Piero Treves e il suo Demostene e la libertà greca
3.2 La “politicità” del Demostene di Treves
“Treves Pietro [sic] di Claudio e di Levi Olga, nato il 27 novembre 1911 e qui abitante in Via Ansperto N. 7 Dottore in belle lettere risulta di buona condotta morale ma non politica”114.
113 G. Bottai, Ritratto di Demostene, pp. 509-511, passim.
114 ACS, MI, DGPS, DPP, FP, b. 1374, fasc. Treves Paolo, documento inviato dalla Legione dei Carabinieri
Siamo nel marzo 1932. Così un solerte funzionario dei Carabinieri Reali di Milano si opponeva al rilascio del nulla osta per la concessione del passaporto di Piero Treves e, in modo involontario, coglieva un aspetto fondamentale dell’attività del giovane storico: la “dimensione della politicità”115.
Certo, l’ufficiale sosteneva il proprio parere negativo per timore che “Pietro” espatriasse. Il padre Claudio, ex-deputato socialista e nemico personale di Mussolini, era sfuggito alle camicie nere e alla protezione interessata della polizia, riparando in Francia nel novembre di sei anni prima. Il fratello, Paolo, era stato segretario di Turati e nel 1929 aveva scampato di poco il confino, ma non il carcere, per aver firmato, insieme ad altri, una lettera indirizzata a Benedetto Croce, contenente “giudizi ed apprezzamenti poco riguardosi verso S.E. il Capo del Governo”116.
Piero era più giovane di tre anni rispetto a Paolo e non studiava, come lui, scienze politiche. Era sicuramente più “innocuo” del fratello e, a maggior ragione, del padre. Eppure, anch’egli aveva avuto il proprio “martirio”, come lo definì Paolo. Nel 1926, all’indomani dell’attentato Zamboni, il preside del Liceo Manzoni di Milano aveva ordinato agli studenti una sfilata con tanto di saluto romano di fronte alla lapide dei caduti della scuola; Piero “quando fu davanti alla pietra commemorativa si levò il cappello con un gesto largo, che pareva fatto apposta per essere notato”117. Il mito dei caduti era più vivo che mai e dopo la tentata uccisione di Mussolini non c’era spazio per atti derisori: il consiglio dei professori decise per otto giorni di sospensione.
Che il più giovane dei Treves fosse considerato una possibile minaccia dallo Stato fascista è poi chiaro dalla sorveglianza a vista a cui venne sottoposto non appena
115 R. Pertici, Piero Treves storico di tradizione, p. 667.
116 ACS, MI, DGPS, DPP, FP, b. 1374, fasc. Treves Paolo. Sulla sua figura è in uscita la monografia di
Andrea Ricciardi Paolo Treves. Biografia di un socialista diffidente, Milano, Franco Angeli, 2018.
“disgraziatamente si decise a mettersi i pantaloni lunghi”118. Fin dalla fuga del padre Claudio, era stato direttamente il capo della Polizia Arturo Bocchini a ordinare una “vigilanza stretta”119 sulla famiglia dell’ex-deputato. Ora, come dimostrano le decine di veline indirizzate dai prefetti alla Direzione generale di Pubblica sicurezza, anche gli spostamenti di Piero dovevano essere minuziosamente registrati e, almeno dal 1934, anche la sua corrispondenza sarà controllata120.
Per questi motivi l’ufficiale dei Carabinieri bollava Treves come “di buona condotta morale ma non politica”. Tuttavia, la “dimensione della politicità” era qualcosa di più e di altro. Non si trattava semplicemente (se così si può dire) di appartenere ad un determinato ambiente socio-politico, di rifiutare il saluto romano o di subire le continue intrusioni di uno stato di polizia. Si trattava, come scriverà lo stesso Treves a mezzo secolo di distanza, della consapevolezza del “valore, appunto politico, lato sensu politico, della cultura, quanto più essa è libera né giova o serve (cioè, non vuol né giovare né servire) a interessi stricto sensu politici, di regime o di parte”121. E di ciò gli stessi fratelli Treves dovevano essere ben consapevoli anche da giovani se, già nel 1940, Paolo lucidamente asseriva: “necessariamente […] dovevo fare della politica per il solo fatto di portare il nome di mio padre, - e son persuaso che fu politica essere stato in Italia senza diventare fascista come infiniti altri, e aver anche seguito quella attività letteraria che poteva alla lunga condurre ad uno scopo sociale”122.
118 Ibid., p. 98.
119 Dispaccio telegrafico con precedenza assoluta del 24 dicembre 1926 del Ministero dell’Interno, Ufficio
Cifra, ai Prefetti frontiera Terra et Mare, Commissari P.G. Zona Frontiera, in ACS, MI, DGPS, DAGR, UDS I, CPC, FP, b. 5210, fasc. Treves Claudio.
120 Le trascrizioni di alcune lettere spedite da Treves a vari corrispondenti sono conservate in ACS, MI,
DGPS, DAGR, UDS I, CPC, FP, b. 5210, fasc. Treves Claudio.
121 P. Treves, Profilo di Antonello Gerbi in A, Gerbi, La disputa del nuovo mondo. Storia di una polemica: 1750-1900,
nuova ed. a cura di S. Gerbi, Milano-Napoli, Ricciardi, 1983, p. XXVI. Su questo punto si veda anche A. Cavaglion, Introduzione a P. Treves, Scritti novecenteschi, p. XIII. Roberto Pertici ha giustamente osservato che la “politicità” di Piero Treves “aveva anche un significato meno immediato: […] egli percepì la crisi europea soprattutto come rottura d’una tradizione bimillenaria di cultura e di civiltà e cercò, nel suo vario lavoro, di restar fedele a tale tradizione e anzi di ritesserne le fila” (Piero Treves storico di tradizione, p. 673).
L’esempio principe della “politicità” di Paolo è rappresentato dal suo libro su La
filosofia politica di Tommaso Campanella. Fu lo stesso Croce a proporne l’uscita presso Laterza123
e il volume doveva essere dedicato “A mio padre che mi additò con l’esempio la dignità della vita”. Nonostante le reiterate rassicurazioni del filosofo, l’editore barese fu inamovibile a riguardo: “limiterò [la dedica] alle prime tre parole essenziali, non essendo opportuno motivarla allo stato attuale delle cose”. Ma non solo. Laterza continuava: “ove risultasse nel libro una qualsiasi allusione politica fuor di luogo sarà senz’altro soppressa, fosse pure nell’ultima lettura di macchina, perché non devo aver noie”124. La dedica fu, effettivamente, limitata alle prime tre parole. Eppure, malgrado la forzata prudenza dell’editore dettata dai tempi, l’idea di un Campanella “precursore della moderna democrazia per aver inteso che non più l’uomo singolo, isolato, per la forza propria del genio, è l’incarnazione dello Stato e il creatore della storia, ma anche il popolo, la massa, la collettività”125 rende ben chiara la portata politica di un libro pur filologicamente fondato.
Piero si occupava di temi che solo in apparenza potrebbero sembrare meno politici. Il 19 novembre 1931, quando ancora non aveva compiuto vent’anni, il più giovane dei fratelli Treves si laureò sotto la guida di Gaetano De Sanctis. Come si è visto nel capitolo precedente, alla scuola dell’austero professore romano in quegli anni il dibattito verteva sulla libertà degli antichi (e dei moderni). Con numerosi articoli scientifici, con la sua dissertazione di laurea e, soprattutto, con la monografia Demostene e la libertà greca che ne derivò, Piero Treves si inseriva nella disputa e lo faceva con una posizione inequivocabile: l’oratore greco era un eroe di libertà, quella libertà che in Italia, negli anni Trenta, mancava.
123 Ibid., p. 233.
124 Lettera di Laterza a Croce del 16 aprile 1930 riprodotta in B. Croce – G. Laterza, Carteggio, 3, 1921-1930,
Roma, Laterza, 2006 p. 638. In una lettera del giorno seguente il filosofo scrisse: “state tranquillo perché il lavoro è stato letto da me ed è un puro studio storico senza nessun riferimento al presente” (p. 639). Poi, in un’altra missiva, questa del 20 aprile, sempre Croce tornava sull’argomento sostenendo che Paolo Treves “è un giovane assai fine e ben educato e – cosa curiosa – senza passione politica, tutto intento agli studi e alla letteratura” (p. 640).