3 Tornando al Manifesto
3.1. Convivialismo e (nuova) democrazia
3.1. Convivialismo e (nuova) democrazia.
“[…] avremmo assolto per l’essenziale il compito che ci eravamo prefisso: quello di allentare la stretta dell’evoluzionismo utilitarista che, nonostante o soprattutto proprio a causa del suo progressismo economicista, blocca la riflessione sulla democrazia rendendo vano ogni pensiero veramente pluralista. […] anche se ci si concedesse che società diverse dalla nostra, quanto si vuole numerose, abbiano sperimentato la democrazia, hanno sperimentato la democrazia, resterebbe nondimeno il fatto che si tratterebbe pur sempre di democrazie particolaristiche, che riescono a restare tali soltanto ripiegandosi gelosamente sulla loro interiorità.”93
Una prima domanda che viene spontanea leggendo questo passaggio del Professor Caillè è la seguente: cosa si intende per democrazia, dal momento in cui si afferma che società diverse dalla nostra ne hanno fatto esperienza? Non è sentimento comunemente accettato che l’occidente, ed il vecchio continente in particolare, siano la culla della democrazia come assetto politico?
L’assioma a cui qui ci si vuole in questo contesto riferire, per iniziare embrionalmente una riflessione sul concetto democrazia, è la sostanziale incompatibilità di quest’ultimo con la ragione utilitaria. Cardine dell’utilitarismo
è il concetto secondo il quale il progresso coincida con l’accumulazione di beni materiali, che trascina inesorabilmente con sé una catena di silenzio crescente, all’aumentare dei beni. Va da sé che questa connessione logica sottolineata da Caillè si scontri prepotentemente con la base dialogica della democrazia come assetto, principe quella delle poleis greche. La Ragione utilitaria pretende di conoscere meglio i soggetti dei soggetti stessi, rinchiudendoli in un orizzonte senza dialogo proiettabile all’esterno, atto alla creazione democratica. Viceversa, però, abbiamo la necessità anche di non ridurre tutto e solo alla capacità di valorizzare le differenze senza pensare alla salvaguardia delle singolarità, per non cadere in una spirale di omogeneizzazione autodistruttiva per le personali peculiarità.
Nella stessa sede, Caillè muove da un parallelismo tra la Ragione e una delle più celebri definizioni di democrazia94; se alla ragione appartengono tutte quelle
credenze che traggono il loro fondamento né dalle autorità, né tantomeno dalla violenza, lo stesso si può dire per i sistemi democratici: questi sono tutti quelli nei quali il potere non dalla forza, ma dal consenso. Questa stretta connessione però porterebbe logicamente alla giustificazione del finale delle teorie utilitariste, ossia all’equazione: “la società democratica è razionale come le società razionali sono democratiche.”95 Prendendo però come esempi costitutivi
dei sistemi democratici le poleis greche e i circuiti economici analizzati da Marcel Mauss nel suo Saggio sul dono, notiamo vividamente, partendo dal senso
94 Jean Beachler, democraties, Calmann-Levy, Parsi, 1985. 95 Alain Caillè, critica della ragione utulitaria, cit., p. 97.
comune96 che mancano al giorno d’oggi alcune peculiarità del sistema: il dialogo,
l’eticità nella sfera economica97, e la conseguente creazione di rapporti
interpersonali autentici. Queste però peccano per quanto riguarda una delle direttrici fondamentali su cui poggia la teoria convivialista di cui stiamo trattando: quella orizzonatale. La base di queste società, infatti, non è minimamente paragonabile a quelle delle moderne democrazie occidentali, fondate sul monopolio della forza dello stato e sul mercato (finanziario, oggi). Per allargare la base delle antiche democrazie ancora esistenti, o approfondire quelle delle moderne parlamentari, dobbiamo fare ricorso a due concetti chiave, in prima istanza: la fiducia – di cui abbiamo già abbondantemente parlato nel primo capito – e il desiderio di comunità. All’interno di questa nuova riflessione, che tenta di spodestare la Ragione dall’unico gradino del podio delle idee fondanti, privato delle altre posizioni, ritroviamo una feroce e per nulla velata critica di Caillè alle due principali ideologie di filosofia politica del XIX secolo: “le grandi ideologie e le grandi teorie politiche attuali si disputano per sapere chi avrà la meglio tra lo Stato e il Mercato, restando inteso che la sola questione consiste nel sapere quale dei due è più in grado di accrescere la produzione mercantile. Così si dimentica puramente e semplicemente l’essenziale, cioè il rapporto propriamente sociale tra gli individui e i gruppi, quello che non si struttura né in base all’interesse economico né in base al potere. Eppure è esso […] che costituisce la vera finalità del processo complessivo.”98
96 Prendiamo in questo momento a prestito le parole di Gustavo Esteva, fondatore del CIDOC di
cuernavaca insieme ad Ivan Illich.
97 Cfr. paragrafo dedicato al termine oikonomia nell’economia classica. 98 Ivi, p. 102.
La sincrasia dunque, fra modernità e democrazie antiche si esplicita nel rapporto tra consumo e rapporti. Consumo inteso come fruizione economica in senso classico, che porta con sé la capacità generatrice di rapporti inter-‐ relazionali. L’applicazione politica della teoria convivialista è dunque concreta nella creazioni di rapporti “oiconimici”, che siano da motore per la nascita di comunità, che a loro volta si uniscano in rapporti sempre più di ampio respiro, per poter così puntare ad una pluralità, di soggetti a loro volta plurali.
Abbiamo dunque impostato il ripensamento dei modelli democratici, facendo leva sul reinserimento all’interni di questi di una morale oiconomica, che rimetta al centro il soggetto nella creazione attiva di rapporti; come sottolinea il professor Botta in un suo saggio, “solo con economie che sono in grado di creare un sovrappiù di autentico legame sociale, si pone un argine al dilagare dell’economia che prospera distruggendo risorse sociali comunitarie e si creano condizioni per un diverso vivere insieme.”99
Ma vi è una seconda questione fondamentale che emerge dal capitolo secondo del nostro lavoro: la lattura del percorso storico. Ad una lettura utilitarista, le società appaiono come insieme di organismi produttivi e mercantilisti, che si dirigono linearmente verso la tendenziale riduzione delle scarsità. Come sottolineato da più pensatori -‐ ci riferiamo in questo caso a Mauss (nelle sue conclusioni del saggio sul dono che abbiamo approfondito nel capitolo precedente), Marshall Sahlins (nel suo saggio la società dell’abbondanza100), ed
allo stesso Caillè (all’interno della critica della ragione utilitaria – etimologicamente, la scarsità materiale è però prerogativa delle società
99 Alain Caillè, verso una società conviviale, ets, Pisa, 2016, p. 41. 100 http://www.eco-action.org/dt/affluent.html
moderne ed industrializzate. Non solo, nelle società preistoriche, il tempo medio di lavoro non superava mai le quattro ore giornaliere di media, ed i soggetti avevano a disposizione un quantitativo di ore infinitamente superiore rispetto ad oggi per sviluppare quelle attività che abbiamo definito come basiche per l’esperienza democratica. Quindi, in termini anti-‐mercantilisti ed anti-‐utilitaristi, l’abbondanza si presentava sotto la forma di s-‐legame verso l’accumulazione di beni e di bisogni materiali.
La democrazia viene dunque interpretata dai moderni come connaturata all’essere umano, e data per scontata all’interno della nostra contingenza storica; al giorno d’oggi è imperante la logica mercantilistica, che porta allo sviluppo di teorie dell’azione e dell’andamento storico (esclusivamente lineare) che ben poco hanno a che spartire con le fondamenta antiche della democrazia che stiamo tratteggiando. Appunto: “più credono [le democrazie moderne] alla naturalità della democrazia così reificata, pensata come l’ordine e non come il luogo e il modo istituzionalizzati dello scontro tra le possibilità; più le democrazie moderne immaginano di derivare dalla natura delle cose, dalla naturalità del Mercato, da quello dello Stato rappresentativo, da quella della conoscenza scientifica, meno campo lasciano alla libertà, alla decisione e all’invenzione collettive.”101
Dunque, dal momento in cui l’istituzione democratica assume i contorni di una prassi prestabilita e non di un processo in divenire e suscettibile di cambiamenti dettati dai comportamenti e dalle scelte dei singoli, l’abbassamento dell’azione degli individui sul piano della inconsistenza è totale. Per contrastare questa
formula nullificatrice bisogna tornare a dare peso specifico alle scelte, capovolgendo lo schema che vede tutto indirizzato causalmente verso un punto predefinito sull’orizzonte della filosofia della storia progressista ed economicista. Bisogna abbandonare la tendenza alla delega agli esperti di questo o quel settore, riprendendo scelte coraggiose con cognizione di causa personale, percependo distintamente quanto ogni soggetto possa contribuire al processo democratico che non è dato di per sé.
In questo modo possiamo ridare dignità e competenza al singolo individuo e alle sue scelte, inserendole a pieno titolo come la base di quel processo a catena che abbiamo appena descritto, costituente il sistema democratico.
Come accostare però, tutto questo iter formativo della democrazia, con il tripode circuito economico del dono? la libertà e il libero arbitrio incondizionato rappresentano i due fattori determinanti in questo parallelismo. Nel “terzo paradigma di Caillè” risulta chiaro come il movimento sia indiscutibilmente causato dalla libertà del singolo. Non può esistere una forzatura sull’azione del singolo nella catena del dono, pena la rottura della stessa e il rientro nelle dinamiche utilitariste dell’economicismo. Così la genesi di questa nuova democrazia in via costitutiva che stiamo descrivendo, presuppone una parte di “indeterminatezza e manifesta una arbitrarietà iniziale”.102
Una prima osservazione confutatoria, o quantomeno scettica, riguardo a questo passaggio però suonerebbe più o meno in questi toni: allora tutto è concesso, e si cadrebbe nuovamente nello stato di natura hobbesiano, che ha portato storicamente (secondo la tradizione di pensiero economicocentrica) alle teorie
contrattualiste e, come naturale prosecuzione, alle democrazie moderne. Ma sottolineare che la conditio sine qua non del parallelismo tra paradigma del dono e ripensamento del processo democratico sia l’arbitrarietà iniziale del soggetto non coincide col sostenere la possibilità di scelta e proposizione di qualsiasi regola. Come nel circuito del dono vi sono delle regole che sottendono i secondi due step del triplice gesto, così anche nella creazione della democrazia vi sono dei canoni imprescindibili; questo significa dover proporre solo partendo da basi condivise che nel nostro caso muovono dal desiderio e dalla necessità comune di un rinnovamento dei rapporti sociali non basati esclusivamente sul calcolo razionale ed utilitaristico.
Così, prendendo le mosse da queste premesse, l’iter di genesi democratica si carica di concretezza. Sempre prendendo a modello il circuito del dono capiamo come non vi possa essere continuità in questo se nei momenti del ricevere e del contraccambiare dominino logiche che mirino alla continuazione ed alimentazione del rapporto stesso, così anche in questa circostanza una proposta verrà accettata ed implementata solo se concretamente si percepisce come evidente e condivisibile.
Come sottolineato in apertura di lavoro, sia nel Manifesto convivialista che all’interno del saggio sul dono di Marcel Mauss, è contenuta una missione, tra le altre, ben definita: delimitare il confitto tra gli uomini per scongiurare la possibilità che questo porti a conseguenze estreme, dato il periodo storico dotato di un potenziale arsenale tecnico senza precedenti. Questo viene sottolineato in diverse opere anche da Caillè: “la modernità e le scienze sociali sono nate da un tentativo di scongiurare il conflitto tra gli uomini, di
circoscriverlo innanzitutto per poi eliminarlo.”103 Prosegue poche righe dopo
all’interno del suo testo il pensatore francese però mettendo in guardia sulla necessità della competizione, motore di inventiva e di confronto: “non c’è altro obbiettivo politico concepibile, se non quello di permettere a una pluralità di uomini e di interessi conflittuali di coesistere inventandosi un destino comune.”104
Obbiettivo del processo democratico, visto come sviluppo costruttore descritto pocanzi, deve essere quello di fondare, alimentare e sviluppare legami sociali tra i vari soggetti, anche e soprattutto in competizione tra loro. Ancor più: compito dell’istituzione democratica deve essere quello di fornire tutti i mezzi necessari ad un confronto che sia producente ai suoi stessi fini. Tutto questo tenendo come focus la necessità che il confronto non sfoci mai in situazioni confinanti, o addirittura oltrepassanti, l’isteria ma rimangano sempre all’interno di un terreno pacifico ed edificante.
103 Ivi, p. 281. 104 Ibidem.
3.2. CONVIVENZA – E MOLTEPLICI SUE DECLINAZIONI–.
A centro del circuito maussiano del dono vi è il concetto di stabilità nei rapporti. O meglio, il circuito stesso se completato nelle sue tre proposizioni diventa motore per la stabilità sociale e relazionale dei singoli come dei gruppi.
Una lettura molto ben centrata del Professo Fistetti ci accompagna all’interno di questo aspetto peculiare del sistema maussiano. In questo caso il circolo si fa avviatore del movimento politico per eccellenza: “l’alleanza con l’altro e con il diverso da sé.”105 Quindi è all’interno di un movimento economico, che faccia
spazio ad una etica di allenza e “deposizione delle lance”106 tra individui e
gruppi di individui, che si fonda lo spazio politico per eccellenza: quello dell’aggregazione e dell’alleanza. Alla base di questo slancio vi sono due sentimenti che abbiamo già incontrato sia in fase di presentazione del Manifesto che nella disamina del pensiero di alcuni precursori della teoria convivialista: la libertà e la fiducia. Il fine di questo passaggio è di “addomesticare quella dimensione originaria e strutturale di violenza – di conflitto e di discordia – che non è cancellabile una volta per tutte, ma che va costantemente tenuta a bada riproponendo ricorrentemente l’arbitrarietà relativa della decisione fondativa del politico.”107 In questo passaggio, sostiene Fistetti, è contenuta la chiave di
lettura per quella che egli definisce una Svolta Culturale: fil rouge di gran parte del nostro lavoro è la riappropriazione di una componente etico-‐morale in seno
105http://postfilosofie.it/archivio_numeri/anno5_6_numero6/anno5:6_numero6_Fistetti.pdf
106 questa espressione viene utilizzata da Mauss più volte all’interno della sua descrizione dei
circuiti economici oceanici.
107 Francesco Fistetti, La globalizzazione alla luce del paradigma del dono. una nuova prospettiva