico”, certo non difettava di quello “mistico” e neppure dell’“ideologia mazziniana del sacrificio”225, aspetti, questi ultimi, che però si scontravano con l’analisi di Levi come anche con quella contemporanea di Rodolfo Mondolfo.

Un’inaspettata vicinanza, invece, si può cogliere tra la figura di Mazzini che risulta dal

Demostene di Treves e quella tratteggiata sulle pagine dell’Enciclopedia Italiana. L’autore della

voce su Mazzini, pubblicata nel 1934, era il direttore dell’opera, Giovanni Gentile che scriveva:

Combattere, non restare a vagheggiare esteticamente l’ideale. Insorgere, in un regime di oppressione. Nell’insurrezione, affrontando la prigione e il patibolo, l’uomo si educa ad apprezzare, e perciò a

221 B. Croce, Storia d’Europa nel secolo XIX (1932), Bari, Laterza, 196512, pp. 105-106.

222 A. Levi, La filosofia politica di G. Mazzini, Bologna, Zanichelli, 1917, p. 117 (citato in S. Levis Sullam,

L’apostolo a brandelli. L’eredità di Mazzini tra Risorgimento e fascismo, Bari, Laterza, 2010, p. 70).

223 Paolo Treves, Quello che ci ha fatto Mussolini, p. 130.

224 Sul rapporto tra i due si veda P. Treves, Alessandro Levi: dal Risorgimento al Socialismo, dal Socialismo al

Risorgimento, “Critica Sociale”, 66, gennaio 1974, pp. 41-45 ora in Id., Scritti novecenteschi a cura di A. Cavaglion e

S. Gerbi, Bologna, Il Mulino, 2006, pp. 81-91.

conoscere seriamente la libertà. Non importa se un’insurrezione venga soffocata nel sangue. La fucilazione dei fratelli Bandiera è una vittoria: perché gl’Italiani in quest’episodio hanno dimostrato che la libertà vale più della vita materiale; e l’esempio ha insegnato come effettivamente questa vita non abbia valore, ove non riesca a sublimarsi nella schietta vita superiore dello spirito: che è vita di popolo nella libertà226.

Non ne conoscessimo la provenienza, potremmo pensare che parole come queste fossero uscite dalla penna di Treves. L’importanza dell’agire, dell’agire indipendentemente dal risultato immediato; il riferimento a victae causae dell’Ottocento italiano; l’insistita ripetizione del termine “libertà”; perfino lo stile, sono tutti elementi che sembrano avvicinare il figlio dell’esule Claudio Treves al filosofo fascista per eccellenza.

Eppure, ciò non deve trarre in inganno. Croce e Gentile furono i due più importanti filosofi italiani della prima metà del Novecento e i loro linguaggi influenzarono profondamente la generazione di intellettuali che si era formata negli anni Venti, in certi casi anche prescindendo dai rispettivi schieramenti politici. Senza uscire dall’ambito della scuola di De Sanctis, se non stupisce il gentilianesimo di Ferrabino (di cui si è parlato nel capitolo precedente), certo più complessa fu la vicenda di Momigliano che, pure, fece uso di un linguaggio che si può definire gentiliano227.

Come si vedrà nelle conclusioni, Treves era in contatto con Gentile e non è da escludere che lo stile del filosofo abbia influito su quello del giovane storico. Molto più probabilmente, però, la prosa di Treves, una prosa molto raffinata, complessa e a tratti aulica, discendeva direttamente dal linguaggio paterno, dove spiccavaano, come scriverà lo stesso

226 G. Gentile, Mazzini, Giuseppe in Enciclopedia Italiana, 22, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1934, pp.

653-654, 654. Su questo tema si veda R. Pertici, Il Mazzini di Giovanni Gentile, “Giornale critico della filosofia italiana”, s. 6, vol. 19, 1999, pp. 117-180.

227 S. Levis Sullam, Arnaldo Momigliano e la “nazionalizzazione parallela”, p. 71 e sgg. L’influenza di Croce e di

Gentile sulla formazione di Momigliano è un tema di discussione, di fatto, ancora aperto. A riguardo si veda anche G. Sasso, Il contributo di Arnaldo Momigliano, p. 253 e sgg.

Treves nel 1969, “gli echi della tradizione, i bagliori della poesia, il senso d’una continuità storica proseguita e inverata come l’atmosfera in cui sola viva l’uomo che è l’uomo”228.

Ad ogni modo, coincidenza stilistica a parte, era l’interpretazione di un periodo come quello Risorgimentale e dei suoi protagonisti che differenziava inequivocabilmente Treves e il filosofo fascista. Infatti, mentre Gentile cercava di dare una caratterizzazione politica forte all’epoca risorgimentale, presentandola come la prima fase di un nuovo ciclo storico per l’Italia che avrebbe raggiunto il proprio sviluppo completo nel regime fascista, Treves invece leggeva il Risorgimento in chiave liberale e, proprio per questa via, poteva istituire un parallelismo tra Mazzini e il suo Demostene. Un Demostene in cui, lo si è visto in queste pagine, Treves riconosceva un esempio e un simbolo altissimo di quella libertà negata nell’Italia degli anni Trenta.

In questo capitolo è emersa la “politicità” del Demostene di Treves. Un’opera che il suo autore consapevolmente collocava nel quadro della storiografia sul IV secolo a.C., scegliendo apertamente l’indirizzo liberale già percorso da Niebuhr come da Grote, in netta opposizione con gli storici “unitaristici e prussianeggianti”. Ma il saggio pubblicato da Laterza nel 1933 più implicitamente si inseriva anche nel dibattito sulla libertà nella Grecia antica che aveva visto gli interventi di Ferrabino, Croce e De Sanctis. Agli interventi antiliberali e alla negazione del senso della storia portati avanti da Ferrabino, De Sanctis aveva risposto rispettivamente sottolineando il valore paradigmatico della libertà dei Greci e sostenendo la coesistenza di storia e religione cattolica. Treves ribadì con forza il primo punto, il significato esemplare della libertà greca. Sul secondo, invece, la distanza dal maestro era maggiore: pur animato da un fermento spirituale, il giovane Treves innalzò la libertà stessa a religione ed il suo campione, Demostene, ad apostolo. Non è un caso se fu a Parigi, alla presenza del padre

Claudio in esilio, che Piero “trovò l’aria adatta”229 a scrivere la dissertazione di laurea, che poi sarebbe diventata il Demostene e la libertà greca.

Il capitolo non a caso si è concluso con il richiamo a Mazzini che, apparentemente, accomunava Treves e Giovanni Gentile. Dietro una apparente convergenza tematica e stilistica, stavano interpretazioni storiche diverse. È, questo, solo un primo esempio della complessità che si incontra studiando la storia degli intellettuali tra le due guerre. Una complessità che si esprime nel rapporto non lineare tra biografia, storiografia, politica, scelte personali e rilettura del passato. Una complessità che risulterà evidente nel prossimo capitolo, quando si confronteranno la produzione e la ricezione di due storici diversissimi eppure per certi aspetti simili: Piero Treves e Mario Attilio Levi.

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Il Demostene di Piero Treves e l’Ottaviano capoparte di