• Non ci sono risultati.

La figura di Demostene tra Ottocento e Novecento

Piero Treves e il suo Demostene e la libertà greca

3.1 La figura di Demostene tra Ottocento e Novecento

Mariella Cagnetta ha fatto notare come attorno alla figura di Demostene sia cresciuto, nei secoli, un “contraddittorio groviglio ideologico”. Già nella Francia del ‘700, l’Ateniese incarnava il paradigma del singolo che si erge contro il potere regale e la sua opposizione al “tirannico” Filippo gli attirò le simpatie degli avversari dell’assolutismo. Tuttavia, è nell’‘800 che “il giudizio storico sull’azione svolta dall’oratore pare riflettere senza mediazioni la posizione politica di chi lo esprime”102.

Nel 1805, in pieno clima da terza coalizione antifrancese, Barthold Georg Niebuhr tradusse, in forma anonima, la I Filippica di Demostene103. La posizione antinapoleonica era evidente e, in questo modo, si saldava l’atto di resistenza al potere forte con il nascente sentimento nazionale tedesco: ancora negli anni ’20, lo storico romantico arriverà a definire Demostene addirittura “einen heiligen, tugendhaften, erhabenen Menschen”104.

A due anni dalla morte di Niebuhr, avvenuta nel 1831, Johann Gustav Droysen formalizzava il concetto di Ellenismo: la storia greca non terminava con l’età d’oro delle poleis; anzi, la conquista macedone e l’anabasi di Alessandro esportavano i valori della grecità là dove mai erano arrivati prima, permettendo quel sincretismo culturale da cui sarebbe nato il

102 M. Cagnetta, Demostene, i simboli e la muffa, “Eikasmos”, 6, 1995, pp. 277-295, 280-281, passim.

103 A. Momigliano, Niebuhr, Barthold George in Enciclopedia Italiana, 24, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana,

1934, pp. 799-801, 800.

Cristianesimo. Inevitabile, in quest’ottica, una riconsiderazione di Filippo II ed una conseguente svalutazione del suo più fiero oppositore, Demostene.

Questa l’innovativa concezione di quello che Momigliano definirà il “primo” Droysen. Il “secondo” Droysen, invece, era quello della riedizione della Geschichte Alexanders

des Grossen del 1877. Passato per il fallimento del Parlamento di Francoforte, il professore

tedesco diventò sempre più filoprussiano e tale irrigidimento del credo politico si riverberò anche sulla sua concezione della storia greca. In particolare, a circa quarant’anni di distanza, “alla storia della evoluzione della libertà greca si sostituisce la storia dei vari tentativi di costituire uno Stato nazionale forte abbastanza da poter conquistare l’Asia”. Erano gli anni subito successivi alla vittoria di Sedan su Napoleone III e in questo modo Droysen stabiliva un evidente collegamento tra le campagne di Filippo II e quelle di Guglielmo I. Insomma, nasceva così quella storiografia “unitarista” di cui si è detto, quell’immagine della “Macedonia Prussia dell’antichità, poi divulgata, spesso con ingenuità inverosimile, da coorti di professori tedeschi”105.

Dunque, nel giro di pochi decenni, in terra germanica da un lato il patriottismo di Niebuhr aveva portato ad un’esaltazione della figura di Demostene, dall’altro le conquiste del padre di Alessandro Magno erano state ampiamente rivalutate dal nazionalismo dell’ultimo Droysen. Oltre Manica, invece, complice anche il diverso clima politico, prevalse la concezione liberale, rappresentata dalla History of Greece di George Grote. Caratteristiche (e “limiti”, secondo Leandro Zancan) dell’opera erano “la convinzione del valore assoluto dello stato liberale, la simpatia per l'espandersi della sua potenza, la fede nella cultura, e un largo ottimismo”106. Che, poi, questo “stato liberale” fosse fatto coincidere con la polis Atene, grande proprio perché democratica, era il messaggio principale che Grote voleva trasmettere.

105 A. Momigliano, Per il centenario dell’«Alessandro Magno» di J. G. Droysen. Un contributo, “Leonardo”, 4, 1933,

pp. 510-516, ora in Contributo, pp. 263-273, 267-271, passim.

Evidente, in questa ricostruzione, il ruolo di Demostene, figura in cui si riscontrava “the same combination of earnest patriotism with wise and long-sighted policy”. Dunque, patriota, politico e, ovviamente, eccelso oratore, i cui interessi erano sì ateniesi, “but in an eminent degree Pan-Hellenic also”. E questo nella misura in cui, secondo Grote, la capitale dell’Attica era l’unica polis a potersi opporre, specialmente sul piano dell’idea politica, alla monarchia di Filippo. Ed infatti, quando ad Atene fu imposta una guarnigione macedone, quando il Demos fu disperso, quando il suo ultimo rappresentante e paladino della libertà decise di suicidarsi nel tempio di Poseidone a Calauria, in quel momento finiva il mondo greco; perlomeno “as an acting and working reality”107.

Di segno diametralmente opposto era l’interpretazione che si sviluppò nei primi anni del ‘900 in Germania. O meglio, Demostene rimaneva il simbolo delle democrazie liberali, a cambiare era il giudizio proprio su queste ultime. In piena Grande Guerra, nel 1916, il filologo Engelbert Drerup pubblicava Aus einer alten Advokatenrepublik. Libro “di guerra” come lo definirà lo stesso autore, libro in cui l’antica Atene e il suo paladino Demostene divenivano gli archetipi delle “westliche Demokratien” e degli “avvocati” di Parigi e di Londra contro cui stavano combattendo gli imperi centrali. L’opera di Drerup, comunque, non era un esempio isolato e, anzi, si inseriva nella polemica nazionalistica che in quegli anni accomunava personalità come Meyer, Wilamowitz e Schwartz e che criticava “la democrazia egualitaria sortita dai principi dell’89, in difesa di una democrazia (non è chiaro fino a che punto definibile come tale) «organicistica» e fondata sulla spontanea accettazione della gerarchia, di cui il mondo germanico sarebbe la culla e il luogo di inveramento”108.

Eppure, è molto interessante notare come Demostene non sia stato giudicato positivamente solo da autori liberali e criticato da storici che sostenevano politiche

107 G. Grote, A History of Greece, 12 voll., Londra, John Murray, 1869-1870 (1a ed.: Londra, 1846-1856), XII,

pp. 247-248, passim.

autoritarie. A rovesciare questo paradigma, confermando la reversibilità dei parallelismi fin qui menzionati, ci pensò un politico: Georges Clemenceau. Perfino i suoi critici più favorevoli109 non poterono non notare i numerosi errori storici del suo Démosthène; tuttavia, qui importa sottolineare come, nel 1926, l’oratore greco potesse diventare il leader carismatico che con la sua istintiva volontarietà riesce a smuovere dal torpore il proprio popolo.

Nel novembre 1917 Clemenceau fu nominato Presidente del Consiglio e ministro della guerra affinché risollevasse le sorti della Francia in un momento difficilissimo. Nonostante l’età (all’epoca aveva 76 anni), l’energico politico francese diresse l’esercito alla vittoria, ma a costo di una politica brutalmente intransigente e della repressione di ogni tentativo di tradimento o di mediazione col nemico110. La monografia di otto anni dopo, “vera e propria summa del pensiero antidemocratico”, era contrassegnata da un esplicito spirito di “autoidentificazione apologetica”111: sminuita quella che era stata la politica di Pericle, il vero eroe della storia ateniese è Demostene (in cui si rispecchia lo stesso Clemenceau), il quale, con la sua volontà e con l’appoggio diretto del popolo, si era opposto al barbaro invasore.

La portata illiberale del Démosthène venne volutamente accentuata da Bottai, il quale non a caso recensì prontamente l’opera su “Critica Fascista”. Come ha notato sempre Mariella Cagnetta, “l’interesse principale di questa recensione risiede nel gioco di specchi dei rinvii analogici incrociati”112. Bottai scriveva infatti che nel libro dell’anziano politico francese “vivono accanto a Demostene i dominatori di tutte le epoche di lotta. Mussolini non meno,

109 G. Bottai, Ritratto di Demostene, “Critica Fascista”, 1° marzo 1926, ora in Id., Pagine di critica fascista (1915-

1926), a cura di F.M. Pacces, Firenze, Le Monnier, 1941, pp. 509-512, 509; e W. Jaeger, Demostene, Torino,

Giulio Einaudi Editore, 1942, p. 94.

110 Sulla figura di Clemenceau e sulla sua “violenta risolutezza” si veda L. Bonin-Longare, Clemenceau, George in

Enciclopedia Italiana, 10, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1931, pp. 564-565, 565.

111 M. Cagnetta, Demostene, i simboli e la muffa, pp. 287-290, passim. Su questi argomenti si veda anche P. Carlier,

Demostene, Torino, Società Editrice Internazionale, 1994, pp. 213-214 e L. Pernot, L'ombre du tigre: recherches sur la reception de Demosthene, Napoli, D'Auria, 2006, pp. 115-125.

forse più, per la perfezione a cui sta conducendo la sua opera, di Clemenceau stesso”. I tre oratori sono accomunati da “questa umanità perfetta, istintiva e spontanea, […] questa potenza della natura, ricchissima, […] questo temperamento, di getto”. Ed ecco che, come Demostene si era levato “contro l’ondata democratica, con tutto il suo animo e tutta la sua passione contro il disfacimento che si insinua per ogni fibra dell’organismo nazionale”, così “Parigi di oggi si riconosce nell’Atene di un tempo, ma in quest’Atene Roma ritrova i suoi ricordi di ieri”113. In altre parole: Mussolini era il nuovo Demostene.

Dalla fine del ‘700 agli anni Trenta del ‘900, dunque, gli storici (e non solo) hanno fornito diverse, e anzi opposte, interpretazioni della storia greca del IV secolo a.C. Filippo è stato considerato sia un barbaro invasore sia colui che ha permesso l’espansione della civiltà greca; Demostene sia il campione della libertà greca sia l’uomo forte capace di superare l’inconcludenza della democrazia. Piero Treves era conscio di questa tradizione di studi? Se sì, dove va collocato, e dove collocava egli stesso, il suo Demostene e la libertà greca? Ma prima: posto che negli ultimi due secoli i giudizi su Demostene avevano riflesso piuttosto esplicitamente l’ideologia di chi ne aveva studiato la figura, qual era il credo politico di Treves?