• Non ci sono risultati.

Mario Attilio Levi, Cesare e Eduard Meyer

Mario Attilio Levi: un confronto

4.1 Mario Attilio Levi, Cesare e Eduard Meyer

Nel 1978 Mario Attilio Levi diede alle stampe una raccolta di propri contributi, Il

tribunato della plebe e altri scritti su istituzioni pubbliche romane. Ad aprire il volume c’era una sezione

intitolata Cenni biografici. Vi si ricordava, tra le varie cose, che nel 1923 Levi “fu attratto dall’attività pratica e visse parecchi mesi la vita del funzionario sindacale, concludendo parecchi contratti di lavoro e organizzando qualche sciopero”230. Si ricordava l’allontanamento dalla cattedra di Storia romana all’Università statale di Milano in seguito alle leggi antisemite del 1938. Si ricordava, infine, la sua pluridecorata attività nella Resistenza.

Quando nel 1993 fu pubblicato il volume Il Triumvirato costituente alla fine della repubblica

romana. Scritti in onore di Mario Attilio Levi, furono Alessandra Gara e Daniele Foraboschi a

scriverne l’Introduzione. Tra gli anni ’20 e ’30, ricordano gli autori, “l’analogia passato/presente appariva particolarmente pregnante e la lotta delle idee sull’attualità politica avveniva anche scrivendo di storia antica”. Ecco allora che “non a caso nel 1933 Ottaviano Capoparte [di Levi] uscirà in contemporanea con il Demostene di P. Treves […] tutto costruito su di un concetto di libertà contrario a quello di Droysen […] e nettamente in opposizione alla realtà politica italiana del tempo”. A differenza dei lavori di Ferrabino e di Paribeni, nell’Ottaviano Capoparte “apologetica e moralismo sono assenti”.

230 M.A. Levi, Il tribunato della plebe e altri scritti su istituzioni pubbliche romane, Milano, Istituto editoriale Cisalpino

Inoltre, i due autori riportano come Levi, che aveva steso la voce su Giulio Cesare nell’Enciclopedia Italiana, si era attirato “le ire di un Mussolini personalmente attento ad ogni critico stormir di fronde dentro il suo Stato totalitario”231.

Il 28 gennaio 1998 Mario Attilio Levi venne a mancare. Parte del volume di Acme, la rivista della Facoltà di Studi Umanistici della Statale di Milano, venne dedicato allo storico che in quell’università aveva insegnato per più di tre decenni232. Sempre Foraboschi firmò due contributi. Nel primo si asseriva che, “mentre De Sanctis inseriva categorie morali di valutazione storica, Levi persegue una linea di storicismo dell’ineluttabile”233. Nel secondo, similmente, il metodo storiografico di Levi veniva equiparato ad “un’indagine anatomica [che] osserva i fenomeni storici per individuare cause ed effetti, senza minimamente sovrapporre giudizi di valore. […] Lo scienziato deve capire e non giudicare, in un certo senso deve essere a-morale”234.

Nel 2002, Pier Giuseppe Michelotto, introducendo il volume Lògios aner: studi di

antichità in memoria di Mario Attilio Levi, con più distacco scrisse: “è chiaro che si impone una

seria discussione sulla vita e sull’opera di M.A. Levi”. Il profilo del 1978, rivelava l’allievo, non era biografico ma autobiografico e “tutti sappiamo bene che anche la più sincera autobiografia rischia di risultare più deformante della verità che una tendenziosa ed esplicita agiografia”235.

Oggi, a vent’anni dalla scomparsa dello storico, nessuno ha ancora affrontato direttamente il compito di questa “seria discussione” e non lo si affronterà neppure in questa

231 A. Gara – D. Foraboschi, Introduzione a AA.VV., Il Triumvirato costituente alla fine della repubblica romana: scritti

in onore di Mario Attilio Levi, Como, New Press, 1993, pp. 7-20, 12-17, passim.

232 I Calabi Limentani, Mario Attilio Levi professore a Milano in Lògios aner. Studi di antichità in memoria di Mario

Attilio Levi a cura di P. G. Michelotto, Milano, Cisalpino, 2002, pp. 53-60.

233 D. Foraboschi, In memoria di Mario Attilio Levi (12-6-1902 – 28-1-1998), “Acme”, 51, 1998, pp. 219-220,

219.

234 Id., La lotta per il potere negli studi di Mario Attilio Levi, “Acme”, 51, 1998, pp. 231-234, 231.

235 P. G. Michelotto, Premessa a Logios aner. Studi di antichità in memoria di Mario Attilio Levi a cura di P. G.

sede. Ciononostante, anche da uno studio preliminare emerge in modo chiaro la volontaria tendenza deformante sottesa al processo di costruzione identitaria portato avanti da Levi negli ultimi decenni della sua vita. Ciò appare evidente quando si analizzino i cenni, biografici ed autobiografici, appena citati.

Se non è stato possibile, per il momento, ricostruirne l’attività sindacale (e la natura di questa attività) – a causa dell’inacessibilità di documentazione archivistica su Levi -, è utile tener presente che egli fu costretto ad abbandonare l’insegnamento universitario nel 1938 perché di origine ebraica; che, almeno dal settembre 1944, egli partecipò attivamente alla Guerra di Liberazione nelle fila del Gruppo di Combattimento Friuli, venendo per di più decorato per meriti militari236; che, infine, la voce Cesare, Gaio Giulio, redatta da Levi per l’Enciclopedia Italiana nel 1931, provocò l’irritazione di Mussolini, il quale, in seguito a due delazioni (una inviata da Cornelio di Marzio sul finire del 1932 e la seconda, anonima, dell’inizio dell’anno successivo), il 17 febbraio 1933 scriveva stizzito al ministro Francesco Ercole: “non intendo che la storia di Roma sia «massacrata» a scopi fazioni, dagli antifascisti, cattolici od ebrei che siano. C’è già troppo inquinamento nelle Università”237.

Ad ogni modo, su quest’ultimo punto conviene fare chiarezza.

236 M.A. Levi, Il Gruppo di Combattimento “Friuli” nella guerra di liberazione, Roma, Centro studi e ricerche storiche

sulla guerra di liberazione, 1997, in part. pp. 24 e 164; A. d’Orsi, Alla ricerca della cultura fascista. Un intellettuale

fra editoria e giornalismo (1922-1935), in Torino tra liberalismo e fascismo, a cura di U. Levra, N. Tranfaglia, Milano,

F. Angeli, 1987, pp. 375-619, 619 n. 514; F. Merlini, 14 aprile 1945 – Un alpino tra i liberatori di Imola, “Terza Pagina”, 10, novembre 1993, pp. 8-9. Già il 13 agosto 1944 De Sanctis aveva scritto a Momigliano: “so invece che sono stati reintegrati nell’Ufficio i professori ebrei e di questo atto di giustizia mi rallegro vivamente. So che il decreto di reintegrazione è stato inviato ad Almagià e anche a M. A. Levi il quale, come saprai, si è schierato fattivamente fra i patrioti” (L. Polverini, Momigliano e De Sanctis, p. 29).

237 La vicenda è ricostruita in M. Cagnetta, Antichità classiche nell’Enciclopedia italiana, Bari, Laterza, 1990, pp.

Dopo essere stato molto vicino a Gobetti negli anni 1920-1922238, Levi prima della marcia su Roma aderì al fascismo239. All’interno del Fascio di Torino esistevano due correnti distinte e contrapposte. La prima, in senso cronologico, derivava dagli ambienti del sindacalismo estremista o della sinistra anarchica, i cui membri, “sinceramente mussoliniani”240, erano guidati da un ex-tipografo, Mario Gioda. La seconda, invece, era diretta emanazione di Cesare Maria De Vecchi e aveva carattere conservatore, nazionalista, clericale e monarchico. Nell’ambito del continuo contrasto tra queste due, Levi dovette senza dubbio schierarsi con la fazione di “destra”. Anzi, egli dovette essere personalmente molto vicino allo stesso quadrumviro se nell’aprile 1923, allontanato Gioda dalla direzione de “Il Maglio” (il quotidiano del Fascio torinese), proprio Levi, insieme al fratello di De Vecchi e a pochi altri, entrò a far parte del comitato di redazione241. Tre, tre anni dopo, nel 1925, Levi figura come membro del Consiglio direttivo dell’Istituto fascista di cultura di Torino, Consiglio all’epoca presieduto da De Vecchi242.

Certo, De Vecchi ebbe più volte motivi di dissenso profondo con Mussolini243, ma un giovane storico a lui vicinissimo che ragioni aveva di infastidire il Capo del Governo? La risposta è: nessuna.

238 Levi figura nel comitato di redazione di “Energie Nove” fin dal primo numero (L. Basso – L. Anderlini (a

cura di), Le riviste di Piero Gobetti, Milano, Feltrinelli, 1961, p. LXIII). In una lettera del 18 febbraio 1920 Gobetti scriveva a Santino Caramella: “a Torino ho una decina di amici (Fubini, M. Marchesini, A. Marchesini, A. Prospero, E. Valla, M.A. Levi, N. Sapegno, G. Stolfi, e qualche altro meno attivo) che potrebbero lavorare con me. Vengono a casa mia, discorrono, discutono, pensano” (P. Gobetti, Carteggio

1918-1922 a cura di E. Alessandrone Perona, Torino, Einaudi, 2003, p. 99); in un’altra lettera, inviata a

Natalino Sapegno il 2 ottobre 1920, Gobetti affermava: “in questi giorni per es. si è in molta intimità con Manfredini, M.A. Levi, C. Levi, Ravera” (Ibid., p. 168). L’ultima lettera di Levi a Gobetti è datata 21 agosto 1922. Il giovane storico stilò quattro articoli per “La Rivoluzione Liberale”: Letture politiche, A. 1, n. 14 (21/5/1922), p. 54; La politica estera del Nazionalismo, A. 1, n. 27 (20/9/1922), p. 100; Note di politica interna, A. 1, n. 26 (10/9/1922), p. 98; I contadini del Nord, A. 1, n. 28 (28/9/1922), p. 104. Dopo questa data,

significativamente, non sono registrati ulteriori contatti tra i due.

239 G. A. Chiurco, Storia della rivoluzione fascista 1919-1922, I, Firenze, Vallecchi, 1929, p. 403. Nel 1936 De

Vecchi definirà Levi come appartenente a “quella schiera di fascisti della vigilia” (vedi infra).

240 R. De Felice, I fatti di Torino del dicembre 1922, “Studi storici”, 4, 1963, pp. 51-122, 59.

241 E. Mana, Origini del fascismo a Torino (1919-1926), in Torino tra liberalismo e fascismo, a cura di U. Levra, N.

Tranfaglia, Milano, F. Angeli, 1987, pp. 237-373, 283.

242 A. d’Orsi, Alla ricerca della cultura fascista, p. 559 n. 140. Su queste basi mi sembra ormai impossibile

concordare con Canfora quando colloca Levi nella “sinistra” fascista (Ideologie del Classicismo, p. 82).

243 I due si scontrarono fin dal maggio del 1921 (Mana, Origini del fascismo a Torino, p. 269) e poi, a fasi alterne,

Sulle pagine dell’Enciclopedia Italiana, il neppure trentenne Levi era stato assai esplicito. Di fronte alla crisi delle istituzioni repubblicane, Cesare aveva tentato di instaurare una monarchia assoluta e teocratica. Tuttavia, “la soluzione che egli imponeva [era] estranea allo spirito della romanità”. Ecco dunque che “la sua opera costituzionale fu antistorica e il pugnale di Bruto vendicò i diritti d’una tradizione secolare”244.

Non era, peraltro, un punto di vista nuovo: anche due anni prima, nel 1929, nella narrazione di Levi era stato Ottaviano ad assumere la parte del difensore della legalità e la sua era stata “una ripresa delle direttive di Pompeo contro Cesare”245. Nel giudicare l’operato di Cesare, il fascista Levi semplicemente portava avanti la posizione della scuola da cui proveniva. Come ricorderà Momigliano nel profilo biografico dedicato a Beloch, il fatto che il professore tedesco si fosse trasferito fin da giovane in Italia gli aveva permesso di sottrarsi a “quella «tirannia del Mommsen» che lasciò il suo segno sui contemporanei d'oltralpe”246. Al contrario, Beloch era stato amico personale di Eduard Meyer247, tanto che gli aveva dedicato il terzo volume della sua Griechische Geschichte. Nella Römische Geschichte di Mommsen “Cesare è l’eroe che viene a sanare le contraddizioni altrimenti irrisolvibili della repubblica nel suo declino. Egli rappresenta […] il momento più alto e quasi conclusivo della storia di Roma”248. Posto questo, Levi, allievo di De Sanctis, a sua volta allievo di Beloch, già nel 1924 affermava che, per quanto riguarda gli studi sulla caduta della repubblica romana, “è dal Meyer che

Cesare Maria in Dizionario Biografico degli Italiani, 39, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1991, pp. 522-

31).

244 M.A. Levi, Cesare, Gaio Giulio in Enciclopedia Italiana, 9, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1931, pp.

867-873, 872.

245 Id., Augusto, Roma, A. F. Formiggini, 1929, p. 29.

246 A. Momigliano, Beloch, Karl Julius, in Dizionario Biografico degli Italiani, 8, Roma, Istituto della Enciclopedia

italiana, 1966, pp. 32-45, ora in Terzo contributo, I, pp. 239-265, 248.

247 Secondo Leandro Polverini, Meyer fu “il solo vero amico che [Beloch] ebbe nella Germania scientifica”

(Introduzione a Aspetti della storiografia di Giulio Beloch, a cura di L. Polverini, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 1990, pp. 11-18, 16). Sul rapporto tra i due studiosi tedeschi si veda, sempre di Polverini, Il carteggio Beloch-

Meyer in L'antichità nell'Ottocento in Italia e Germania, a cura di K. Christ e A. Momigliano, Bologna, Il mulino e

Berlino, Duncker & Humblot, 1988, pp. 199-219.

248 E. Gabba, Cesare e Augusto nella storiografia italiana dell’Ottocento in Romische Geschichte und Zeitgeschichte in der

deutschen und italienischen Altertumswissenschaft wahrend des 19. 20. Jahrhunderts. Caesar und Augustus a cura di K.

Christ – E. Gabba, Como, Edizioni New Press, 1989, pp. 49-70, 61. A riguardo si veda anche Id., Cesare e

dovremo partire per scrivere e per insegnare”. E, se teniamo conto che nell’opera del filologo di Amburgo “viene magnificata la figura eroica dell’uomo lottante contro la storia e contro la tradizione, viene esclusa la falsa concezione di Cesare fondatore dell’impero”249, ecco allora che si capisce il giudizio che, sette anni dopo, Levi darà sull’opera “antistorica” di Giulio Cesare.

A riprova del fatto che si trattasse di una posizione meramente storiografica più che politica e a riprova della continuità interna alla “scuola” (Beloch>De Sanctis>Levi), sta la recensione positiva che De Sanctis dedicò alla pubblicazione dell’allievo. La rassegna di Levi era “eccellente” e, in particolare, era notevole “l’acuta analisi critica (la migliore che io conosca in Italia) del libro fondamentale di Edoardo Meyer Caesars Monarchie und das Principat

des Pompejus”250.

Insomma, la questione era diventata politica dopo le delazioni arrivate a Mussolini. Il devecchiano Levi non aveva alcun motivo per dare una lettura antifascista della figura di Cesare, come farà invece Piero Treves tre anni dopo251. E ciò è tanto più evidente quando si consideri che in seguito alla polemica, provocata involontariamente, Levi cambierà gradualmente ma radicalmente il proprio punto di vista in materia.

Il 19 febbraio 1933, a soli due giorni dalla citata lettera di Mussolini ad Ercole, uscì su “Italia letteraria”, rivista diretta proprio da Di Marzio, un intervento di Levi intitolato

Dottrina del fascismo. Si trattava di un articolo militante e perfettamente allineato con il regime,

in cui lo storico commentava con toni estremamente positivi la voce Fascismo, che lo stesso Mussolini aveva firmato, nell’Enciclopedia Italiana. Cesare non era citato e non si entrava nel dettaglio storiografico, ma Roma era vista come l’esperienza del mondo classico in cui “si

249 M. A. Levi, La caduta della repubblica romana. Rassegna degli studi recenti, “Rivista Storica Italiana”, 1924, pp.

253-272, 266-267, passim.

250 G. De Sanctis, M.A. Levi intorno agli studi recenti sulla caduta della Repubblica Romana, “Rivista di Filologia

classica”, N. S., 3, 1925, p. 153 ora in Id., Scritti minori, VI.2, a cura di A. Ferrabino e S. Accame, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1972, p. 710.

trovano le ragioni e i più profondi motivi ideali della concezione che l’Italia fascista va affermando in Europa”252.

L’anno successivo, in una rassegna intitolata Roma negli studi storici italiani, lo studioso torinese prendeva apertamente le distanze dal Maestro. Quando ormai l’esaltazione della Roma antica era una strategia di regime ben consolidata, Levi scriveva: “le premesse ideali politiche del De Sanctis lo portavano, nello scrivere la storia di Roma, ad esaltare ideali estranei alla romanità”. Ciò che invece occorreva fare “per ritrovare la complessa visione del valore storico di Roma e della sua missione” era

Ricorrere al già menzionato scritto di Mussolini253, ricco di una precisione e concretezza di giudizio e

di una dottrina storico-politica che la storiografia moderna deve trarre ad esempio nei suoi studi romani: scritto che costituisce la prima, se non l’unica, testimonianza che sinora si abbia di una interpretazione della storia di Roma realmente aderente allo spirito della nuova civiltà italiana254.

Nel 1936, l’anno della “riapparizione dell’Impero sui colli fatali di Roma”, Levi pubblicava una monografia dedicata proprio a La politica imperiale di Roma.La prefazione al libro era firmata dal Ministro dell’Educazione Nazionale, Cesare Maria De Vecchi di Val Cismon: “Mario Attilio Levi è di quella schiera di fascisti della vigilia che hanno saputo maneggiare con lo stesso spirito il libro ed il pugnale, battersi nelle squadre e studiare seriamente”255. Specialmente nella parte iniziale e in quella finale del volume, il confronto fra

252 M.A. Levi, Dottrina del fascismo, “L’Italia letteraria. Settimanale di Lettere, Scienze ed Arti”, 19 febbraio

1933, p. 1.

253 B. Mussolini, Roma antica sul mare: lezione tenuta il 5 ottobre 1926 nella sala dei notari di Perugia agli iscritti alla

Regia Università italiana per stranieri, Milano, A. Mondadori, 1926. Questa prolusione è stata definita “banale” da

Luciano Canfora. Nondimeno, proprio il fatto di indicarla come modello paradigmatico per gli studi romani in Italia, dimostra come Levi ne avesse colto “il valore di mera direttiva politica, indipendentemente dal suo specifico contenuto” (L. Canfora, Ideologie, pp. 93-94, passim).

254 M.A. Levi, Roma negli studi storici italiani, “L’Erma”, 5, 1934, pp. 503-537, 516-518, passim.

255 C. M. De Vecchi di Val Cismon, Prefazione a La politica imperiale di Roma di M.A. Levi, Torino, G.B. Paravia,

l’Impero romano e quello fascista si faceva “davvero esplicito”256 e la figura di Cesare era ormai distantissima da quella tratteggiata nella voce enciclopedica. L’opera del dittatore romano non era più “antistorica”, anzi. Egli diventava l’“Eroe della rivoluzione imperiale”. Rivoluzione che “risolveva il problema fondamentale della politica di impero”. Levi passava da una visione critica di Cesare ad un’esaltazione che lasciava spazio anche a parallelismi apologetici con il contemporaneo regime fascista:

Nessuna creazione umana fu mai così compiuta nella sua universalità come lo Stato imperiale di Roma, e, di questo Impero, Cesare non fu soltanto il fondatore, ma il simbolo: esempio perfetto della umana attitudine al comando politico, dello Stato che si impersona nell’individuo e della personalità dominante che si transumana nello Stato. […] Questo […] il Cesare che la nuova Roma ha ricondotto sulla via dell’Impero, nell’atto augusto del saluto che sembra propiziatorio per la rinascita del primato imperiale257.

Due anni dopo, infine, nella prima Appendice dell’Enciclopedia Italiana, Levi tornava su Giulio Cesare. E lo faceva, di fatto, confutando se stesso e le proprie scelte storiografiche:

Dopo il periodo in cui le teorie del Meyer furono accettate con un consenso pressoché generale, una più matura e vigile critica cominciò a rivedere molte delle sue posizioni. […] Indagini di carattere filologico-giuridico hanno potuto, in seguito, tendere a dimostrare che la supremazia di C[esare] era

all’Università di Torino. Nonostante Levi potesse contare sull’appoggio di De Vecchi, all’epoca Ministro dell’Educazione Nazionale, la commissione assegnò il posto a Momigliano (a riguardo si veda C. Dionisotti,

Ricordo di Arnaldo Momigliano, pp. 88-91).

256 L. Polverini, L’impero romano – antico e moderno, p. 155.

257 M.A. Levi, La politica imperiale di Roma, pp. 220-230, passim. Su quest’opera Mario Mazza ha scritto: “tolto il

capitolo iniziale e finale, pistolotti retorico-politici di ossequio al regime – e la orripilante prefazione del De Vecchi – Levi scriveva cose non particolarmente nuove anzi abbastanza risapute sull’imperialismo romano. […] Il guaio – e la corruzione intellettuale – stava nel pedaggio da pagare alla mitologia del regime” (M. Mazza, Augusto in camicia nera. Storiografia e ideologia nell’era fascista, “Revista de historiografia”, 27, 2017, pp. 107- 125, 124). A riguardo si veda anche G. Clemente, Fascismo, colonialismo e razzismo: Roma antica e la manipolazione

fondata anche su elementi di diritto pubblico che, pur nella loro sostanza rivoluzionaria, rientravano nella tradizione costituzionalistica repubblicana258.

Concludendo, possiamo affermare che, per ragioni tutto sommato indirette, la posizione storiografica meyeriana non poteva più essere in linea con l’idea di Roma antica che il fascismo stava costruendo. Ecco allora che il devoto Levi faceva sfoggio dei propri “meriti” fascisti e, inoltre, abbracciava la posizione che era risultata più ortodossa proprio dal dibattito che lui aveva, involontariamente, innescato.