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6. La Kafala in Germania

7.2. Il caso Y.B e N.S vs Belgium

Un altro caso portato all’attenzione del Comitato dei diritti umani delle Nazioni Unite è l’Affaire Y.B. e N.S. v. Belgio, n. 12/2017.

I richiedenti, rispettivamente Y.B. cittadino belga nato nel 1953 e N.S. cittadino sia del Marocco che del Belgio nato nel 1963, chiedono la concessione del permesso umanitario a un minore, C.E., nato in Marocco nel 2011 e accolto in kafala dalla coppia belga-marocchina. Nel ricorso si lamenta la violazione degli artt. 2-3-10-12-20 della

Convenzione sui Diritti dell’Infanzia.

Il Tribunale di primo grado di Marrakech in data 22 settembre 2011 ha autorizzato la presa in cura del minore C.E. abbandonato dalla madre naturale e di padre ignoto, in seguito ad un’attenta indagine da parte dell’autorità competente che ne ha confermato l’idoneità sociale e materiale.

Successivamente il Tribunale ha autorizzato il minore ad uscire dal Paese.

La coppia, non potendo secondo la legge belga richiedere un permesso per ricongiungimento familiare, richiede un visto per soggiorno di lunga durata per motivi umanitari secondo quanto disposto dall’art. 9 della legge belga del 15 dicembre 1980 che disciplina l’ingresso e la permanenza degli stranieri sul territorio. L’Ufficio Immigrazione ha però respinto la domanda adducendo che i

coniugi non hanno previamente regolarizzato la situazione del minore chiedendo il riconoscimento del provvedimento di kafala all’autorità competente in Belgio ai fini dell’adozione.

Si contestava, inoltre, la mancata prova che il bambino avesse bisogno di cure e la stessa idoneità dei genitori alla presa in carico del minore. Il rifiuto del rilascio del visto è stato presentato davanti al Consiglio

per le Controversie sugli stranieri, il quale ha annullato il provvedimento dell’Ufficio Immigrazione denunciando la mancata motivazione ufficiale del rifiuto, la mancata valutazione dei documenti che attestano l’idoneità dei richiedenti a prendersi cura del minore C.E., l’errore di valutazione sulla procedura di riconoscimento della

kafala dinanzi al Servizio Pubblico Federale per la Giustizia, non

essendo il provvedimento di matrice islamica un’adozione.

In seguito a questa decisione i coniugi hanno riproposto domanda per il rilascio del permesso all’Ufficio Immigrazione che, dopo un iniziale silenzio, ha nuovamente respinto la domanda.

I motivi di diniego del rilascio del permesso per motivi umanitari sono i seguenti: a) la coppia aveva già avviato la procedura di adozione nel 2012 salvo abbondonarla per richiedere il permesso umanitario; b) l’accordo con cui si è autorizzata la kafala reca l’indirizzo di residenza dei coniugi in Marocco, anche se la loro residenza principale è in Belgio; c) la kafala non è idonea ad ottenere il diritto alla residenza in

Belgio poiché non crea un legame di filiazione tra kafil e makful; d) i motivi umanitari non erano sufficientemente argomentati, soprattutto lo stato d’abbandono del minore contestato perché la madre naturale risultava ancora in vita pur avendolo abbandonato; e) la coppia potrebbe educare il bambino anche lasciandolo vivere in Marocco; f) i coniugi non avevano dimostrato di avere i mezzi necessari alla cura del minore; g) non era chiara l’esistenza di un’autorizzazione a lasciare il Marocco dato che i coniugi avevano usato la loro residenza marocchina negli atti.

I richiedenti, esauriti tutti i gradi di giudizio, si sono rivolti al Comitato delle Nazioni Unite sui Diritti dell’Uomo (CRC). Tra le motivazioni la violazione dell’art. 2 della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia68 in

virtù della discriminazione del minore per il suo luogo di nascita; l’art. 3 per il mancato perseguimento del best interest del minore; la violazione dell’art. 14 della CEDU sul rispetto della vita familiare. La controversia è giunta fino al Comitato delle Nazioni Unite sui Diritti dell’Uomo(CRC) che ha stabilito che non ci sono ostacoli allo svolgimento della vita familiare e privata in caso di ammissione iniziale del minore. Il minore frequenta, infatti, la scuola e la coppia conduce uno stile di vita tranquillo, mentre al contrario non si hanno notizie dei suoi precedenti tutori in Marocco. Il Comitato, ascoltate entrambe le parti, ha altresì stabilito che il Belgio non ha tutelato il best interest del minore rifiutando per più volte il rilascio del

68 La Convenzione sui Diritti dell’Infanzia è stata approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989, ratificata dall’Italia con legge del 27 maggio 1991, n. 176, depositata presso le Nazioni Unite il 5 settembre 1991. La traduzione italiana qui riprodotta è quella pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’11 giugno 1991. L’UNICEF Italia sottolinea che sarebbe preferibile tradurre il termine inglese “child”, anziché con “fanciullo”, con “bambino, ragazzo e adolescente”. Convenzione sui Diritti dell’Infanzia, Unicef.

permesso umanitario. Al riguardo il Comitato stabilisce che: ”Il Comitato69 sottolinea tuttavia che “l'art. 12 non impone limiti di età al

diritto del bambino di esprimere le sue opinioni e scoraggia gli Stati parti ad introdurre limiti di età nella legge o nella pratica che limiterebbero il diritto del bambino di essere sentito in tutte le questioni che lo riguardano. […] Non è necessario che il bambino abbia conoscenza completa di tutti gli aspetti della questione che lo riguardano, ma che lui abbia una comprensione sufficiente per essere in grado di formare in modo appropriato la sua o le sue opinioni sulla questione […]. Nota inoltre che qualsiasi decisione che non tenga conto delle opinioni del bambino o non attribuisca il giusto peso alle loro opinioni in base all'età e alla maturità, non rispetta la possibilità per il bambino o i bambini di influenzare la determinazione dei loro migliori interessi.” […]70

Per questi motivi il Comitato accerta la violazione degli artt. 3 e 12 della Convenzione sui Diritti del Fanciullo, denunciando la mancata convocazione del minore per un colloquio.

69 Il Comitato per i diritti dell'infanzia (CRC) è l'organo di esperti indipendenti che

monitora l'attuazione della Convenzione sui diritti dell'infanzia da parte dei suoi Stati parti. Monitora inoltre l'attuazione di due protocolli opzionali alla Convenzione, sul coinvolgimento dei minori nei conflitti armati e sulla vendita di minori, la

prostituzione minorile e la pornografia minorile. Tutti gli Stati parti sono tenuti a presentare relazioni periodiche al Comitato su come i diritti vengono applicati. Gli Stati devono riferire inizialmente due anni dopo l'adesione alla Convenzione e poi ogni cinque anni. Il Comitato esamina ogni rapporto e rivolge le sue preoccupazioni e raccomandazioni allo Stato parte sotto forma di "osservazioni conclusive". Sito web:www.ohchr.org/EN/HRBodies/CRC/Pages/CRCIndex.aspx

70 Comitato delle Nazioni Unite sui Diritti dell’Infanzia (CRC), sentenza Y.B. E N.S. v. Belgio, in Refworld https://www.refworld.org/, 12 settembre 2017, pg.9 punto 8.7.

Inoltre in seguito alla violazione dell’art. 10 della Convenzione lamentata dalla coppia, il Comitato ha fornito un’interpretazione di “famiglia” in senso ampio rispetto a quella avvalorata dall’autorità belga, ricomprendendo non solo i genitori naturali ma anche quelli adottivi, affidatari e i curatori del minore.

Il Comitato, infine, avendo riscontrato le violazioni degli artt. 3-10-12 della Convenzione ha stabilito: “Lo Stato parte ha l'obbligo di riconsiderare urgentemente la domanda di visto per CE in uno spirito positivo, garantendo nel contempo che l'interesse superiore del minore sia la considerazione primaria e che le opinioni di CE siano ascoltate.

Nel considerare l'interesse superiore del bambino, lo Stato parte dovrebbe tenere conto dei legami familiari che sono stati falsificati di fatto tra CE e gli autori. Lo Stato parte ha anche l'obbligo di fare tutto il necessario per prevenire simili violazioni in futuro.”71

Ha inoltre stabilito che: “Ai sensi dell'art. 11 del Protocollo opzionale alla Convenzione sui diritti del Bambino su una procedura di comunicazione, il Comitato desidera ricevere dallo Stato parte, entro 180 giorni, informazioni sulle misure adottate per attuare le opinioni del comitato. Lo Stato parte deve inoltre includere informazioni su qualsiasi passaggio nelle sue relazioni al Comitato ai sensi dell'art. 44 della Convenzione. Infine, lo Stato parte è invitato a pubblicare i

71 Comitato delle Nazioni Unite sui Diritti dell’Infanzia (CRC), sentenza Y.B. E N.S. v. Belgio, in Refworld https://www.refworld.org/, 12 settembre 2017, pg. 10 punto 9.

presenti punti di vista e a diffonderli ampiamente la sua lingua ufficiale.”72

Questo è quanto ha stabilito il Comitato nel 2018 con la sua decisione.