Dall’analisi appena conclusa siamo deficitari di un passaggio fondamentale, facendo riferimento ai moniti lanciati dal Manifesto convivialista.
Dobbiamo approfondire il concetto di convivenza anche in relazione all’ambiente che ci ospita e che ci offre tutto, e molto oltre, quello di cui necessitiamo per la nostra sopravvivenza. All’interno di un rinnovato dialogo sopra il concetto di democrazia come processo, quello che non possiamo in alcun modo permetterci di far rientrare è la sfera della coesistenza con e per il territorio. Questa doppia dizione – con e per – ci viene suggerita dal Professor Alberto Pirni. “rispetto ad entrambe [le preposizioni] si tratta di avviare una rinnovata assunzione di consapevolezza circa il profondissimo intreccio che
distingue ma al tempo stesso tiene costitutivamente insieme l’elemento fisico e quello antropico.”113 Entrambe le preposizioni stanno a significare che il nostro
atteggiamento nei confronti dell’ambiente ospitante-‐ci debba radicalmente cambiare di prospettiva, così come lo è stato per il concetto di democrazia. Lo sfruttamento senza precedenti delle risorse naturali deve essere oggetto di un rinnovato atteggiamento. Anche per questo, la prima e più importante espressione sulla quale ci soffermeremo è “patto con il territorio”. Risulta chiaro in questa sede come si voglia uniformare il soggetto umano contraente il patto, con quello naturale; scalziamo così immediatamente il preconcetto che tutto ciò che non appartiene alla sfera dell’umano sia alla mercé, a totale disposizione del nostro genere. Entrambi i soggetti del patto, umani e non umani, giaciono allo stesso livello, senza discrimine di giudizi di valore; entrambi i contraenti risultano essere attivi e dinamici nelle dinamiche del patto, senza che le parti territoriali debbano subire soprusi o violenza.
Lo stesso sottotitolo del Manifesto convivialista, dichiarazione di interdipendenza, ci riporta a questa nuova visione della situazione. Pena la possibile estinzione della specie umana, la crisi ecologica che stiamo attraversando deve necessariamente trovare sbocchi politici nuovi per essere discussa e tematizzata. Per parlare dell’atteggiamento “classico” di sfruttamento e sottomissione sul piano valoriale delle forze del territorio rispetto al genere umano, la Professoressa Elena Pulcini utilizza un concetto tanto caro all’epica greca: quello di hybris. Quello che nell’antica Grecia era considerato il sentimento di tracotanza dell’essere umano nei confronti delle divinità, ora
113 Alberto Pirni, riannodare un filo ancora da tessere: luoghi, culture, convivenze. In “postfilosofie,
viene assimilato alla volontà di potenza dell’uomo nei confronti della natura. Vi è un’altra caratteristica che ci permette di ricollegarci prepotentemente con il concetto greco di hybris: nella Grecia epica, e in tutti i poemi che le hanno permesso di essere tramandata fino ai nostri giorni, le divinità erano attori co-‐ attivi assieme ai soggetti all’interno dello svolgimento delle narrazioni. Così, ora, dovremmo essere in grado di recuperare uno spirito che ci metta in connessione con l’ambiente che ci circondo, dotandolo di dignità pari alla nostra. Senza scadere nella semplicistica ed immediata accusa di ritorno ad un anacronistico panteismo di stampo spinoziano (qui ed ora, dovremmo intanto interrogarci a fondo su quanto anacronistico sia, in prima facie.), ci piace sottolineare quanto queste tematiche stiano attraversando orizzonti di pensiero fortemente diversificati. Nell’enciclica di Papa Francesco, datata maggio 2015, il pontefice apre il suo messaggio con un elenco; accanto ad altre encicliche e lettere apostoliche114 di suoi predecessori che hanno toccato in passato –
seppure non avendone fatto il proprio nucleo centrale di sviluppo, il tema dell’ecologia. Accanto a queste, ad avvallare in parte la nostra tesi, cita anche un discorso tenuto dal patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo, che a più riprese ha centrato il tema ecologico. 115 Quello che troviamo di
straordinariamente rivoluzionario rispetto alla dottrina cattolica classica all’interno dell’enciclica di Papa Francesco è un rinnovamento radicale di orizzonte di filosofia della storia; “D’altronde, la gente ormai non sembra credere in un futuro felice, non confida ciecamente in un domani migliore a
114 Cita in ordine: la Pacem in terris di Papa giovanni XXIII, la lettera apostolica di Papa Paolo VI,
il discorso alla FAO e la lettera enciclica redemptor hominis di Papa giovanni Paolo II.
115 Messaggio per la giornata della preghiera per la salvaguardia del creato (1 settembre 2012),
partire dalle attuali condizioni del mondo e dalle capacità tecniche. Prende coscienza che il progresso della scienza e della tecnica non equivale al progresso dell’umanità e della storia, e intravede che sono altre le strade fondamentali per un futuro felice.”116 E ancora: “ l’umanità del periodo post-‐industriale sarà forse
ricordata come la più irresponsabile della storia, c’è da augurarsi che l’umanità degli inizi del XXI secolo possa essere ricordata per aver assunto con generosità le proprie gravi responsabilità.”117 Da questi due passaggi dell’enciclica si può
capire quanto l’orizzonte storico sia ad un bivio, e non corra più agli occhi del pontefice lungo una linea retta e progressiva, il cui unico garante di prosecuzione e punto finale sia il ritorno del redentore. Abbiamo un ruolo attivo, e assieme a noi lo ha anche l’ambiente, soggettivato all’interno del patto. Il sottotitolo dello scritto recita: “sulla cura della casa comune”; questa scelta è densa di significato, oltre che per quanto appena detto, anche per un ritorno ad una dimensione oikonimica (letteralmente, infatti, il termine greco significa abitazione, casa) che riesca a sostituire il paradigma egemone di una economia votata all’accumulo e alla produzione di beni.
Ecco dunque che il concetto di hybris rientra nel nostro campo visivo, come presunzione nella gestione della casa comune. Prosegue la Professoressa Pulcini nel saggio già citato: “Bisogna interrogarci più a fondo sulle ragioni e le radici di questa hybris, la quale a mio avviso altro non è che l’esito estremo di quella vocazione all’illimitatezza che caratterizza la nascita stessa dell’individuo moderno; o meglio di quella figura egemonica, e colpevolmente unilaterale,
116 Papa Francesco, enciclica Laudato sii, sulla cura della casa comune, libreria editrice vaticana,
Città del vaticano, 2015, p.105.
della modernità che è l’homo oeconomicus: utilitarista e possessivo, guidato essenzialmente dal perseguimento atomistico del proprio interesse e dalla ragione strumentale.”118
In termini economici, si tratta di riuscire ad eviscerare questa caratteristica di superbia ed arroganza che sembra connaturata nell’uomo moderno, dell’età post-‐industriale. Ancora una volta riprendiamo il modello del terzo paradigma di Caillè, fondato sul circolo tripartito del dono maussiano, per cercare una contromossa allo scacco in cui ci troviamo. Deve essere l’apertura all’altro, e il rifiuto all’autoreferenzialità nella quale sprofonda il soggetto all’interno dell’economicismo moderno a farci riflettere: l’uscita da questa riaprirebbe orizzonti inter-‐soggettivi, e permetterebbe di farci carico ognuno del debito che ci lega non solo agli altri soggetti, ma anche nei confronti dell’ambiente che ci ospita, e che ci dona tutto quanto in suo possesso. Sta a noi, ora, non interrompere il circolo maussiano, accettare i doni che ci vengono offerti liberamente, ma iniziare a ricambiarli, prima che sia l’agente che ci ospita a decidere di voler interrompere il rapporto di fiducia, scambio e coesistenza. È con questa convinzione, che proviamo a dare una lettura nuova alla formula del Professor Pirni di “patto per il territorio”; egli si concentra sottolineando come con questa espressione si identifichi un patto tra soli agenti umani, finalizzato all’armonizzazione del nostro vivere all’interno di un dato territorio. Si pone l’accento dunque sulla tipicizzazione di un luogo, all’interno del quale con un accordo, si vuole raggiungere coerenza tra le parti che la abitano. Ci sentiamo di aggiungere, però, che entra in gioco qui la categoria di debito, che
118 Elena pulcini, Essere-‐in-‐comune per aver cura del mondo, in verso una società conviviale, ETS,
necessariamente dobbiamo sentire nei confronti dell’ambiente. E quindi, “patto per il territorio” può anche celare quella categoria di debito di cui lungamente abbiamo parlato. Una presa di coscienza del disequilibrio che esiste da secoli nel rapporto tra genere umano e biosfera, che abbiamo il compito di colmare e superare, perché il rapporto continui ad esistere.
Debito dunque visto come opportunità, come chance (ultima?) che deve essere riconosciuta palesemente, senza che intervengano meccanismi di difesa a porci lenti agli occhi offuscanti la nostra vista, per salvaguardare stili di vita consolidati, ma costruiti su basi autoreferenziali e egoistiche.
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