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4. C ALLIGRAMMI : CORTOCISCUITI SEMIOTICI TRA ESPRESSIONE E CONTENUTO

5.7 L A CASELLA VUOTA

Toute création est avant tout explosion, expansion (Georges Perec)

Ritorniamo dunque, ancora una volta all’emergenza dello spazio vuoto alla fine del libro, dalla quale siamo partiti. È necessario però, a questo punto, dare una definizione teoricamente solida della figura del vuoto, della presentificazione dell’assenza e della sua funzione rispetto al fenomeno strutturale.

La tensione ineliminabile tra il pieno e il vuoto rappresenta una delle caratteristiche – o meglio delle aporie – dello strutturalismo. Più precisamente, è la presenza di una “casella vuota” che genera questa tensione. Per Deleuze, la casella vuota è “un objet ou élément

235 Cfr. ECO 1997.

236 “Sensi vietati” che dipendono comunque dalla presenza di un sistema di soglie interne (singolarità), seppure, come in questo caso, caratterizzato da bimodalità.

absolument paradoxal”238, costantemente in eccesso su un versante e in difetto sull’altro,

posta a cavallo delle due serie o dei due piani che mette in relazione, conferendovi senso: […] il lui appartient donc d’être en excès dans une série qu’elle constitue comme signifiante. Mais aussi en défaut dans l’autre qu’elle constitue comme signifiée: dépariée, dépareillée par nature ou par rapport à soi. Si bien que ces déterminations sont encore relatives. Car ce qui est en excès d’un côté, qu’est-ce d’autre sinon une place vide extrêmement mobile ? Et ce qui est en défaut de l’autre côté, n’est-ce pas un objet très mouvant, occupant sans place, toujours surnuméraire et toujours déplacé? (DELEUZE, 1969 : 57)

La casella vuota, oggetto = x, si caratterizza insomma per avere una “natura altra” rispetto alle serie che la struttura mette in relazione.239 Come spiega Petitot, mutuando e

sviluppando il discorso di Deleuze:

[…] la place relative des termes dans la structure dépend de leur place absolue par rapport à cet élément qui manque à sa place.240 (PETITOT-COCORDA 1985 : 70)

Ciò vuol dire che l’identità posizionale degli elementi di qualsiasi struttura (anche un testo letterario) e dunque, di conseguenza, l’identità figurale della struttura stessa in quanto forma, dipende da un punto fisso che è definito dalla sua stessa assenza ma che rappresenta, in virtù della propria eterogeneità, il solo punto di riferimento in un’entità per il resto puramente differenziale.

[…] pas de structuralisme sans ce degré zéro. (DELEUZE 1973 : 324)

On en conclut qu’il n’y a pas de structure sans séries, sans rapports entre termes de chaque série, sans points singuliers correspondant à ces rapports ; mais surtout pas de structure sans case vide, qui fait fonctionner. (DELEUZE 1969 : 66)

Mana o significante fluttuante per Lévi-Strauss, fonema zero per Jakobson, grado

zero della significazione per Barthes: qualunque veste assuma questo oggetto paradossale la sua presenza è condizione necessaria perché si parli di struttura in senso non ingenuo.In questo senso la casella vuota funziona come il centro organizzatore del sistema; in termini topologici, essa individua la singolarità che ne definisce le caratteristiche strutturali, sia in senso statico (i punti di discontinuità, di piegatura) sia in senso dinamico (i creodi, le possibilità “vincolate” di sviluppo) 241.

238 La casella vuota è sotto un certo aspetto identificabile col segno stesso, inteso non tanto come funzione di significazione in sé, ma come punto di incrocio – puro topos – delle strutture che la funzione significante mette in dipendenza. Il segno deleuziano è una semplice sede della significazione; e tuttavia è una sede vacante, il pertugio di passaggio di un senso continuamente rilanciato oltre. Su questo tema cfr. anche PAOLUCCI 2006.

239 Non si tratta di una relazione biunivoca, ma resa asimmetrica dagli slittamenti reciproci delle due serie, significata e significante.

240 Petitot si riferisce qui direttamente a Deleuze (DELEUZE 1973 : 324). L’immagine efficace di un elemento che “manca al suo posto” è a sua volta presa in prestito da Lacan (LACAN 1966 : 25), che parla anche di caput

mortuum del significante.

241 In termini morfogenetici, la casella vuota è il centro organizzatore, la singolarità in base alla quale il tipo topologico non solo può essere descritto (staticamente), ma si dispiega (dinamicamente) secondo creodi o percorsi “obbligati” di trasformazione.

Ma la casella vuota è anche e soprattutto il punto di fuga, il varco per l’accesso a un nuovo ordine di coerenza strutturale (un altro “pieno”), il ciglio che permette di “saltare” oltre:

Les jeux ont besoin de la case vide, sans quoi rien n’avancerait ni ne fonctionnerait. L’objet = x ne se distingue pas de sa place, mais il appartient à cette place de se déplacer tout le temps, comme à la case vide de sauter sans cesse. (DELEUZE 1973 : 324)

La case vide è topos paradossale per eccellenza: punto fermo ma anche via di fuga. Così anche per Perec, che vede nella scrittura un luogo di radicazione (enraciné) impossibile: meta “intouchée” e al contempo “point de départ”:

J’aimerais qu’il existe des lieux stables, immobiles, intangibles, intouchés et presque intouchables, immuables, enracinés ; des lieux qui seraient des références, des points de départ des sources […]. (PEREC 1974 : 122)

Questa paradossalità nell’opera di Perec è portata all’eccesso: il vuoto è sempre il punto di convergenza di un difetto e di un eccesso: “buco nero” attraverso il quale la materia catturata ed esautorata si riconfigura e acquista nuovo senso242.

Ne La vie, in particolare, il dispositivo della casella vuota trova un’ampia varietà di manifestazioni: narrative, tematiche e soprattutto figurative. Di alcune si è già detto: la tessera mancante del puzzle, naturalmente; la piccola ragazzina che morde il biscotto; la ricorrenza della morte. Ma ve ne sono altre, meno dirompenti e forse per questo più suggestive. Ne segnaliamo solo alcune:

- Nel capitolo LXX, oltre alla figura dell’anamorfismo e alla tematizzazione dell’oscillazione percettiva, si trova un riferimento al principio discorsivo di “occultamento nell’evidenza” utilizzato da Edgar Allan Poe nel racconto La lettre volée.243

La solution était évidente, aussi évidente que le problème avait semblé insoluble tant qu’il ne avait pas résolu, de même que dans une définition de mots croises […] on va chercher partout où ce n’est pas ce qui est très précisément énoncé dans la définition même, tout le

242 Su questo tema cfr, in particolare DUPUIS 2003.

243 Il riferimento è testimoniato anche dal Cahier des charges. Vale la pena forse notare che il famoso racconto di Poe ha un ulteriore legame con La vie. Nel descrivere il proprio metodo di ragionamento, il protagonista Dupin (da molti considerati il vero precursore dello Sherlock Holmes di Conan Doyle) utilizza l’esempio del ragazzino che gioca a “pari e dispari” e vince scommettendo di volta in volta sul grado di astuzia dell’avversario. In questo apologo si può trovare una delle più chiare esemplificazioni del principio tattico di identificazione simulacrale con il competitor e di sfruttamento dell’occasione, di calibratura delle proprie mosse a quelle dell’altro. Anche nel racconto di Poe questo principio viene opposto dal protagonista Dupin al modo di procedere strategico, descritto come una sorta di battitura “a tappeto” del campo di gioco, vincolata alle procedure standard e regolari tipiche di chi ha – o crede di avere – un controllo completo sul territorio di scontro; in questo caso il prefetto, incapacitato a risolvere il mistero. E in effetti il giudizio che il geniale Dupin indirizza al prefetto per motivare il fallimento della sua ricerca potrebbe valere per Bartlebooth e per la dissoluzione del suo progetto, se non fosse che il tono del narratore de La vie è alieno da ogni supponenza tipica del character dell’investigatore, tanto volontariamente appartato dalla vita quotidiana quanto l’anonimo osservatore de La vie vi è invece profondamente immerso.

travail consistante en fait à opérer ce déplacement qui donne à la pièce, a la définition, son

sens et rend du même coup toute explication fastidieuse et inutile. (PEREC 1979a : 400)

Com’è noto, l’espediente della lettera rubata, nascosta agli occhi proprio dall’essere posta nel luogo più evidente (ovvero de-attivandone la modalizzazione del non-dover- essere-vista tipica del tema veridittivo della “segretezza”), è stato oggetto di una lunga analisi da parte di Lacan, a sua volta utilizzata da Deleuze come esempio figurativo del principio della casella vuota.244 Se dunque da un lato il rimando a Poe rientra nella

problematica tipicamente perechiana dell’infraordinario e della relazione evidenza-cecità nel quotidiano245, dall’altro è impossibile dimenticare la lezione Deleuze e non leggervi

una descrizione laterale della casella vuota, soprattutto se si considera quel “déplacement qui donne à la pièce son sens”246.

- La magica arborescenza del vuoto ottenuta da Grifalconi, enigmatico ebanista, che ricava dal piede di un antico tavolo tarlato un intarsio simile a “un mazzo di coralli”, iniettando un lega metallica nei “mille canalicoli pieni di legno polverizzato”. Quello che ottiene è il riempimento estetico del vuoto, l’arte – techné in questo caso – che si fa impronta dell’assenza e la satura, svelandone la sostanza:

[…] fantastique arborescence, trace exacte de ce qu'avait été la vie du ver dans ce morceau de bois, superposition immobile, minérale, de tous les mouvements qui avaient constitué son existence aveugle, cette obstination unique, cet itinéraire opiniâtre, cette matérialisation fidèle de tout ce qu'il avait mangé et digéré, arrachant à la compacité du monde alentour les imperceptibles éléments nécessaires à sa survie, image étalée, visible, incommensurablement troublante de ce cheminement sans fin qui avait réduit le bois le plus dur en un réseau impalpable de galeries pulvérulentes. (ivi : 159)

- Cinoc, l’ebreo che non sa come pronunciare il suo nome, tra le 20 varianti fonetiche possibili ammesse. Cinoc di mestiere fa “l’ammazza-parole”: sancisce la morte di parole in disuso adeguando con sentenza trascendente i vuoti del sapere registrato e normativo a quelli prodotti per dinamica immanente dall’uso linguistico.

244 Come viene sottolineato dallo stesso Lacan, il titolo originale del racconto di Poe – The purloined letter – rende molto meglio della traduzione francese il senso del “mancare al proprio posto”: piuttosto che con volée, purloined potrebbe forse meglio tradursi con déplacée. Non è chi non veda come nell’articolo di Lacan e in questa enfasi sul déplacement fossero presenti già in nuce le premesse per la sua futura radicalizzazione e critica da parte di Derrida.

245 Cfr. infra par. 7.7.

246 Ci sembra invece incredibile che Rinaldi, pur rilevando il riferimento a Poe, non lo colleghi alla casella vuota e non accenni affatto a Deleuze. È noto che Perec annoverava Edgar Allan Poe tra i suoi maggiori ispiratori ed è ragionevole, data la presenza di riferimenti nascosti alle teorie di Lacan, pensare che conoscesse la sua interpretazione del racconto “La lettera rubata”. Anche se l’ipotesi contraria ci sembra francamente improbabile, non si ha notizia di una conoscenza diretta dell’opera di Deleuze, e in particolare della sua particolare lettura del racconto di Poe. È probabile che la forte analogia con la descrizione della casella vuota sia mediata dalla conoscenza di Lacan, a cui lo stesso Deleuze si ispira. Tuttavia, la congruenza tra il dispositivo del vuoto in Perec e quello della casella vuota rimane notevole e anzi, per quanto altamente improbabile, l’ipotesi che Perec ignorasse del tutto le teorie deleuziane, ne dimostrerebbe le potenzialità euristiche dal punto di vista di un’analisi puramente immanente.

Cinoc, qui avait alors une cinquantaine d’années, exerçait un curieux métier. Comme il le disait lui-même, il était « tueur des mots » : il travaillait à la mise à jour des dictionnaires Larousse. Mais alors que d’autres rédacteurs étaient à la recherche de mots et de sens nouveaux, lui devait, pour leur faire place, éliminer tous les mots et tous les sens tombés en désuétude. (ivi : 347)

Difficile pensare a un mestiere più deleuziano – creare il vuoto per far posto ad altro – e al contempo più derridiano – porre le condizioni per un continuo slittamento di significanti. Ma una volta in pensione, Cinoc intraprende un progetto inverso, di recupero delle parole dimenticate, di restaurazione di un valore affermativo dell’oblio, andando a scandagliare vecchi libri, riviste, almanacchi su ogni possibile argomento; per “salvare” le parole, conscio più di ogni altro che ciò che non può essere detto è come se non esistesse.

Cinoc lisait lentement, notait les mots rares, et peu à peu son projet prit corpos et il décida de rédiger un grand dictionnaire des mots oubliés, non pas pour perpétuer le souvenir des Akkas, peuple nègre nain de l’Afrique centrale, ou de Jean Gigoux, peintre d’historie, ou d’Henri Romagnesi, compositeur de romance, 1781-1851, ni pour éterniser le scolécobrote, coléoptère tétramère de la famille de longicornes, tribu des cérabycins, mais pour sauver des mots simplex qui continuait encore à lui parler.

En dix ans il en rassembla plus de huit mille, au travers desquels vint s’inscrire une historie aujourd’hui à peine transmissible. (ivi : 349)

Con gli esempi si potrebbe continuare a lungo. Del resto, nota ad esempio Mele, è come se il vuoto si fosse installato, sotto diverse forme, nel cuore di ognuna delle esistenze rappresentata ne La vie:

L’insistenza su immagini vuote è impressionante nella Vita. Anzitutto le vite descritte sono, in buona parte, vite buttate, storie di fallimenti, vite annullate in compiti e progetti di tragicomica assurdità, storie di vite marginali, sforzi di gratuità, autodistruzione. Ma vuota rimane anche la tela di Valène, incompleto il puzzle di Bartlebooth, vuota l’esistenza di Grégoire Simpson, inerzia, malinconia, impasse, morte, inscritte al cuore dei sogni di totalità. (MELE 1991 : 376)

Tuttavia, fatta salva la sua ricorrenza a livello discorsivo, è a livello della testualizzazione che il vuoto, come si è anticipato, provoca effetti davvero dirompenti. La più forte conferma della validità del dispositivo di isomorfismo di cui si è parlato (e dell’effetto di motivazione che ingenera) viene esattamente dalla presenza di un punto cieco anche sul piano della manifestazione testuale: l’organizzazione espressiva è significativamente marcata da una casella vuota, che il lettore attento è invitato a rilevare.

Vi è in effetti una delle stanze dello stabile di rue de Simon-Crubellier – una delle cantine – che non è toccata dal “salto del cavallo” attraverso il quale il movimento attualizzante dell’enunciazione va a “coprire” i due spazi, quello nel testo e quello del testo, mappandoli. Secondo lo schema che divide il piano dello stabile in cento spazi, si attenderebbero sei capitoli dedicati alle cantine; ve ne sono solamente cinque e, di

conseguenza, i capitoli sono 99.247 Il capitolo LXVI scompare, o meglio, “si lascia slittare”

alla stanza successiva.

Sono cento i capitoli? No, novantanove, questo libro ultracompiuto si presenta intenzionalmente sotto il segno dell’incompiutezza, o d’una compiutezza mancata di pochissimo. (CALVINO 1984b : 1397)

Non è un caso se nel capitolo precedente, il LXV, si affolla un gran numero di incarnazioni della casella vuota, che ne accrescono il peso in termini di rilievo semantico. Particolarmente sapido, per il lettore interessato agli aspetti ludici e ai giochi metalinguistici, è il gioco di parole per cui fer-blanc (latta) presenta in francese la medesima pronuncia di faire blanc: fare vuoto. Sempre nello stesso capitolo, di questa sparizione Perec fornisce anche due spiegazioni “narrative”, dal sapore chiaramente ironico : l’apparizione (fittizia) del diavolo, provocata dalla truffatrice Ingeborg Skifter e, soprattutto, la già ricordata piccola che morde il biscottino LU, raffigurata appunto sulla scatola di fer-blanc di cui sopra.

[…] questo personaggio di donna doveva far apparire il diavolo per sopprimere un capitolo perché, normalmente, secondo il progetto del libro, dovrebbero esserci 100 capitoli, mentre di fatto ce ne sono 99. Un capitolo è stato soppresso a causa della ragazzina che addenta il suo biscottino al burro. (PEREC 1983a : 99)

L’immagine della ragazzina presenta marche di rilievo ambigue. Da un lato la sua rilevanza è minima, diluita e dispersa com’è all’interno di uno dei tanti elenchi di oggetti “infraordinari” disseminati nel testo (elenchi che peraltro si è fatalmente portati a scorrere velocemente, se non a “saltare” piè pari, compiendo un attentato dissacrante all’integrità del “Libro” che tuttavia il lettore davvero onesto di Perec non fatica a confessare248 e che,

probabilmente, lo stesso autore intendeva provocare249). Dall’altro lato, tuttavia,

l’immagine viene posta proprio in chiusura, dell’elenco e del capitolo, dunque immediatamente prima del “capitolo fantasma”, proponendosi così (post hoc ergo propter

hoc…) come causa immanente della sua scomparsa250 :

247 Anche negli Esercizi di stile di Queneau, forse il più noto libro oulipiano, le veriazioni sono 99 e non 100 come sarebbe lecito aspettarsi “per amor decimale”. Il vuoto nelle containtes risponde in realtà ad una sovra- contrainte – il clinamen – il cui ruolo è in parte legato a quello dell’eccezione patafisica. Si veda cap.7. 248 Ripensiamo a Barthes e alla rivendicazione del diritto del lettore a “saltare” come componente fondamentale del “piacere del testo” (si noti che almeno due dei romanzieri citati da Barthes sono da annoverare di diritto tra gli ispiratori de La vie): “[…] le récit le plus classique (un roman de Zola, de Balzac, e Dickens, de Tolstoi) porte en lui une sorte de tmèse affaiblie: nous ne lisons pas tout avec la même intensité de lecture; un rythme s’établit, désinvolte, peu respectueux à l’égard de l’intégrité du texte; l’avidité même de la connaissance nous entraîne à survoler ou à enjamber certains passages (pressentis “ennuyeux”) pour retrouver au plus vite les lieux brûlants de l’anecdote (qui sont toujours ses articulations: ce qui fait avancer le dévoilement de l’énigme ou du destin): nous sautons impunément (personne ne nous voit) les descriptions, les explications, les considérations, les conversations” (BARTHES 1973 : 18).

249 Cfr. le riflessioni sull’infraordinario e sulla “rieducazione” dello sguardo in 7.7.

250 Si noti che questa sorta di controbilanciamento degli indici di rilievo vale anche per l’altra apparizione della “petite fille”, nella rassegna interna del cap. LI. Anche qui, da un lato l’immagine è persa in un elenco che, per quanto rilevante (è uno dei sogni panottici di Valène - cfr. par. 5.9) si fatica ad affrontare con attenzione costante; dall’altro lato, è posta nella posizione 100, numero la cui importanza in questo libro è fin troppo evidente.

Et elle a rapporté de sa campagne quelques-uns des ustensiles et accessoires dont elle n’aurait su se passer: son moulin à café et sa boule à thé, une écumoire, un chinois, un presse-purée, un bain-marie, et la boîte dans la quelle, de tout temps, elle a rangé ses gousses de vanille, ses bâtons de cannelle, ses clous de girofle, son safran, ses petites perle set son angélique, une vielle boîte à biscuits en fer-blanc, carré, sur le couvercle de laquelle on voit une petite fille mordre dans un coin son petit-beurre. (PEREC 1978a : 380)

Gli espedienti narrativi e descrittivi legati alla scomparsa del capitolo LXVI, per quanto gustosi, sono chiaramente ludici e legati al tentativo di “tenere insieme” tutto il materiale discorsivo – persino la sua soppressione parziale – in una logica immanente, sempre e comunque interna al mondo finzionale. Ma da un punto di vista generativo la vera ragion d’essere di questo vuoto è altrove:

Più a fondo, è necessario che questo capitolo sparisca per spezzare la simmetria, per introdurre un errore nel sistema, perché quando si stabilisce un sistema di contraintes bisogna che ci siano anche le contro-contraintes. Bisogna – ed è importante- distruggere il sistema di vincoli. Non deve essere rigido, bisogna che ci sia del gioco, come si dice, che strida un poco; non deve essere completamente coerente; occorre un clinamen – si veda la teoria degli atomi di Epicuro: “il mondo funziona perché all’inizio c’è un disequilibrio”. Secondo Klee “il genio è l’errore nel sistema”. Pecco forse di orgoglio dicendolo…ma nella pittura di Klee è molto importante (PEREC 1983a : 99)

Il capitolo fantasma rappresenta insomma la classica “eccezione alla regola”. Si tratta di una deroga alla costrizione formale, una “casella vuota” nella configurazione dell’espressione (e del discorso che essa realizza) che corrisponde, mostrando la medesima salienza, al trou noir che andava a spezzare la figura, dalla natura propriamente semantica, del puzzle. Delle implicazioni poetiche e stilistiche di questa deroga o flessione delle

contraintes (clinamen, secondo la terminologia oulipiana) e della sua connessione con

l’eccezione patafisica (alla quale l’Oulipo si ricollega esplicitamente) si parlerà qui rispettivamente nei capitoli 7 e 8. Quello che conta a questo livello dell’analisi è sottolineare con forza i suoi effetti sul dispositivo di motivazione dell’oggetto testuale.

A stupire in questo romanzo e a rendere dirompente l’effetto di motivazione non è