• Non ci sono risultati.

Migrazioni e Diritti. L'istituto della kafala negli Ordinamenti Europei

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Migrazioni e Diritti. L'istituto della kafala negli Ordinamenti Europei"

Copied!
115
0
0

Testo completo

(1)

UNIVERSITA’ DI PISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di laurea in Giurisprudenza

Migrazioni e Diritti.

L’istituto della kafala negli Ordinamenti Europei.

Il Candidato

Il Relatore

Maria Pisano Paolo Passaglia

A.A. 2018/ 2019

(2)
(3)

Indice

PREFAZIONE ... 5

CAPITOLO I ... 8

LA KAFALA NEGLI ORDINAMENTI ARABO - MUSULMANI... 8

1. La Kafala nella Shar’ia. ... 8

2. La Kafala nel Regno del Marocco. ... 12

3. La Kafala nella Repubblica Democratica e Popolare Algerina. ... 18

4. La Kafala nella Repubblica di Tunisia. ... 21

1.5. La kafala in Libia. ... 25

6. La kafala in Egitto... 27

CAPITOLO II ... 29

LA TUTELA DEL MINORE NEL DIRITTO ... 29

INTERNAZIONALE: LA KAFALA. ... 29

1. La Convenzione Onu sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza. ... 29

2. La Convenzione dell’Aja del 1996: la Kafala. ... 32

2.2 La Convenzione dell’Aja 1993 e le Adozioni internazionali. ... 35

3. La Carta Africana sui Diritti e il benessere del minore. ... 39

CAPITOLO III ... 40

LA KAFALA NEGLI ORDINAMENTI EUROPEI ... 40

1.1 La Direttiva 2004/38 CE. ... 42

2. La Kafala in Italia. ... 44

2.1.L’evoluzione normativa dell’adozione con la Convenzione dell’Aja del 1993 in Italia: dalla legge n. 184/1983 alla legge n. 476/1998. ... 46

2.2 L’Italia e la ratifica della Convenzione dell’Aja del 1996. ... 47

2.3 L’Italia si confronta per la prima volta con la kafala: il Caso Trento. ... 52

2.4 L’evoluzione della giurisprudenza italiana sulla kafala: la Corte d’Appello di Trento si pronuncia sul ricongiungimento familiare. ... 54

2.5 La Corte d’Appello di Ancona non si uniforma all’orientamento della Corte di Cassazione sull’istituto della kafala. ... 55

2.6 La Corte di Cassazione muta orientamento sulla kafala. ... 58

3. La Kafala in Francia ... 61

3.1 L’affaire Harroudij vs. France... 62

3.2 La tutela del minore sottoposto a istituti diversi dall’adozione. ... 65

4.La Kafala nel Regno Unito ... 69

(4)

4.2 La sentenza C-129/2018 della Corte di Giustizia dell’Unione Europea. .... 74

5.La Kafala in Spagna ... 77

6. La Kafala in Germania ... 81

7.La Kafala in Belgio ... 85

7.1 L’Affaire Chbihi Loudoudi vs. Belgium. ... 87

7.2. Il caso Y.B. e N.S. vs. Belgium ... 90

8. La Kafala in Svizzera ... 95

9. La kafala in Lussemburgo... 99

9.1. L’affaire Wagner c. Lussemburgo del 28 giugno 2007. ... 101

10. La Kafala nei Paesi Bassi ... 103

CONCLUSIONI ... 105

FONTI BIBLIOGRAFICHE ... 108

(5)

PREFAZIONE

L’elaborato nasce dalla graduale presa di coscienza della complessità delle attuali politiche migratorie, a seguito di un lavoro concreto sul campo che ha posto l’accento non solo sul processo d’integrazione dei minori immigrati e delle loro famiglie ma anche sui problemi legati al loro riconoscimento da parte delle autorità competenti dei paesi di destinazione.

Constatato l’aumento dei flussi migratori verso l’Europa dai paesi dell’area del Maghreb, la tesi si propone di analizzare i termini del riconoscimento dei minori presi in cura attraverso l’istituto islamico della kafala da parte dei principali Stati europei d’accoglienza, ivi compresa l’Italia.

Si parte da un’indagine storico-religiosa sulle origini dell’istituto islamico che comincia dalla Shari’a per poi evolversi nei secoli, fino all’attuale disciplina degli ordinamenti giuridici di Marocco, Tunisia, Algeria, Egitto e Libia, soffermandosi anche sugli usi impropri della

kafala talvolta riscontrati nell’area.

Data la grande risonanza della kafala a seguito dei processi migratori dell’ultimo ventennio, cenni ad istituti affini all’adozione si rinvengono anche nei principali trattati internazionali in materia di tutela del minore, tra cui le Convenzioni dell’Aja del 1993 e 1996, la Convenzione Onu sui diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, perfino la Carta Africana sui Diritti e il benessere del minore.

(6)

Si propone, dunque, un’analisi attenta della misura in cui i trattati, in particolare le disposizioni relative alla kafala, siano stati recepiti e ratificati dai principali Stati europei.

A tal proposito decisiva è la Direttiva 2004/38 CE e il suo effettivo recepimento da parte degli ordinamenti dei paesi in esame.

L’applicazione della Cedu, della sopracitata direttiva e delle Convenzioni internazionali da parte degli Stati europei, è posta sotto la lente d’ingrandimento mediante l’analisi delle decisioni dei tribunali nazionali dei singoli paesi e delle pronunce della Corte di Giustizia dell’Unione Europea e del Comitato per i Diritti Umani delle Nazione Unite, al fine di verificare la loro compatibilità con gli ordinamenti giuridici interni e l’effettiva tutela del minore sottoposto a kafala.

Alla luce di questa analisi comparativa tra due realtà giuridiche e sociali a tratti molto diverse come gli ordinamenti arabo-musulmani e gli ordinamenti prettamente occidentali dell’Europa, emerge con tutte le sue criticità la difficoltà nel trovare un punto di congiunzione tra gli istituti dell’adozione e della kafala capace di assicurare il best interest dei minori che si trovano, loro malgrado, a cavallo tra due mondi.

(7)

(8)

CAPITOLO I

LA KAFALA NEGLI ORDINAMENTI ARABO - MUSULMANI

SOMMARIO: 1. La Kafala nella Shar’ia. 2. La Kafala nel

Regno del Marocco. 3. La Kafala nella Repubblica

Democratica e Popolare Algerina. 4. La Kafala nella

Repubblica di Tunisia. 5. La kafala in Libia. 6. La kafala in

Egitto.

1. La Kafala nella Shar’ia.

La kafala è un istituto giuridico tipico degli ordinamenti di diritto islamico. Si caratterizza per l’affidamento di un minore, denominato

makful, alla protezione di un soggetto detto kafil, identificato di solito

nella persona di un parente che ne curerà l’istruzione e la crescita. Elemento proprio dell’istituto è la mancata instaurazione di un legame parentale tra i due soggetti, poiché il makful non rescinde il legame di sangue con la famiglia di origine.1

Condizioni fondanti sono la dichiarazione d’abbandono del minore e l’accertamento della persona del kafil, che deve aver raggiunto la maggiore età al momento della richiesta di kafala, deve professare la religione musulmana, e dare dimostrazione di possedere la capacità

1 Badrane K. “Il codice di famiglia in Marocco”, Libreriauniversistaria.it edizioni, 2014, pp.9-11.

(9)

finanziaria necessaria ad assicurare al makful una buona crescita. I genitori o il genitore, essendo l’istituto ammesso anche in caso di monogenitorialità, si obbligano dinanzi al giudice a provvedere alle necessità del minore abbandonato, con la particolarità che il makful non entrerà a far parte della famiglia in senso giuridico e di conseguenza non figurerà tra gli eredi del kafil, a meno che quest’ultimo non lo menzioni espressamente nella successione testamentaria. L’origine della kafala è da ricercare nel Corano che vieta espressamente l’adozione, istituto di cui non v’è traccia nel diritto islamico, ma identifica il buon musulmano in colui che aiuta i più indigenti, primi fra tutti gli orfani.

Il divieto è riscontrabile al verso 37 della Sura XXXIII del testo sacro, narrante un episodio della vita di Maometto e il suo figlio adottivo Zayd,il quale fu acquistato come schiavo da Khadija, prima moglie del profeta, e donatogli in tempi anteriori alla prima rivelazione coranica. Si racconta di come Maometto fu turbato dalla bellezza della moglie di suo figlio adottivo Zayd, intenta nelle faccende di casa.

2La nuora si accorse dei sentimenti provati dal suocero e ne informò il

marito, che prontamente decise di ripudiarla per consentire al profeta di dichiarare il suo amore, essendo vietato contrarre matrimonio in

2 “…per i credenti non sia peccato sposare le mogli dei figli adottivi quando essi

abbiano messo a posto ogni cosa, chiarificandola, a loro riguardo. L’ordine di Dio non può essere discusso”, verso 37 Sura XXXIII.

”Dio non ha posto nelle viscere dell’uomo due cuori, né ha fatto dei vostri figli adottivi dei veri figli.” Verso 4 Sura XXXIII

“Chiamate i vostri figli adottivi dal nome dei loro veri padri, questo è assai più giusto davanti a Dio. E se non conoscete i loro padri, siano essi vostri fratelli nella religione e vostri protetti”, verso 5 Sura XXXIII.

(10)

caso di vincoli parentali stretti, eccetto i matrimoni preferenziali tra cugini.

Successivamente, una Rivelazione coranica svelò al Profeta la non equiparabilità della parentela adottiva a quella agnatizia, con la conseguenza che nessun legame parentale vigeva tra Maometto e sua nuora che infine si sposarono.

Da tale testimonianza si ricava che il rapporto di filiazione nel diritto islamico si basa esclusivamente sull’elemento biologico, sull’assunto del precetto che sancisce la divinità della famiglia fondata sul vincolo del matrimonio e sulla procreazione come volontà di Dio, ne consegue la totale assenza di istituti legati alla filiazione illegittima, in aperto contrasto con gli ordinamenti eurocentrici.

Il kafil assume un ruolo identificato con la figura del tutore nel nostro ordinamento, quindi non è titolare della potestà genitoriale e non diviene il rappresentante legale del minore al pari di un genitore. Inoltre la situazione di convivenza abituale e stabile creatasi con l’istituto è soggetta a revoca una volta che il makful abbia raggiunto la maggiore età; dunque si qualifica come una soluzione temporanea. La tipologia di kafala più diffusa nei paesi islamici è quella consensuale o notarile, svolta davanti a due notai (adoul), data da un patto tra la famiglia d’origine del minore e quella d’accoglienza stipulato davanti ad un giudice o un notaio, volta a formalizzare i trasferimenti all’interno del cerchio di parentela, non versando i minori in stato d’abbandono ed essendo i genitori conosciuti. In detto campo applicativo l’istituto è equiparabile alla nostra fideiussione. Il ricorso alla kafala come mezzo di protezione dei minori prende piede nel periodo

(11)

post-coloniale, contrassegnato dal ritorno alla legislazione previgente di stampo islamico che vietava l’adozione.

Durante il colonialismo, infatti, gli Stati dell’area del Maghreb avevano preso ad utilizzare l’adozione intesa come creazione di un legame artificiale di filiazione. La kafala tradizionalmente era utilizzata quale strumento negoziale in materia contrattuale. Durante la decolonizzazione gli studiosi hanno cercato di elaborare un punto di incontro tra i precetti del Corano propri del diritto islamico e quelli più moderni del diritto occidentale, che spingevano verso un riconoscimento del minore come figlio legittimo, futuro erede del padre adottivo.

Questa pratica è molto diffusa nell’area del Maghreb, dov’è consuetudine all’interno della famiglia che un membro più fortunato nel numero di prole, o per riequilibrare la distribuzione dei sessi al suo interno, affidi uno dei suoi figli ad un kafil sterile tramite kafala.

Detta prassi si svolge anche nel quadro dell’attuale migrazione e di solito coinvolge i minori in età adolescenziale affidati ad un parente emigrato3. Non è necessaria l’omologazione giudiziale, che

può essere eventualmente richiesta dopo la nascita del rapporto e dalle coppie unite in matrimonio da almeno tre anni.

Una volta verificata l’idoneità dei genitori, la pratica viene affidata al giudice minorile incaricato di sorvegliare il buon andamento della vita

3 Guimezanes N., “Comparative analysis of the legislation and the procedures

governing the immigration of family members in certain OECD countries”, in OECD: Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, 2017, pp.128-130.

(12)

famigliare del bambino. Questa misura rimarca la macroscopica differenza tra adozione e kafala, essendo il makful sottoposto alla sorveglianza del giudice per la tutela dei minori per tutto l’arco dell’affidamento alla nuova famiglia, situazione non presente nell’istituto dell’adozione.

Un altro tipo di kafala è quella giudiziaria, pronunciata da un giudice minorile in caso di minori abbandonati di parentela sconosciuta. La

kafala risulta regolamentata in modo pressochè uniforme in tutti gli

ordinamenti arabo-musulmani.

2. La Kafala nel Regno del Marocco.

L’istituto della kafala viene introdotto nell’area del Maghreb per far fronte al fenomeno dell’abbandono dei minori, ed è proprio per via di questa emergenza che il Marocco promulga le seguenti leggi.

Nel Paese la kafala viene istituita nel 1993 e successivamente regolamentata dagli artt. 1-32 della legge del Regno del Marocco n. 15-01 relativa alla “kafala di minori abbandonati”, promulgata con

dahim 1-02- 172 del 136/2002, in base al quale il kafil deve farsi carico del sostentamento, l’educazione e la protezione di un minore abbandonato nel modo in cui un genitore si occuperebbe del proprio figlio.

(13)

L’art. 2 identifica la kafala nell’ impegno di prendere in carico la protezione, l’educazione e il mantenimento del bambino abbandonato come farebbe un padre con il proprio figlio”.

Si applica a tre categorie di minori:

-bambino i cui genitori risultano ignoti;

-bambino abbandonato dalla madre;

-bambino affidato temporaneamente o definitivamente ad una famiglia o un adulto.

In quest’ultimo caso il giudice può emettere un’ordinanza di custodia per tutelare il bambino in seguito all’affidamento alla nuova famiglia. Possono presentare domanda di kafala tutte le coppie musulmane, oppure donne sole vedove o divorziate, purchè abbiano la capacità economica per assicurare una vita dignitosa al minore. Sono inoltre richiesti al futuro kafil dall’art. 246 del Codice della Famiglia la capacità giuridica, la fedina penale pulita, la diligenza e un buono stato di salute psico-fisica. L’iter processuale comprende il deposito da parte dei richiedenti di un dossier presso il giudice di tutela costituito dall’atto di abbandono del minore, di una lettera motivazionale sul desiderio di prendere in carico il bambino, fotocopia della carta d’identità nazionale, certificato di residenza, una copia dell’atto di nascita del makful.

Il dossier viene sottoposto al vaglio di una commissione appositamente nominata costituita da un rappresentante del Ministero pubblico, un rappresentante governativo incaricato delle

Habous4, un rappresentante governativo degli affari islamici, un

(14)

rappresentante dell’autorità locale, un rappresentante governativo incaricato dell’infanzia.

Se al momento della decisione la Commissione non è stata ancora nominata, il giudice deciderà in via provvisoria sulla richiesta che sarà comunque sottoposta al vaglio della Commissione per diventare definitiva. Una volta terminate le indagini nel caso di esito positivo, il

procedimento si conclude con la nomina del kafil a tutore del minore da parte del giudice in presenza di due notai.

Con la nuova legge marocchina, infatti, il kafil viene nominato tutore del minore con un provvedimento giudiziale trascritto nell’atto di nascita del makful. Un ’altra legge molto importante è la n. 15-01 che all’art.1 identifica il minore in condizione di abbandono in colui i cui genitori naturali risultino ignoti, oppure con madre nota che abbia deciso di abbandonarlo, ancora il bambino orfano o i cui genitori non siano in grado di prendersene cura, infine il minore figlio di un delinquente che rifiuti di prendersene cura. 5

Sono del tutto assenti documenti ufficiali sui casi di kafala, però da statistiche frammentarie si riesce a delineare un quadro generale dell’utilizzo dell’istituto nel Paese.

Si denota l’utilizzo prevalente della kafala consensuale tra la famiglia d’origine del minore e quella affidataria; l’omologazione giudiziale si qualifica come facoltativa e può essere richiesta successivamente dalla coppia sposata da almeno tre anni, socialmente e moralmente consona e di religione musulmana. Successivamente le coppie vengono sottoposte al vaglio di una commissione amministrativa che,

5 Obinu A. “Emergenza abbandono in Marocco”, ariannapo.wordpress.com, 2009,

pp.15-22.

(15)

una volta valutata l’idoneità, passa la pratica al governatore della Prefettura, detto wali, che acconsente alla kafala e passa il caso al giudice minorile che dovrà vigilarvi.

Da ciò si evince quanto siano più frequenti i casi di minori i cui genitori siano noti alla legge rispetto a quella riguardante minori abbandonati. Inoltre i casi di kafala consensuale riguardano per la maggiore minori di sesso femminile, oggetto di un accordo tra le madri naturali e le famiglie che le accolgono dando vita alla kafala diretta o illegale”. Si è appreso, infatti, che le madri sole, spesso cameriere o domestiche vittime di violenze e soprusi, accantonano quasi subito l’idea dell’abbandono anonimo in ospedale quando danno alla luce delle bambine; a questo punto possono ricorrere alla kafala diretta e quindi illegale, negoziando con una famiglia disposta ad accogliere il neonato già in ospedale. Negli ultimi novant’anni, inoltre, si è registrato un aumento dei minori di sesso maschile collocati in istituti statali mentre, al contrario, pochissime ragazze restano a lungo in questi centri.

Si registra che nel reparto pediatrico dell’ospedale di Rabat, solo dal 2001 al marzo del 2005, siano stati abbandonati circa settantadue minori, di cui quarantacinque ragazzi e ventisette ragazze.

Sorge allora il sospetto che l’istituto della kafala sia utilizzato in Marocco in modo improprio, finalizzato alla recluta di nuova forza lavoro incarnata dalle bambine, a discapito della società prettamente patriarcale che vedrebbe i bambini maschi come favoriti. Questa tendenza viene avvalorata anche dalle testimonianze dei responsabili delle istituzioni ospitanti che sottolineano come ci siano pochissime bambine nei centri e perlopiù non adottabili.

(16)

Sempre più di frequente le coppie che ricorrono alla kafala sono sterili, per questo di solito le negoziazioni avvengono in maniera molto discreta o addirittura illegalmente.6

Quindi le coppie o il genitore si accordano, spesso in cambio di denaro, con la madre nubile per “l’acquisto” del bambino come figlio legittimo e non come minore affidatogli in kafala.

Se il minore soggetto a kafala ha almeno dodici anni deve prestare consenso al trasferimento presso la famiglia richiedente. Al raggiungimento della maggiore età la kafala cessa ogni effetto e il

makful è libero di uscire dalla famiglia in teoria; in pratica, resta in

casa fino al matrimonio nel caso di una ragazza e fino ai 25 anni se studente, resta in casa anche il bambino disabile bisognoso di cure continue.

Un controllo più accurato sulla situazione personale del makful viene effettuato dal giudice nel caso in cui quest’ultimo debba seguire i genitori all’estero.

In questo caso in base all’art. 23 del Codice Marocchino il kafil può fare una donazione, un atto testamentario o un tanzil a favore makful

qualora lo desideri. L’art. 118 del Moudawwana, il Codice di Famiglia,

definisce il tanzil “il considerare una persona come se lo fosse” ed è un atto sottoscritto davanti a due notai in cui si riporta che “il makful

sarà considerato come figlio legittimo”; ed è proprio quello che si

6 Nel diritto islamico la donna sterile viene considerata inutile, per questo si ricorre

sempre più spesso alla kafala in maniera segreta o comunque discreta, nella propria cerchia familiare, oppure accordandosi direttamente con la madre (kafala diretta o illegale).

(17)

impegna a fare il kafil nei confronti del bambino preso in carico7.

Questa dichiarazione permette al makful di partecipare alla successione testamentaria del kafil con l’unica regola che se l’eredità supera un terzo dei beni, occorrerà l’approvazione dei coeredi.La

kafala si può identificare come procedimento multifunzionale in riferimento ai minori coinvolti, il tutore e le funzioni che assolve.

Un altro aspetto che ha destato molta preoccupazione è il pregiudizio della società nei confronti dei bambini con genitori ignoti presi in carico tramite kafala, considerati “naturali” e di fatto emarginati dalla comunità insieme alla famiglia del kafil reputato sterile, incapace di creare una famiglia. Questa condizione ha scoraggiato in passato molte coppie a procedere alla kafala legale, fino al 2002, quando si è stabilito che il bambino nato da genitori ignoti venga registrato con i nomi di madre e padre fittizi, per proteggere il suo onore ed evitare la sua emarginazione sociale. Ad oggi, nonostante il sospetto uso improprio della kafala in Marocco, possiamo sostenere che l’istituto è in continua ascesa ed ha riabilitato migliaia di minori abbandonati e illegittimi condannati all’emarginazione, dando loro una seconda possibilità di vita.

7Barraud E. “Les multiples usages de la Kafala en situation de migration: protection

(18)

3. La Kafala nella Repubblica Democratica e Popolare

Algerina.

La Kafala in Algeria è disciplinata dagli artt. 116 - 121 del Codice di Famiglia.

L’istituto viene individuato nella responsabilità di prendere in carico un minore garantendone il mantenimento, l’educazione e la protezione, come farebbe un padre con il proprio figlio (art. 116).

Si tratta di un vero e proprio affidamento legale suggellato dinanzi un giudice o un notaio con il consenso del makful quando i suoi genitori sono noti. Anche in questo caso il kafil deve appartenere al credo musulmano e godere della capacità finanziaria idonea al mantenimento e all’educazione dell’affidato, senza tralasciare la buona salute di cui deve dimostrare di godere. Il makful può essere figlio di genitori noti, quindi riconosciuto, o ignoti.

Nel primo caso il bambino mantiene il legame di filiazione legittima con la famiglia d’origine; nel secondo caso, invece, si applica l’art. 64 dello stato civile, il quale stabilisce che il diritto di protezione spetta prima alla madre, poi al padre, in mancanza alla nonna materna, poi alla paterna, alle zie materna e paterna fino ad arrivare ai parenti di grado più prossimo sempre nel pieno rispetto degli interessi del minore.

Quando il giudice pronuncia l’ordinanza di devoluzione del diritto di protezione, ha l’obbligo di accordare anche il diritto di visita all’ altra parte.

Dunque, alla luce di quanto detto fino ad ora si evince che, qualora non fosse possibile l’affidamento a nessuno di questi famigliari, si opterà per la kafala. Inoltre il kafil diviene l’amministratore dei beni

(19)

del bambino ricevuti in eredità, donazione o successione sempre nell’interesse del secondo.

Per quanto concerne eventuali disposizioni testamentarie o donazioni al minore da parte del tutore queste sono consentite, l’unico limite è costituto dall’ammontare del lascito che non può superare il limite di un terzo della massa ereditaria o donata.

In quest’ultimo caso l’atto testamentario è nullo salvo diversa disposizione degli eredi.

Ai sensi dell’art. 124 del Codice di Famiglia se i genitori del makful chiedono il suo ritorno sotto la loro tutela, qualora il bambino abbia raggiunto l’età del discernimento, quantificata nell’età di sette anni, può decidere di tornare dalla sua famiglia d’origine.

Il ritorno può essere disposto solo con provvedimento del giudice, tenuto conto degli interessi del bambino. In caso di minore non ancora maturo e incapace di discernere, la decisione viene disposta direttamente dal giudice in seguito ad un’attenta analisi della situazione in concreto del makful.

L’art. 125, infine, disciplina il caso di abbandono dell’affidamento tramite kafala disponendo che il kafil o chi per lui deve presentare istanza al giudice che l’ha concesso, previa notifica al Pubblico Ministero.

In caso di decesso del kafil la kafala è trasmessa ai suoi eredi, salvo questi ultimi acconsentano a continuare l’affidamento legale del

(20)

makful, altrimenti il minore viene affidato dal giudice alle cure di un

istituto competente.8

Anche in Algeria inizialmente non troviamo un monitoraggio assiduo del ricorso alla kafala, interpretabile in conseguenza del fallimento della registrazione legale soprattutto nei primi anni di attuazione dell’istituto, dovuta esclusivamente a motivi socioculturali. Le famiglie che decidono di ricorrere all’istituto, infatti, vengono sottoposte ad una gogna sociale; il kafil viene accusato di essere sterile il che è disonorevole per la sua intera famiglia.

Aspetto non trascurabile è la ripercussione che la kafala ha sul minore affidato alla nuova famiglia che, ancor più se nato da genitori ignoti, sarà marchiato a vita dalla società come “bastardo”, di origini incerte, frutto di Zina, il mancato rispetto delle sacre regole che fondano la filiazione sul vincolo del matrimonio.

Il legislatore algerino ha cercato negli anni avvenire di porre rimedio a questa incresciosa situazione, per consentire ai minori di trovare una sistemazione e alle famiglie di non incorrere nel fenomeno dell’emarginazione sociale.

Così attraverso l’ausilio dell’associazione AAEFAB 9 (Algerian

Association Childhood and Family Volunteer Home), nel 1992 l’Algeria ha riconosciuto al kafil il diritto di dare il proprio cognome al makful con padre ignoto.

8“Codice di Famiglia di Algeria”,Repubblica Democratica e Popolare di Algeria, Presidenza della Repubblica. Traduzione dell’avv. Antonio Luigi Vicoli e Gabriella Friso ,2007.

9AAEFAB è un’associazione che dal 1987 si batte per i diritti dei minori e le famiglie

affidatarie garantendo assistenza legale e psicologica.

(21)

L’unica limitazione rimasta è l’esclusione dalla linea successoria del minore in quanto la comunanza di cognome continua a non implicare il legame di filiazione tra kafil e makful.

Anche in Algeria così come in Marocco si registra, dai pochi dati raccolti dai ministeri, tribunali e gli istituti che si occupano dei bambini abbandonati, che nell’arco temporale dal 1999 al 2005 la percentuale di ricorso alla kafala in relazione al numero di bambini presenti negli istituti ammonta al 67,5%.

Da dati ufficiali10 del marzo 2009 emerge che, dei ventinove mila

bambini abbandonati ospitati nelle strutture idonee millecinquecento sono stati collocati in famiglie tramite kafala10.

L’iter processuale per ottenere l’affidamento del minore tramite kafala è il medesimo analizzato per il Marocco, con l’ulteriore requisito della necessaria cittadinanza algerina del kafil.

4. La Kafala nella Repubblica di Tunisia.

La Tunisia ha regolamentato l’istituto della kafala con la legge n. 27/1958 agli art. 3-7, sancendo l’entrata in vigore del Codice dello Statuto Personale Tunisino.

La materia viene disciplinata al Libro VI intitolato “La Filiazione” e al Libro VII sulle “Disposizioni relative al bambino abbandonato”.

10 E. Barraud “L’adoption au prisme du genre: l’exemple du Magrheb”, Clio:

Femmes, Genre, Histoire, in Liens Familiaux, n. 34, 2011, pp. 153-165.

(22)

L’art. 77 del Libro VII identifica la kafala in “chiunque, previa autorizzazione del giudice, prenda in carico un bambino abbandonato che non possiede beni, e sia obbligato a mantenerlo fino a che questo sia capace di farlo da solo”.

Qui emerge un nuovo elemento rispetto alla regolamentazione degli altri Stati dell’area del Maghreb.

Il kafil, infatti, è vincolato fino al raggiungimento della maggiore età del makful ma solo nel caso in cui il giudice competente accerti che ciò non sia nocivo agli interessi superiori del bambino; in caso contrario il giudice deciderà per l’allontanamento del minore.

Inoltre, all’art. 77 del Codice dello Statuto Personale non si fa riferimento necessariamente ad una coppia o un singolo come affidatario del minore abbandonato ma genericamente a “chiunque”, questo ha aperto la strada a nuove forme di kafala che nel Paese contemplano anche associazioni specializzate nell’assistenza a bambini abbandonati.11

La procedura da seguire è pressochè la medesima degli altri Paesi di ispirazione musulmana, kafala consensuale sottoscritta con atto davanti a due notai o innanzi a un giudice minorile.

I beni eventualmente posseduti dal bambino saranno inoltre acquisiti dal kafil che si obbliga a crescerlo (art. 79).

All’art. 80 del codice si dispone inoltre che “in caso di assenza di eredi del bambino, i suoi averi saranno acquisiti al tesoro statale.”

11 Bianco G. “Kafala, Adozione e Affidamento. Sistema di tutela sociale degli interessi

dei minori nel mondo arabo-islamico”, in Guidelegali.it, 2016.

(23)

L’unica azione esercitabile in concreto è quella del kafil che può agire per la restituzione della somma di denaro spesa per ilmantenimento fino al valore totale dei beni del bambino.

Peculiarità dell’ordinamento tunisino è la possibilità accordata ai genitori biologici del bambino affidato tramite kafala di presentarsi innanzi al giudice per richiederne la presa in carico.

In questo caso sarà il giudice a decidere dopo aver valutato attentamente la situazione in concreto del bambino e agirà esclusivamente nei suoi interessi (art. 78). 12

È necessario precisare che la Tunisia costituisce una vera eccezione nel panorama dell’area del Maghreb, poiché ammette l’adozione che quindi coesiste con la kafala.

Entrambi gli istituti sono regolamentati dalla legge numero 27 del 1958.

Questa legge è la risposta dello Stato alla drammatica situazione venutasi a creare dopo l’emancipazione della Tunisia dall’assoggettamento della Francia, caratterizzata della rottura dei vecchi schemi socio-politici ed il simultaneo dilagare della piaga della

12Friso G. “Note al Codice Personale Tunisino”, in

http://briguglio.asgi.it/immigrazione-e-asilo/2010/giugno/friso-codice-pers-tunisia.pdf

13 Welchman L.“Women and muslim family law in Arab States: a comparative

overview of textual development and advocacy”, Amsterdam University press, 2007, pp.142-150.

(24)

povertà, che portò la maggioranza della popolazione ad emigrare oltre i confini nazionali. 13

Si registrò negli anni un forte aumento dei casi di abbandono dei minori, soprattutto neonati, e di orfani.

L’inverno del 1955-56 fu inoltre molto rigido, il che aumentò notevolmente i casi di decesso dei bambini abbandonati a se stessi in strada. A quel punto diverse organizzazioni pubbliche e private si adoperarono per fornire assistenza a questi bambini riuscendo ad ottenere nella primavera del 1956 un principio di cura da parte dello Stato, con l’istituzione di un “fondo nazionale per i bambini” grazie al quale furono inaugurati diversi istituti per neonati, bambini abbandonati e orfani.

Questi drammatici episodi scossero l’opinione pubblica e lo Stato si prodigò a risolvere la situazione emanando la sopracitata legge n. 27/1958 che disciplina non solo la kafala ma istituisce anche l’adozione così come noi la conosciamo.

Tuttavia in Tunisia l’adozione non è stata accolta benevolmente dalle famiglie visti i pochi casi registrati negli anni, questo perché, come in Marocco e Algeria, la sterilità della coppia e il fenomeno delle ragazze madri non è accettato dalla società ed è motivo di emarginazione non solo per loro ma anche e soprattutto per i bambini.

Per questi motivi si cerca prima di trovare sistemazione ai bambini ricorrendo all’istituto della kafala, anche se molte coppie ricorrono a vie illegali tramite l’accordo con le ragazze madri, in caso di neonati, e la registrazione dei bambini come figli consanguinei.

(25)

Nonostante lo Stato cerchi di promuovere l’adozione tramite aiuti economici alle famiglie adottanti il pregiudizio sociale è ancora troppo radicato per pensare ad un concreto incremento del ricorso all’istituto.14

1.5.

La kafala in Libia.

La Libia, rispetto agli altri Stati Nord Africani, si dimostra molto più tradizionale nell’applicazione del diritto islamico.

Nella legge n. 10 del 1984 recante disposizioni in materia di matrimonio, divorzio e loro effetti, il Congresso generale del Popolo “in esecuzione delle deliberazioni dei Congressi popolari di base nella terza sessione ordinaria dell’anno 1392-93 dalla morte del Profeta (corrispondente al 1984 dell’era cristiana), adottate dalla riunione generale dei Congressi popolari, dei Comitati popolari, dei sindacati, delle Federazioni e delle Leghe professionali (Congresso generale del Popolo) nel corso della nona sessione ordinaria nel periodo dall’8 al 13 ğumādà’l--’ulā 1393 dalla morte del Profeta (corrispondente all’11-16 febbraio 1984 dell’era cristiana),“15 al Titolo Secondo Capo Quarto

legifera anche sull’istituto della kafala.

14 Relazioni iniziali degli Stati parti dovute nel 1994: Tunisia,

ONUDoc.CRC/C/11/Add.2, par.22-23,62,64-65,83-86,129-138, in www.gruppocrc.net, (1 giugno 1994).

15 Peccoz R.A.B., Dossier sull’Islam: Le leggi del diritto di famiglia negli stati arabi del Nord-Africa, Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli, 2004, citazione pag.104.

(26)

All’art. 60 lettera a) della legge si stabilisce che il requisito fondamentale per accogliere un minore mediante kafala è lo stato d’abbandono di questo, da parte di entrambi i genitori o del padre previo consenso della madre. L’altra ipotesi è quella del minore orfano in caso non siano rintracciabili parenti conosciuti che abbiano diritto alla wi/āya su di lui.

La lettera b) regolamenta l’ipotesi in cui il minore venga affidato con sentenza di filiazione ad un terzo pur essendo preso in carico dal kafil. In questo caso la legge stabilisce che il bambino non può essere allontanato dal kafil contro la sua volontà, pur continuando a mantenere il vincolo di filiazione con il terze affidatario.16

Anche in Libia il kafil può nominare erede nella propria successione testamentaria il makful per le quote spettanti, secondo la legge libica, ad un figlio o una figlia del testatore (lettera c).

La Libia, inoltre, con la risoluzione n. 453 del 1988 ha dettato agli artt. 2-3 i requisiti necessari per le coppie che vogliano accogliere un minore in kafala. Il kafil non deve superare i cinquant’anni di età ed essere cittadino libico di fede musulmana.

L’affidatario deve dimostrare di avere le capacità economiche e, soprattutto, morali per mantenere ed educare il minore fino al raggiungimento della maggiore età.17

16 Peccoz R.A.B., Dossier sull’Islam: Le leggi del diritto di famiglia negli stati arabi del Nord-Africa, Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli, 2004, pag.118-119.

17 Tomeo T., “La Kafala”, Comparazione e diritto civile, in Comparazione e Diritto civile www.comparazionedirittocivile.it, 2011.

(27)

6. La kafala in Egitto

.

L’Egitto è l’unico Stato nord-africano che ha legiferato in materia di protezione dei minori solo recentemente.

Infatti, a differenza degli altri ordinamenti, ha basato il suo intero intervento legislativo non sull’istituto della kafala, non considerato un istituto di matrice islamica e dunque di origini recenti, ma sulla usra

badila o famiglia sostitutiva.18

Le origini della kafala secondo il legislatore egiziano sono da ricercarsi nelle pratiche di diritto commerciale.

La usra badila è stata introdotta nell’ordinamento giuridico con la legge sulla Tutela dell’Infanzia n. 12 del 1996 entrata in vigore con il regolamento esecutivo n. 3452 del 1997.19

Gli artt. che disciplinano l’istituto sono ricompresi tra il 46 e il 49.

Compito della famiglia adottiva sancito nella legge è senz’altro il sostentamento fisico sociale e psicologico dell’adottato.

I requisiti necessari affinchè la coppia sia incaricata della cura del minore sono elencati all’art. 87 della presente legge:

-la coppia deve avere un’età compresa tra i venticinque e i cinquantacinque anni;

18 T.tomeo, “La Kafala”, in Comparazione e diritto civile,

www.comparazionedirittocivile.it, 2011.

19 A.CILARDO, La tutela dei minori di cultura islamica nell’area mediterranea- Aspetti sociali, giuridici e medici- Il minore nel Diritto islamico- Il nuovo istituto della Kafala, 1e., Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2011, pp.244-245.

(28)

- i coniugi devono essere cittadini egiziani e appartenere alla fede musulmana;

- La famiglia adottiva può prendersi cura di massimo due minori contemporaneamente.

Inoltre all’art. 85 si precisa che il minore può essere adottato dalla famiglia a partire da due anni di età, poichè in questo lasso di tempo si consente ai genitori naturali di riconoscere il bambino, fino alla maggiore età del primo identificata nei compimento di diciotto anni d’età, essendo possibile prolungare l’affidamento fino a ventuno anni di età per motivi di studio o lavoro.

L’art. 94 sancisce, infine, l’obbligo della famiglia adottiva di informare il giudice in caso di cambio di residenza o modifiche di vario genere ai termini dell’affido del minore.

La usra badila ha quindi più i connotanti di un affidamento, così come concepito negli ordinamenti occidentali, piuttosto che della kafala comune a tutti gli altri Stati dell’area del Nord-Africa.

(29)

CAPITOLO II

LA TUTELA DEL MINORE NEL DIRITTO

INTERNAZIONALE: LA KAFALA.

SOMMARIO: 1.La Convenzione Onu sui Diritti dell’Infanzia e

dell’Adolescenza. 2. La Convenzione dell’Aja del 1996: la

Kafala. 2.1 La Convenzione dell’Aja del 1993 e le adozioni

internazionali. 2.3 La Carta Africana sui Diritti e il benessere

del minore.

1. La Convenzione Onu sui Diritti dell’Infanzia e

dell’Adolescenza.

La Convenzione dei Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, conosciuta anche con l’acronimo CRC (Convention on the Rights of the Child), fu siglata a New York il 20 novembre 1989 e rappresenta il primo grande passo per il riconoscimento della dignità e dei diritti dei membri più indifesi della società umana, i minori.

Per arrivare alla sua stipula bisogna ripercorrere tutti i vari trattati che si sono succeduti nel tempo, a partire dalla Carta dei Diritti del Bambino del 1923, scritta dalla fondatrice di Save the Children Eglantyne Jebb, la Dichiarazione di Ginevra del 1924 adottata dalla Quinta Assemblea Generale della Società delle Nazioni, fino ad arrivare alla Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo dell’Onu del 1959.

(30)

La CRC è entrata in vigore nel settembre del 1990 ed è stata ratificata da tutti gli Stati del mondo eccetto gli USA che hanno provveduto alla ratifica solo nel 1995.

È composta da 54 articoli riguardanti i diritti politici, sociali ed economici dei minori, suddivisi in tre parti.

Nella prima parte sono contenuti gli artt. dall’ 1 al 41 sui diritti dell’infanzia.

La seconda parte, dagli artt. 42-45, disciplina gli organismi preposti al monitoraggio della Convenzione stessa: il Comitato dell’Onu, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, con particolare rilievo del Fondo per l’Infanzia ed infine gli Stati ratificanti.

Nella terza parte rientrano gli artt. dal 46 al 54 che disciplinano la procedura di ratifica.

L’Italia ha sottoscritto la Convenzione nel gennaio del 1990 e provveduto alla ratifica con la legge n. 176 del 1991.

Oltre ai sopra citati Stati Uniti d’America, altri Stati poco inclini alla ratifica della CRC sono proprio quelli islamici, a tal proposito tema centrale sono le riserve.

Queste consistono in atti unilaterali con cui uno Stato esprime la volontà di ratificare solo una parte o alcune clausole specifiche di un trattato, e sono molto utilizzate nella prassi perché permettono una maggiore aderenza alle Convenzioni internazionali anche da parte dei Paesi meno disposti.

Nello specifico i Paesi dell’area del Maghreb hanno tutti ratificato con riserva la Convenzione, tra i quali spicca l’Algeria che l’ha sottoscritta

(31)

all’unica condizione di applicarla in base ad una propria dichiarazione interpretativa.

Quindi il trattato si applica conformemente alla legge algerina; lo stesso iter è seguito da Marocco e Tunisia.

Naturalmente la maggior parte di questi Paesi non applica l’istituto dell’adozione, ma lo sostituisce con la kafala disciplinata all’art. 20 della CRC che recita:

1) “Ogni fanciullo il quale è temporaneamente o definitivamente privato del suo ambiente familiare, oppure che non può essere lasciato in tale ambiente nel suo interesse, ha diritto ad una protezione e ad aiuti speciali dallo Stato.”

2) “Gli Stati parti prevedono per questo fanciullo una protezione sostitutiva in conformità con la loro legislazione nazionale.”

3) “Tale protezione può concretizzarsi per mezzo dell’affidamento familiare, della kafala di diritto islamico, dell’adozione, o in caso di necessità del collocamento in istituti per l’infanzia….” 20

Inoltre un ricollegamento alla kafala è previsto all’art. 10 della Convenzione che disciplina i casi di ricongiungimento famigliare:

1) ”In conformità con l’obbligo che incombe agli Stati parti….,ogni domanda presentata da un fanciullo o dai suoi genitori in vista di entrare in uno Stato parte o di lasciarlo ai fini di ricongiungimento

20Rapporti ufficiali del gruppo CRC sulla kafala nella Convenzione sui diritti

(32)

famigliare sarà considerata con uno spirito positivo con umanità e diligenza…..”21

L’art. 10 della Convenzione è posto alla base dei casi di bambini dati in

kafala a cittadini stranieri di fede musulmana residenti in Italia o

italiani, e dei casi di bambini rimasti nel loro Paese d’origine.

Nel nostro Paese gli ingressi dei minori sul suolo nazionale sono monitorati costantemente dal Ministero degli Affari Esteri che daL Parlamento con l’ausilio di altri organismi come il Gruppo Crc, che dal 2007, attraverso delle raccomandazioni ai sopracitati organi, si occupa di coordinare le norme poste a tutela dei minori con la kafala.22 .

2. La Convenzione dell’Aja del 1996: la Kafala.

La Convenzione dell’Aja è un trattato internazionale sulla competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l’esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori.23

21Rapporti ufficiali del Gruppo CRC sul ricongiungimento familiare nella Convenzione

sui diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, www.gruppocrc.net

22 Gruppo di Lavoro per la Convenzione dei Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza. È

un network formato da 96 professionisti del terzo settore che si occupa della promozione e tutela dei diritti dei minori ed è coordinato da Save the Children Italia. Si è costituito nel 2000 con lo scopo di preparare il Rapporto sull’Attuazione della CRC in Italia, supplementare a quello del Governo italiano, da sottoporre al Comitato Onu sui diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza. Monitora l’applicazione in Italia della kafala dal 2007.

(33)

Fu firmata dall’Italia il 19 ottobre del 1996 ma mai ratificata dal nostro Paese fino al 18 giugno 2015 con la legge numero 101.

La Convenzione si compone di 63 articoli in materia di responsabilità genitoriale, il cui fine ultimo è la protezione del minore e dei suoi beni.

La persona del minore è individuato come un soggetto che non abbia compiuto il diciottesimo anno d’età.

Le misure adottate in ambito internazionale dagli Stati contraenti possono riguardare l’attribuzione, l’esercizio e la revoca della responsabilità genitoriale, l’affidamento, il collocamento del minore presso una famiglia o in istituto o tramite l’assistenza legale con la

kafala (artt. 3 - 4).

Risultano esclusi, invece, l’accertamento dei legami di filiazione, gli obblighi alimentari, l’adozione, l’asilo e l’immigrazione.

A differenza della precedente Convenzione del 1961, in questo testo normativo si identifica l’autorità competente ad emettere i provvedimenti di protezione con quella del luogo di residenza abituale del minore (art. 5).

Questo, per risolvere la conflittuale situazione creata dalla Convenzione dell’Aja del 1961 che affidava la competenza all’autorità del luogo di residenza abituale ma anche all’autorità del Paese d’origine del bambino, di cui egli risulta cittadino, risolvendo gli eventuali contrasti a favore dell’ultimo.

Altro punto cardine del trattato è il riconoscimento da parte degli Stati contraenti dei provvedimenti emessi da un altro Stato contraente, eccezion fatta per i casi indicati all’art. 23 tra cui

(34)

ricordiamo la violazione della Convenzione, la misura adottata da autorità incompetente, violazione dell’ordine pubblico, violazione dell’iter processuale previsto, violazione dei principi del contraddittorio.

Inoltre, le misure di protezione che al momento dell’attuazione comportano il compimento di atti esecutivi nell’altro Stato contraente e sono da questo dichiarate esecutive o registrate ai fini dell’esecuzione, sono considerate come eseguite dalle autorità del proprio territorio.

Anche questo principio prevede delle eccezioni, precisamente all’art. 33 si stabilisce che nei casi di affidamento familiare, collocazione in una casa d’accoglienza o nei casi di kafala, lo Stato d’origine del minore deve previamente accordarsi con l’Autorità Centrale dello Stato accogliente prima di emettere le misure protettive.

Costituiscono eccezioni i casi di minori rifugiati o trasferiti a livello internazionale la cui residenza abituale non può essere accertata. In questo caso la competenza è dello Stato in cui si trova il minore in quel momento (art. 6).

All’art. 7 troviamo la disciplina in caso di sottrazione internazionale, circostanza in cui si autorizza lo Stato di residenza abituale del minore a detenere la competenza su di lui e sui suoi beni, per dissuadere quasi sempre i genitori biologici dal compiere questo atto estremo.

Un dettaglio non da poco è la necessità per molti Stati di operare una regolamentazione interna degli istituti presi in esame nella Convenzione dell’Aja che sono estranei agli ordinamenti occidentali,

(35)

primo fra tutti la kafala che consente un’estensione dell’istituto proprio dei Paesi islamici anche ai Paesi occidentali. 24

Si presume che l’introduzione della kafala all’interno del testo normativo della Convenzione sia merito dell’attività diplomatica svolta dal Marocco che vi ha aderito subito dopo l’inserimento dell’istituto.

2.2 La Convenzione dell’Aja 1993 e le Adozioni

internazionali.

Un altro tassello importante in materia di protezione dei minori è la Convenzione dell’Aja del 1993 in materia di adozioni internazionali. Con questa Convenzione si afferma il superiore interesse dei minori

24 Ministero della Giustizia, Convenzione dell’Aja 1996.

19 CAMPIGLIO C., “Il diritto di Famiglia islamico nella prassi italiana”, in Rivista di

diritto internazionale privato e processuale, Mario Giuliano, Edizioni Cedam-Padova, 1, Gennaio-Marzo 2008, pgg.70-71.

(36)

abbandonati ad avere una famiglia, perseguito attraverso l’istituto dell’adozione fuori dai confini nazionali dei singoli Stati.25

A garanzia di questo interesse sono posti nero su bianco 48 articoli suddivisi in sette capitoli. Il primo articolo sancisce lo scopo ultimo della Convenzione: agire ad esclusiva tutela dell’interesse del bambino; instaurare un rapporto di cooperazione tra gli Stati aderenti al trattato, al fine di prevenire qualsivoglia forma di tratta dei minori; assicurare il riconoscimento negli Stati contraenti delle adozioni realizzate in rispetto della Convenzione.

All’art. 2 vengono descritte le dinamiche delle adozioni e, soprattutto, si specifica che la disciplina si applica solo agli istituti giuridici che instaurano un legame di filiazione tra minore e famiglia accogliente.

All’art. 4 sono elencati i requisiti standard per iniziare il procedimento di adozione: il primo passo per rendere adottabile un bambino straniero abbandonato è che lo Stato in cui risiede lo dichiari tale, accertando il pieno consenso e la consapevolezza da parte dei familiari e delle istituzioni coinvolte nell’iter processuale.

La madre biologica deve aver prestato il consenso all’adozione del neonato solo dopo la sua nascita; è necessario accertarsi della salute del minore, tenere conto delle sue opinioni e dei suoi desideri e che il suo consenso, quando richiesto, sia prestato liberamente.

È inoltre vietato qualsiasi contatto tra i genitori adottanti e quelli biologici per non incorrere nel rischio di illeciti come la vendita dei minori.

25 Presidenza del Consiglio dei Ministri, Commissione per le Adozioni Internazionali. Autorità Centrale per la Convenzione de l’Aja 1993.

(37)

Lo Stato accogliente deve accertare la sussistenza dei sopra citati requisiti e valutare la coppia richiedente, accertarsi che il minore sia autorizzato ad entrare e soggiornare nel territorio dello Stato, controllando che il procedimento sia in linea con il dettato normativo della Convenzione.

Ogni Stato contraente deve nominare l’Autorità centrale di riferimento, per l’Italia è la Presidenza del Consiglio dei Ministri, che ha il compito di visionare le richieste d’adozione e cooperare con lo Stato d’origine del minore affinchè la stessa vada a buon fine.

In base all’art. 16 qualora l’autorità centrale dello Stato d’origine ritenga il minore adottabile, redige una relazione contenente tutte le informazioni utili sul minore: ambiente sociale, origini etniche, religiose e culturali; si assicura che l’adozione sia compiuta nell’interesse del minore.

A questo punto l’Autorità dello Stato d’origine trasmette tutta la documentazione all’Autorità centrale del Paese accogliente che procederà a far ottenere le autorizzazioni di ingresso e permanenza del minore nel suo territorio.

Ci sono dei casi eccezionali all’art. 17 in cui è il Paese d’origine a decidere sull’affidamento quando la sua Autorità centrale si sia accertata del consenso dei genitori adottanti, ma solo se l’Autorità centrale dello Stato accogliente abbia dato il suo consenso all’affidamento e i genitori adottivi risultino idonei.

Nel caso in cui l’adozione avvenga dopo il trasferimento del minore nello Stato d’accoglienza la sua Autorità centrale ha il compito di vigilare sull’inserimento del bambino nella nuova famiglia e

(38)

riprenderlo quando constati che la sua permanenza nel nuovo nucleo familiare non sia più in linea con il suo supremo interesse.

A questo punto lo Stato accogliente deve mettersi in contatto con l’Autorità centrale dello Stato d’origine e assicurare senza ritardo un nuovo affidamento per l’adozione o, in alternativa, una presa in carico del minore (art. 20).

Una volta certificato che l’adozione sia conforme alla Convenzione questa è riconosciuta tra tutti gli Stati contraenti.

L’unica eccezione per cui uno Stato contraente può rifiutare di riconoscere l’adozione si ha quando quest’ultima risulti contraria all’ordine pubblico, tenuto conto dell’interesse del minore.

Gli Stati che hanno ratificato la Convenzione sono tenuti a rispettare sempre il testo della Convenzione qualsiasi sia il Paese d’origine del minore; viene inoltre fornito un’ulteriore strumento di supervisione rappresentato dalla moratoria, una misura temporanea con cui si sospende l’iter dell’adozione nel caso in cui sia ipotizzabile una lesione dell’interesse supremo del minore, dato molto spesso dall’uso di pratiche illegali.

La misura può essere attuata sia dal Paese ricevente che da quello d’origine.

Tra gli Stati che hanno ratificato la Convenzione troviamo l’Italia, la Francia, 26la Spagna e gran parte dei Paesi europei; non risultano

firmatari i Paesi dell’area del Maghreb.

26 Anfaa: Associazione famiglie adottive ed affidatarie, Disegno di legge per la ratifica della Convenzione dell’Aja 1996: le preoccupazioni dell’Anfaa, Segreteria Anfaa, 21 febbraio 2019.

http://www.anfaa.it/blog/2014/02/21/disegno-di-legge-per-la-ratifica-della-convenzione-dellaja-1996-le-preoccupazioni-dellanfaa/

(39)

In Italia l’intero iter viene supervisionato dal Tribunale per i Minorenni che deve verificare le capacità educative della coppia adottante e deve fornire l’autorizzazione a risiedere nello Stato al minore.

3. La Carta Africana sui Diritti e il benessere del minore.

Un’ altro documento che fa riferimento alla kafala è la Carta Africana

sui Diritti e il benessere del minore, adottata dalla Conferenza dei Capi

di Stato e di Governo dell’Organizzazione per l’Unità Africana ad Addis Abeba l’11/07/ 1990 ed entrata in vigore il 29 novembre 1999.

Con la suddetta Carta gli Stati dell’Unione Africana riconoscono l’importanza dei diritti umani e della condizione del minore nel continente in relazione alle circostanze socio economiche, tradizioni e di sviluppo, conflitti armati e condizioni di sfruttamento già in tenera età, mettendo nero su bianco delle misure appropriate per promuovere e proteggere i suoi diritti e il suo benessere.

Si compone di 48 articoli e fa riferimento alla Dichiarazione sui diritti e

il benessere dei minori africani firmata dai Capi di Stato dell’OUA alla

sedicesima sessione ordinaria a Monrovia, in Liberia nel 1979.

All’art. 24 del trattato è regolamentato l’istituto dell’adozione tra i Paesi aderenti alla Convenzione per la salvaguardia dell’interesse supremo del minore.

Al punto b si identifica l’adozione internazionale come “extrema

ratio” per assicurare una degna vita al minore nell’eventualità in cui il

minore non possa essere collocato in una famiglia affidataria o adottiva nel suo Paese d’origine.

(40)

Quindi da questo punto si evince che l’istituto abituale per la tutela dei minori nei Paesi Africani sia la kafala e, ove previsto, l’adozione nel Paese d’origine.

CAPITOLO III

LA KAFALA NEGLI ORDINAMENTI EUROPEI

SOMMARIO. 1.La Kafala in Europa: l’articolo 8 della CEDU.

1.1 La Direttiva 2004/38 CE. 2.La kafala in Italia. 2.1

L’evoluzione normativa dell’adozione con la Convenzione

dell’Aja del 1993 in Italia: dalla legge n. 184/1983 alla legge

n. 476/1998. 2.2 L’Italia e la ratifica della Convenzione

dell’Aja del 1996. 2.3 L’Italia si confronta per la prima volta

con la kafala: il Caso Trento.2.4

L’evoluzione della

giurisprudenza italiana sulla kafala: la Corte d’Appello di

Trento si pronuncia sul ricongiungimento familiare. 2.5 La

Corte d’Appello di Ancona non si uniforma all’orientamento

della Corte di Cassazione sull’istituto della kafala. 2.6 La

Corte di Cassazione muta orientamento sulla kafala. 3. La

kafala in Francia. 3.1 L’affaire Harroudij vs. France.

3.2 La

tutela del minore sottoposto a istituti diversi dall’adozione.

4.La kafala nel Regno Unito. 4.1 Il caso United Kingdom vs.

Thour Ali (1986). 4.2

La sentenza C-129/2018 della Corte di

(41)

giustizia dell’Unione europea. 5.La kafala in Spagna. 6.La

kafala in Germania. 7. La kafala in Belgio. 7.1

L’Affaire

Chbihi Loudoudi vs.

Belgium. 7.2. Il caso Y.B. e N.S. vs.

Belgium C-12/2017.

8. La Kafala in Svizzera. 9. La Kafala in

Lussemburgo. 9.1. L’affaire Wagner c. Lussemburgo del 28

giugno 2007. 10. La Kafala nei Paesi Bassi. Conclusioni.

1. La Kafala in Europa: l’articolo 8 della CEDU.

Il riconoscimento della kafala all’interno dell’Unione Europea è ricollegato all’articolo 8 della CEDU (Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo) che recita: ”Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza. Non può esservi ingerenza di un’autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui”.

La Corte Europea si è pronunciata più volte sull’argomento evidenziando come debbano essere gli ordinamenti dei singoli Stati membri a provvedere ad un giusto bilanciamento tra la tutela del minore e gli interessi statali; evidenziando come i primi abbiano un

(42)

ampio margine di apprezzamento sulla questione controversa, non essendo riscontrabile un’univocità di vedute tra i Paesi aderenti alla Convenzione.

Dalla lettura dei provvedimenti della CEDU in materia, si evince un’interpretazione dell’art. 8 distante dal riconoscimento di un vero e proprio “diritto di adottare” imposto allo Stato, fondato sull’assunto che il diritto da tutelare sia quello del minore ad avere una famiglia e non viceversa.

Questa eterogeneità tra gli ordinamenti dei vari Paesi europei è dovuta, in parte, alla mancata disciplina della kafala nel regolamento CE 2201/2003 in materia di riconoscimento delle decisioni di affidamento dei minori, con il quale si giunge alla ratifica ed entrata in vigore della Convenzione dell’Aja da parte dei Paesi membri.

1.1 La Direttiva 2004/38 CE.

Con la Direttiva 2004/38 CE, l’Unione Europea ha, inoltre, sancito il diritto di libera circolazione sul suo suolo dei cittadini dell’UE e dei loro discendenti diretti. Il comma 5 della direttiva, infatti, sancisce il diritto dei familiari del cittadino europeo di muoversi liberamente all’interno dell’Unione: “Il diritto di ciascun cittadino dell'Unione di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri presuppone, affinché possa essere esercitato in oggettive condizioni di libertà e di dignità, la concessione di un analogo diritto ai familiari, qualunque sia la loro cittadinanza.

Ai fini della presente direttiva, la definizione di «familiare» dovrebbe altresì includere il partner che ha contratto un'unione registrata,

(43)

qualora la legislazione dello Stato membro ospitante equipari l'unione registrata al matrimonio”.27

Questa possibilità, però, è stata negata al makful affidato in kafala, non considerato discendente diretto del kafil in quanto risulti assente il legame di filiazione.

Questo mancato riconoscimento del minore in regime di kafala comporta il rigetto della domanda di ricongiungimento familiare, anche se dal 26 febbraio 2019 l’orientamento della Corte di Giustizia è mutato.

Al comma 6 della direttiva, infatti, il Parlamento e il Consiglio dell’Unione Europea specificano: “Per preservare l'unità della famiglia in senso più ampio senza discriminazione in base alla nazionalità, la situazione delle persone che non rientrano nella definizione di familiari ai sensi della presente direttiva, e che pertanto non godono di un diritto automatico di ingresso e di soggiorno nello Stato membro ospitante, dovrebbe essere esaminata dallo Stato membro ospitante sulla base della propria legislazione nazionale, al fine di decidere se l'ingresso e il soggiorno possano essere concessi a tali persone, tenendo conto della loro relazione con il cittadino dell'Unione o di qualsiasi altra circostanza, quali la dipendenza finanziaria o fisica dal cittadino dell'Unione”.28

Quindi l’Unione Europea lascia all’ordinamento del singolo Stato membro la decisione sulla base delle proprie politiche migratorie.

27 Eur-lex, DOCUMENT 32004L0038R(01), DIRETTIVA 2004/38 CE COMMA 5)

CITAZIONE.

28EUR-LEX, Document 32004L0038R(01), DIRETTIVA 2004/38 CE COMMA 6) CITAZIONE.

(44)

In realtà, tuttavia, questa discrezionalità degli Stati membri è ampiamente mitigata dal diritto europeo che ha nella Corte di Giustizia la sua massima espressione giurisdizionale. Di seguito analizzeremo la posizione degli ordinamenti dei principali Stati europei in materia. 29

2. La Kafala in Italia.

Nel nostro ordinamento si è subito cercato di individuare un istituto di tutela del minore equiparabile alla kafala.

Si profila, a tal proposito, la possibilità di convertire la kafala nell’istituto dell’adozione. Tuttavia non è ravvisabile una completa assimilazione dei due istituti, che presentano enormi differenze: la

kafala, al contrario dell’adozione, non contempla la rescissione dei

rapporti con la famiglia d’origine del makful, e non corrisponde ad una filiazione giuridica tra kafil e makful. Queste enormi differenze rendono la strada dell’assimilazione non percorribile.

Altrettanto impraticabile si rivela l’assimilazione con l’affidamento preadottivo caratterizzato dall’elemento della temporaneità non rinvenibile nell’istituto in esame e comunque finalizzato all’adozione del minore.

29 Di Pietro F., La kafalah islamica e la sua applicazione alla luce della Giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, in Ordine internazionale e Diritti Umani, n. 1, Marzo 2016, pp. 91-99.

(45)

Elementi di somiglianza si rinvengono con altri casi di adozioni particolari cosiddette “non legittimanti”, disciplinati dalle lettere a) e d) dell’art. 44 della legge n. 184 del 1983. Anche in queste ipotesi, infatti, permangono i rapporti tra il minore e la famiglia d’origine, potendo il primo conservare il proprio cognome ed essendo possibile l’adozione da parte di parenti.

Le differenze tra gli istituti, di contro, si riscontrano in materia di successioni e durata non temporanea delle adozioni particolari.

Un altro istituto con tratti assimilabili a quelli della kafala è l’affidamento eterofamiliare che non incide sui rapporti successori e di filiazione e non è definitivo.

Entrambi gli istituti hanno in comune la temporaneità, anche se l’affidamento eterofamiliare ha una minore durata rispetto alla

kafala, essendo finalizzato al reinserimento del minore nella famiglia

d’origine.

“Se si vuole, dunque, ricercare nell’ordinamento domestico una figura assimilabile alla kafala, l’operazione richiederà una sorta di

patchwork; sarà cioè necessario inventare (nel senso dell’inventio) la

figura giuridica corrispondente alla kafala riunendo caratteristiche e

rationes di diversi istituti disciplinati in Italia”.30

30 Citazione M. NISTICÒ “Kafala islamica e condizione del figlio minore. La rilevanza

(46)

2.1.

L’evoluzione

normativa

dell’adozione

con

la

Convenzione dell’Aja del 1993 in Italia: dalla legge n.

184/1983

alla legge n.

476/1998.

Abbiamo già citato la legge 184 del 1983 come la legge di riferimento per l’adozione e l’affidamento nel nostro Paese.

Nel 1998 questa è stata parzialmente sostituita dalla legge di ratifica della Convenzione dell’Aja del 1993 n. 476/1998.

Con quest’ultima è stato introdotto in Italia il principio di sussidiarietà nell’ambito delle adozioni internazionali che vedono la cooperazione dei Paesi coinvolti nella procedura, ed istituita la Commissione Adozioni Internazionali31presso la Presidenza del Consiglio dei ministri

che, tra i vari compiti, ha quello di individuare gli enti specializzati preposti ad operare nel campo delle adozioni internazionali.

31 La CAI viene istituita con D.P.R. 108/2007 e svolge le principali funzioni di

collaborare con le Autorità Centrali delle adozioni internazionali dei Paesi d’origine dei minori; proporre alla Presidenza del Consiglio accordi bilaterali con altri Stati, seleziona e autorizza gli enti che operano nel settore monitorando il loro operato periodicamente, promuove la cooperazione tra soggetti che operano nel campo delle adozioni internazionali, certifica la conformità delle procedure di adozione alla Convenzione. www.commissioneadozioni.it

Riferimenti

Documenti correlati

La presente Carta riafferma, nel rispetto delle competenze e dei compiti della Co- munità e dell’Unione e del principio di sussidiarietà, i diritti derivanti in particolare

Circa la materia dei rapporti con le Chiese o comunità religiose, gli Stati conservano un ambito di discrezionalità, purché ciò non pregiudichi lo standard minimo di

Le potenziali violazioni, da parte dello Stato, dei diritti sanciti dal- la Cedu possono quindi collocarsi a vari livelli: esse possono derivare innanzitutto da comportamenti

Da quest’ordine di relazione derivano alcuni principi che sono diventati, direi, classici nella dottrina della CEDU: il principio del margine di apprezzamento dello Stato

interpretare la Carta stessa in modo coerente alla Convenzione, dette norme sono già parte del sistema giuridico dell’UE; dall’altro lato, si aggiunge anche

Ogni Alta Parte contraente, al momento della firma o della ratifica del presente Protocollo o in ogni altro momento successivo, può presentare al Segretario generale del

Avrebbe anche un significato etico, comprensibile ed apprezzabile indipendentemente dall’adesione alla tradizione religiosa o storica poiché evoca principi che possono

Un ultimo punto importante, per quanto riguarda il rapporto tra controllo esterno e autonomia del diritto dell’Unione, riguarda la ripartizione della