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L’Italia e la ratifica della Convenzione dell’Aja del 1996

2. La Kafala in Italia

2.2 L’Italia e la ratifica della Convenzione dell’Aja del 1996

La Convenzione dell’Aja è un trattato internazionale sulla competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l’esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori.

Fu firmata dall’Italia il 19 ottobre 1996 ma mai ratificata dal nostro Paese fino al 18 giugno 2015 con la legge n. 101.

A precedere la sopracitata legge troviamo il disegno di legge n. 1589 del 17 settembre 2013 sottoposto dal Governo all’esame del Parlamento per ratificare la Convenzione.

L’atto normativo fu assegnato in prima lettura in sede referente alla Camera dei Deputati nell’ambito delle Commissioni Esteri e Giustizia che nelle varie audizioni convocò anche l’Associazione dei Magistrati per i minorenni e la famiglia.

Questo disegno di legge in realtà è stato dettato da una situazione di estrema urgenza per una serie di motivi.

Il primo è senza dubbio rappresentato dalle pressioni dell’Unione Europea, il cui Consiglio ha adottato nel 2008 la direttiva n. 431 con lo scopo di indurre gli Stati Membri a ratificare la Convenzione.

L’Italia si era impegnata a ratificare il trattato entro la data del 10 giugno 2010, naturalmente non provvedendovi per tempo e determinando una situazione alquanto incresciosa; il nostro Paese era l’unico Stato membro a non aver ratificato ancora la Convenzione, il che lo poneva in un panorama europeo di sostanziale isolamento in materia.

A ciò si deve aggiungere che la Convenzione dell’Aja del 1993 ha sostituito un’altra Convenzione dell’Aja del 1961 concernente un primo approccio all’argomento.

Tra gli articoli più innovativi e più discussi della Convenzione figura l’art. 3 che disciplina l’attribuzione, l’esercizio e la revoca della responsabilità genitoriale, il diritto di affidamento, la tutela e la curatela del minore, e altri istituti analoghi.

Disciplina, inoltre, le ipotesi di collocamento del minore in una famiglia o in un istituto specializzato oppure la sua assistenza legale tramite kafala o istituto analogo.

Proprio il riferimento all’istituto di matrice islamica ha creato dei rallentamenti nella ratifica della Convenzione, poiché ha introdotto un nuovo istituto all’interno stesso dell’Unione Europea, non prevedendo il Regolamento comunitario in materia, il n. 2201/2003, la possibilità di fare ricorso alla kafala.

Diffidenza che ha investito tutti gli articoli della Convenzione riguardanti l’istituto.

Controversi sono stati anche gli artt. 4 e 5 del disegno di legge n. 1589 in materia di adozione, affidamento e kafala, esempio lampante della decisone del nostro Paese di non ratificare integralmente la Convenzione.

Con l’art. 4 si introduce una forma di affidamento internazionale nel nostro ordinamento, il cui requisito imprescindibile è la mancanza di una condizione di abbandono del minore, mentre nell’art. 5 viene disciplinata la situazione contraria.

Quindi avremmo i casi di affidamento all’art. 4 e quelli di assistenza legale all’art. 5, il quale qualifica la kafala e altri istituti analoghi.

Le principali questioni che ha posto l’art. 4 concernono l’affidamento internazionale, che non prevede limiti d’età del minore dato in affido, non si prevedono i termini della durata dell’affidamento, l’unico riferimento equivoco e indiretto alla questione è il rilascio al bambino di un permesso di soggiorno biennale al suo arrivo in Italia ad opera del Prefetto.

Il permesso può comunque essere rinnovato per un numero illimitato di volte allo scadere dei due anni previsti, quindi non costituisce un limite temporale all’affidamento.

Inoltre, nel valutare il caso concreto il Tribunale per i Minorenni può compiere un’istruttoria chiedendo informazioni sulla situazione del minore nel suo Paese d’origine per accertare che non sussista lo stato d’abbandono, oppure chiedere di ascoltare il minore su autorizzazione dell’autorità del Paese d’origine.

Deve accertare anche le condizioni di salute del minorenne e assumere tutte le informazioni che ritiene necessarie sulla sua famiglia, in collaborazione con le autorità locali.

Per quanto concerne l’art. 5, questo prevede che il provvedimento di assistenza legale di un minore in stato d’abbandono non possa essere rilasciato in difetto dei requisiti previsti per l’adozione.

Questo cozza con le procedure dei paesi d’origine dei minori che non prevedono necessariamente il requisito della coppia poiché la kafala può essere concessa anche a un singolo.

L’immediata conseguenza di questa disposizione è la non attuabilità dell’art. 5 tutte le volte in cui nel paese d’origine venga nominato dal giudice come kafil del minore un individuo singolo e non una coppia.

Una tale riserva stride non solo con la Convenzione ma con la stessa disciplina delle adozioni internazionali, per le quali ai sensi della sentenza n. 347/2005 della Corte costituzionale l’adozione è consentita a prescindere dalla legge n. 184 del 1983 sull’adozione, la quale stabilisce tra i requisiti la coppia genitoriale.

Dopo due anni di discussione in Parlamento si è finalmente giunti alla ratifica della Convenzione, con la legge 18 giugno 2015, n. 101, ponendo fine a diciannove anni di silenzio.32

Il Parlamento ha optato per la ratifica di un testo di legge “secco” che rimanda al testo normativo della Convenzione, procrastinando ad un futuro prossimo la discussione per l’approvazione di norme volte a disciplinare nello specifico l’istituto della kafala per coordinarlo al meglio con le norme dell’ordinamento vigenti in materia di protezione dei minori.

La sezione della Convenzione maggiormente “interessata” dalla ratifica secca di alcuni articoli è quello della competenza; all’art. 33 del testo si stabilisce che nell’ipotesi in cui un minore residente all’estero debba essere collocato in una famiglia o in una struttura di accoglienza o ancora in kafala sul territorio italiano, il Paese di

32 Albano F. La Convenzione dell’Aja del 1996, prontuario per l’operatore giuridico,

Autorità Garante Per l’Infanzia e l’Adolescenza, Marchesi Grafiche Editoriali Spa, 2018, pp.17-44.

residenza del primo dovrà, prima di emettere qualsiasi provvedimento, contattare la nostra autorità centrale, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, e attendere le sue indicazioni, così da emettere dei provvedimenti passibili di riconoscimento nel nostro ordinamento.

La procedura appena descritta è volta a garantire il riconoscimento il più possibile uniforme nei vari Stati dei provvedimenti in materia di tutela minorile, permettendo alle decisioni di varcare il limite territoriale dello Stato in cui sono state emesse.

Un’altra importante novità a tal proposito è l’enunciato dell’art. 5 della Convenzione che sposta la competenza dallo Stato di nascita a quello di nuova residenza del minore se questi vi ha soggiornato per almeno un anno.

Su questo punto sorgono delle perplessità data la mancanza oggettiva di una disciplina interna della kafala e considerato l’approccio diffidente che il nostro ordinamento ha sempre mantenuto nei confronti degli atti di riconoscimento dell’istituto, soprattutto con riguardo al Ministero degli Affari esteri sulle domande di ricongiungimento familiare.33

Fino ad ora è sempre stata la giurisprudenza a pronunciarsi nel merito della questione, decidendo perlopiù in favore della concessione dei visti per ricongiungimento familiare, su ricorso degli interessati a seguito delle decisioni negative in sede amministrativa.

Subito dopo l’approvazione della legge n. 101 del 2015 è stato presentato il disegno di legge n. 1552-bis che è attualmente ancora in

33 Dato E., La Convenzione è in vigore ma l’attuazione è un pasticcio”, in

http://www.vita.it/it/article/2016/02/16/kafala-la-convenzione-e-in-vigore-

discussione in Parlamento e i cui articoli sembrano essere oggetto di accese controversie.

Il Parlamento ha il compito di disciplinare la kafala in maniera tale da rendere l’istituto compatibile con la legge n. 184/1983in materia di adozione e affidamento dei minori e gli istituti di protezione già esistenti nel nostro ordinamento.

Si precisa, d’altronde, che nessuno dei Paesi arabi ha ratificato la Convenzione dell’Aja, essendo applicata alle sole adozioni costituenti rapporto giuridico di filiazione.

In Italia i casi di kafala sono circa lo 0,3% degli ingressi disposti dalla Commissione per le adozioni internazionali, e sono decisi dal Tribunale per i minorenni che ne valuta i requisiti, qualificando il provvedimento estero di “adozione o di affidamento a scopo adottivo. Una volta valutati i requisiti il Tribunale riconosce efficacia al provvedimento estero in Italia, ma lo status del minore risulta comunque precario; non essendo riconosciuta l’adozione nello Stato d’origine il minorenne dovrebbe continuare a mantenere il legame con i genitori biologici e con lo Stato stesso, poiché non ha nessun vincolo giuridico con i genitori affidatari italiani.

2.3 L’Italia si confronta per la prima volta con la kafala: il