• Non ci sono risultati.

La Carta Africana sui Diritti e il benessere del minore

Un’ altro documento che fa riferimento alla kafala è la Carta Africana

sui Diritti e il benessere del minore, adottata dalla Conferenza dei Capi

di Stato e di Governo dell’Organizzazione per l’Unità Africana ad Addis Abeba l’11/07/ 1990 ed entrata in vigore il 29 novembre 1999.

Con la suddetta Carta gli Stati dell’Unione Africana riconoscono l’importanza dei diritti umani e della condizione del minore nel continente in relazione alle circostanze socio economiche, tradizioni e di sviluppo, conflitti armati e condizioni di sfruttamento già in tenera età, mettendo nero su bianco delle misure appropriate per promuovere e proteggere i suoi diritti e il suo benessere.

Si compone di 48 articoli e fa riferimento alla Dichiarazione sui diritti e

il benessere dei minori africani firmata dai Capi di Stato dell’OUA alla

sedicesima sessione ordinaria a Monrovia, in Liberia nel 1979.

All’art. 24 del trattato è regolamentato l’istituto dell’adozione tra i Paesi aderenti alla Convenzione per la salvaguardia dell’interesse supremo del minore.

Al punto b si identifica l’adozione internazionale come “extrema

ratio” per assicurare una degna vita al minore nell’eventualità in cui il

minore non possa essere collocato in una famiglia affidataria o adottiva nel suo Paese d’origine.

Quindi da questo punto si evince che l’istituto abituale per la tutela dei minori nei Paesi Africani sia la kafala e, ove previsto, l’adozione nel Paese d’origine.

CAPITOLO III

LA KAFALA NEGLI ORDINAMENTI EUROPEI

SOMMARIO. 1.La Kafala in Europa: l’articolo 8 della CEDU.

1.1 La Direttiva 2004/38 CE. 2.La kafala in Italia. 2.1

L’evoluzione normativa dell’adozione con la Convenzione

dell’Aja del 1993 in Italia: dalla legge n. 184/1983 alla legge

n. 476/1998. 2.2 L’Italia e la ratifica della Convenzione

dell’Aja del 1996. 2.3 L’Italia si confronta per la prima volta

con la kafala: il Caso Trento.2.4

L’evoluzione della

giurisprudenza italiana sulla kafala: la Corte d’Appello di

Trento si pronuncia sul ricongiungimento familiare. 2.5 La

Corte d’Appello di Ancona non si uniforma all’orientamento

della Corte di Cassazione sull’istituto della kafala. 2.6 La

Corte di Cassazione muta orientamento sulla kafala. 3. La

kafala in Francia. 3.1 L’affaire Harroudij vs. France.

3.2 La

tutela del minore sottoposto a istituti diversi dall’adozione.

4.La kafala nel Regno Unito. 4.1 Il caso United Kingdom vs.

Thour Ali (1986). 4.2

La sentenza C-129/2018 della Corte di

giustizia dell’Unione europea. 5.La kafala in Spagna. 6.La

kafala in Germania. 7. La kafala in Belgio. 7.1

L’Affaire

Chbihi Loudoudi vs.

Belgium. 7.2. Il caso Y.B. e N.S. vs.

Belgium C-12/2017.

8. La Kafala in Svizzera. 9. La Kafala in

Lussemburgo. 9.1. L’affaire Wagner c. Lussemburgo del 28

giugno 2007. 10. La Kafala nei Paesi Bassi. Conclusioni.

1. La Kafala in Europa: l’articolo 8 della CEDU.

Il riconoscimento della kafala all’interno dell’Unione Europea è ricollegato all’articolo 8 della CEDU (Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo) che recita: ”Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza. Non può esservi ingerenza di un’autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui”.

La Corte Europea si è pronunciata più volte sull’argomento evidenziando come debbano essere gli ordinamenti dei singoli Stati membri a provvedere ad un giusto bilanciamento tra la tutela del minore e gli interessi statali; evidenziando come i primi abbiano un

ampio margine di apprezzamento sulla questione controversa, non essendo riscontrabile un’univocità di vedute tra i Paesi aderenti alla Convenzione.

Dalla lettura dei provvedimenti della CEDU in materia, si evince un’interpretazione dell’art. 8 distante dal riconoscimento di un vero e proprio “diritto di adottare” imposto allo Stato, fondato sull’assunto che il diritto da tutelare sia quello del minore ad avere una famiglia e non viceversa.

Questa eterogeneità tra gli ordinamenti dei vari Paesi europei è dovuta, in parte, alla mancata disciplina della kafala nel regolamento CE 2201/2003 in materia di riconoscimento delle decisioni di affidamento dei minori, con il quale si giunge alla ratifica ed entrata in vigore della Convenzione dell’Aja da parte dei Paesi membri.

1.1 La Direttiva 2004/38 CE.

Con la Direttiva 2004/38 CE, l’Unione Europea ha, inoltre, sancito il diritto di libera circolazione sul suo suolo dei cittadini dell’UE e dei loro discendenti diretti. Il comma 5 della direttiva, infatti, sancisce il diritto dei familiari del cittadino europeo di muoversi liberamente all’interno dell’Unione: “Il diritto di ciascun cittadino dell'Unione di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri presuppone, affinché possa essere esercitato in oggettive condizioni di libertà e di dignità, la concessione di un analogo diritto ai familiari, qualunque sia la loro cittadinanza.

Ai fini della presente direttiva, la definizione di «familiare» dovrebbe altresì includere il partner che ha contratto un'unione registrata,

qualora la legislazione dello Stato membro ospitante equipari l'unione registrata al matrimonio”.27

Questa possibilità, però, è stata negata al makful affidato in kafala, non considerato discendente diretto del kafil in quanto risulti assente il legame di filiazione.

Questo mancato riconoscimento del minore in regime di kafala comporta il rigetto della domanda di ricongiungimento familiare, anche se dal 26 febbraio 2019 l’orientamento della Corte di Giustizia è mutato.

Al comma 6 della direttiva, infatti, il Parlamento e il Consiglio dell’Unione Europea specificano: “Per preservare l'unità della famiglia in senso più ampio senza discriminazione in base alla nazionalità, la situazione delle persone che non rientrano nella definizione di familiari ai sensi della presente direttiva, e che pertanto non godono di un diritto automatico di ingresso e di soggiorno nello Stato membro ospitante, dovrebbe essere esaminata dallo Stato membro ospitante sulla base della propria legislazione nazionale, al fine di decidere se l'ingresso e il soggiorno possano essere concessi a tali persone, tenendo conto della loro relazione con il cittadino dell'Unione o di qualsiasi altra circostanza, quali la dipendenza finanziaria o fisica dal cittadino dell'Unione”.28

Quindi l’Unione Europea lascia all’ordinamento del singolo Stato membro la decisione sulla base delle proprie politiche migratorie.

27 Eur-lex, DOCUMENT 32004L0038R(01), DIRETTIVA 2004/38 CE COMMA 5)

CITAZIONE.

28EUR-LEX, Document 32004L0038R(01), DIRETTIVA 2004/38 CE COMMA 6) CITAZIONE.

In realtà, tuttavia, questa discrezionalità degli Stati membri è ampiamente mitigata dal diritto europeo che ha nella Corte di Giustizia la sua massima espressione giurisdizionale. Di seguito analizzeremo la posizione degli ordinamenti dei principali Stati europei in materia. 29