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4. C ALLIGRAMMI : CORTOCISCUITI SEMIOTICI TRA ESPRESSIONE E CONTENUTO

4.4 D UPLICE VINCOLO DI TESTUALIZZAZIONE

L’oggetto testuale calligramma appare caratterizzato da una contemporanea dipendenza da vincoli di testualizzazione planari e lineari. È del resto il nucleo della celebre lettura di Foucault:

Il calligramma, invece, si serve della proprietà delle lettere di valere contemporaneamente

come elementi lineari che si possono disporre nello spazio e come segni che devono succedersi secondo la sola concatenazione della sostanza sonora. […] Perciò il

calligramma si propone di cancellare ludicamente le più antiche opposizioni della nostra civiltà alfabetica: mostrare e nominare; raffigurare e dire; riprodurre e articolare; imitare e significare; guardare e leggere. (FOUCAULT 1968 : 27, g. n.)

Ciò che maggiormente colpisce della citazione foucauldiana è la chiarezza con cui essa individua il calligramma come una “faccenda di testualizzazione”. Analogamente Rousset, introducendo gli “iconotesti”, caratterizzati da diversi gradi di integrazione “du visibile dans le lisible”, parla in senso più strettamente semiotico di “un ensemble structuré et unifié dans le quel l’élément linguistique et l’élément iconique sont solidaires” (ROUSSET 1990 : 336), mettendo decisamente l’accento sui differenti vincoli di testualizzazione – rispettivamente sintagmatici e paradigmatici – dei due domini146.

In effetti, ognuno degli esempi sopra riportati di “proiezione” per ratio difficilis possono essere agevolmente tradotti in termini generativi come altrettante procedure di testualizzazione: la proiezione di un tema, di una figura interna al discorso, piuttosto che di un sema valoriale profondo sono realizzazioni, “passaggi alla manifestazione”, che marcano diversi livelli di “arresto” del percorso generativo, diverse possibilità di “uscita” dal piano dell’immanenza semantica.

Anche se evidente, è essenziale sottolineare che tutti gli aspetti riconducibili alla significazione simbolica sinora delineati vanno intesi esclusivamente rispetto alla testualizzazione planare. Questo comporta la non sottovalutabile conseguenza che oggetti testuali come i calligrammi debbano essere analizzati tramite categorie e metodi propri dell’analisi dei testi visivi. Al contrario della testualizzazione lineare, dipendente primariamente dalle categorie temporali (tempo kantiano, ovviamente: “idea pura” della successione), la testualizzazione planare è essenzialmente dipendente dalla dimensione spaziale, per sua natura maggiormente implicata in un rapporto problematico col “principio di realtà”.

Com’é noto, la semiotica, almeno nel suo versante generativo, ha tentato di risolvere la questione di quest’implicazione problematica attraverso il concetto di “referenzializzazione interna”. Il dominio referenziale è in questo modo ricondotto ad una sfera autonoma di significazione – la “semiotica del mondo naturale” – le cui unità espressive vengono reintegrate nel dominio linguistico attraverso unità di contenuto corrispondenti: i semi esterocettivi. Le unità salienti responsabili dell’organizzazione espressiva di un testo (non solo planare, come in questo caso) rimandano quindi, essenzialmente al dominio esterocettivo. Gli effetti di referenzializzazione corrispondenti, almeno nella formulazione “ortodossa” della teoria greimasiana, si collocano variamente all’interno di un continuum graduato compreso tra i due poli estremi dell’iconicità e della figuralità.147 Il grado di mimetismo di tale effetto di senso dipende in altri termini dalla

densità dei tratti esterocettivi e viene dunque definito da combinazioni variabili di categorie tanto figurative quanto plastiche.

146 Le conclusioni a cui Rousset perviene sono analoghe quasi in modo letterale a quelle di Foucault, alla quale del resto si ispira esplicitamente, ma il saggio aggiunge alle riflessioni generali del filosofo un supporto analitico sintetico ma esaustivo. “Le premier espace du texte, c’est la page, la surface noire et blanche – noir sur blanc – de la colonne imprimée. Cette surface magique ne s’offre pas seulement à l’activité quotidienne qui transmue les signes alphabétiques en sons (implicites) puis en sens, elle s’offre aussi au regard qui considère et capte les formes. Collaboration de l’oeil et de la voix, lire c’est aussi regarder” (ROUSSET 1990 :

335).

Di conseguenza, ritornando al caso del calligramma, anche partendo da un’organizzazione discorsiva complessa ad essere proiettati per ratio difficilis saranno sempre tratti semantici afferenti al dominio esterocettivo. Ma la convocazione di tale dominio avverrà attraverso mezzi tanto figurativi quanto figurali, a seconda del livello di astrazione selezionato e attivato dalla specifica strategia testuale.

Proiezione diretta sema esterocettivo Proiezione “mediata” di un sema esterocettivo

[Figura 4.5 : Apollinaire – Miroir] [Figura 4.6: Apollinaire –

Couronne]

A volte, la proiezione può essere mediata da procedimenti metaforici o metonimici. Si veda il caso della Couronne: il lessema “corona” non compare nel testo, ma la sua salienza è evidentemente mediata dal rapporto metonimico con “rois”, che invece è manifestato

Naturalmente, se l’unità semantica ad quem è di tipo propriocettivo o interocettivo, la proiezione sarà mediata da un’unità semantica figurativa facente parte di uno dei percorsi figurativi in cui la prima può essere virtualmente inserita. Ad esempio, molto banalmente, se il topic del calligramma è “amore”, il calligrammista può agevolmente scegliere in un largo range di figure – iconiche o astratte – culturalmente e stereotipicamente connesse al tema selezionato, sostituendole al sema interocettivo per modo metaforico (amore-fiamma) o metonimico (amore-cuore)148. Oppure, tanto per recuperare un esempio utilizzato da Eco

(1984b) proprio in relazione al modo simbolico – il che ci permette di marcarne ulteriormente la differenza rispetto a questo caso – se il topic sarà “tempo”, si può ugualmente realizzare un calligramma figurativo i cui contorni delineino un orologio (modo metonimico), o un calligramma figurale in cui i medesimi contorni delineino una

148 Ad onta della banalità dell’esempio, uno dei calligrammi più noti, creato addirittura da una mente arguta come quella di Michel Leiris, si intitola proprio “Amour” (cfr. LEIRIS 1969).

spirale o un cerchio (modo metaforico) 149: in entrambi i casi si opera, prima della

proiezione, una selezione all’interno della rete virtuale di interpretanti.150

Nei calligrammi tuttavia, a differenza dei casi che esamineremo, le modalità di proiezione vertono quasi sempre sul livello figurativo, piuttosto che figurale: i tratti a quo selezionati per la proiezione sono perlopiù formanti figurativi (livello d’unità molecolare o

emic) convergenti in figure (livello d’unità molare o etic) sulle quali si applica poi la presa

iconica; quasi mai si tratta di formanti plastici – eidetici, topologici, talora cromatici – (livello molecolare – emic) che, andando invece a delineare configurazioni astratte (livello molare etic), pongono le premesse più che di un ragionamento figurativo, di un vero e proprio ragionamento figurale.

Un’eccezione, che ci permette di introdurre intuitivamente il concetto di ragionamento figurale, è questa “costellazione” di Gomringen151, in cui la realizzazione

grafica permette di individuare dieci linee di lettura differenti per il lessema “wind”. È evidente che qui il termine a quo, selezionato dalla rete semantica di interpretanti sottostante all’unità semantica /vento/ non è un sema figurativo ma figurale, quale ad esempio /multidirezionalità/, così come figurali – eidetici – sono i tratti pertinenti della forma espressiva ad quem152:

w w d i n n n i d i d w w

[Figura 4.7: Gomringen - Wind]

149 Sulla variabilità della natura semantica dei tratti sottoposti a proiezione espressiva, si veda anche solo la varietà delle scelte effettuate da Apollinaire, che vanno dal procedimento figurativo “molare” usato da Mallarmé in quella sorta di archetipo calligrammatico che è “Coup de dès” (1897) (“évoquer une image pour […] laisser à la typographie le soin de faire ressortir le mot important, le lyrisme”), alla selezione semica più fine (frammentare le parole in diversi elementi a cui far seguire “une sort différente”) fino al procedimento, simile a quello dei futuristi, di “dinamizzazione” della poesia, in cui per “trasmettere l’idea di movimento” ad essere figurativizzata è addirittura la pura tensività. (per tutte le citazioni in francese, cfr. APOLLINAIRE 1946

citato in PEIGNOT 1978).

150 In questo caso, contrariamente a quanto affermato precedentemente, sembra delinearsi un meccanismo simile al modo simbolico; tuttavia, la selezione di tratti all’interno di una nebulosa virtuale appare come una prassi generativa e non interpretativa – un tipo di inventio, dunque; inoltre il procedimento di proiezione appare mediato: anche se il termine a quo diretto della proiezione viene selezionato, il termine a quo indiretto, ma originario ed effettivo, è sempre un tratto semico già attualizzato nel testo.

151 Riportato in ROUSSET 1990 : 338; Rousset non parla esplicitamente di figuralità, ma le conclusioni a cui approda sono simili : “Il n’y a pas d’image proprement dite, mais l’analogie n’est pas absente: comme son référent, le mot Wind tourbillonne dans tous les sens; le groupement graphique montre ce dont il parle” (ib.). 152 Si noti che Rousset nella sua tipologia retta dai gradi di interpenetrazione tra i due sistemi – visivo e linguistico – colloca questo esempio all’estremità opposta del continuum di integrazione rispetto ai calligrammi. La strana scelta è giustificata da un’assunzione a nostro parere erronea, e cioè che l’integrazione tra i due sistemi si debba misurare su una motivazione di tipo prettamente iconico e non anche su un tipo di motivazione figurale. Questa pregiudiziale iconica è tanto più sorprendente se si considera la rilevanza del livello plastico nei sistemi di significazione visiva; ma si comprende quando più avanti (349) Rousset individua nel referente “normalement absent du discours parlé” l’oggetto dell’attività rappresentativa del calligramma.

È bene sottolineare che anche qualora la proiezione si generi a partire da tratti figurativi, il termine ad quem, ovvero il risultato sul piano espressivo – per ovvie ragioni legate al mezzo tipografico – è sempre di tipo plastico, ovvero dell’ordine di una figuratività fortemente astratta. Sotto questo aspetto si comprendono bene le critiche avanzate all’idea di un continuum figurativo i cui poli – nella prima formulazione greimasiana – siano “astrazione” e “iconicità”. Ben più adeguata sembra in questo caso la proposta di Floch (1993), di svincolare il concetto di astrazione – intesa come minore densità semica – dai livelli interpretativi possibili (figurale, figurativo, iconico), che risultano in questo modo piuttosto dipendenti, in maniera parzialmente autonoma rispetto alla maggiore o minore densità dei tratti, dalla griglia connotativa che vi si applica. I calligrammi sarebbero, sotto questo aspetto, un esempio paradigmatico di “astrazione iconica”.153

Ora, di vede bene che nella scelta di parlare delle procedure di proiezione simbolica in termini di strategie di testualizzazione, si è compiuta un’esplicita operazione di “traduzione” in termini greimasiani. La traduzione generativa non è tuttavia un semplice esercizio; soprattutto in questo caso, riteniamo che nel tradurre da un approccio all’altro (in entrambi i sensi) non si perda, ma al contrario si guadagni sempre qualcosa.

Si riconsiderino i casi appena visti di calligrammi in cui il dispositivo espressivo rimanda – come origine della proiezione – non a figure, ma a temi o schemi tensivi. Senza una tipologia semica che distingua i tre domini del propriocettivo, dell’interocettivo e dell’esterocettivo non si riuscirebbe a cogliere fino in fondo la differenza strutturale tra un calligramma la cui figuratività espressiva è prodotta per proiezione diretta di un sema figurativo e uno in cui questo fa da termine mediatore per la proiezione di un sema non figurativo. In casi come questi, insomma, l’interesse va soprattutto alle variazioni di senso provocate dal tipo di sema che viene assunto come termine a quo, il quale può non essere figurativo e richiedere dunque una disambiguazione semantica più raffinata, allo scopo di ricercarvi i tratti di volta in volta suscettibili di conversione figurale.

Allo stesso modo, senza un modello come quello generativo che renda conto della stratificazione dei livelli di complessità che ognuno di questi domini può dispiegare, sarebbe difficile marcare la differenza di “intensità” isotopica tra un calligramma poniamo “ermetico”, in cui viene proiettato un valore profondo e non immediatamente discorsivizzato (la scelta di testualizzazione arresta il processo di generazione al livello profondo) e un calligramma “ludico” in cui si dà semplicemente un’illustrazione figurativa di un elemento discorsivo esemplare o pregnante (testualizzazione interveniente a livello superficiale). La differenza stilistica è peraltro anche una differenza nel grado di metatestualità, intesa come grado di estensione del riferimento del testo a sé stesso e dunque della maggiore o minore “localizzazione” dell’effetto di motivazione: estensivo e globalmente orientato nel primo caso, intensivo e localmente individuato nel secondo.154 153 Anche con queste precisazioni, la tendenza figurativa preponderante nella modalità di motivazione calligrammatica, rispetto ai casi pienamente topologici che esamineremo, la rende inevitabilmente più compromessa con la modalità di motivazione simbolica (intesa come “proiezione al contrario”). Vedremo come nei casi di proiezione meramente figurale, sia più appropriato parlare di “motivazione semisimbolica”. 154 Rimandiamo il lettore interessato alla “tipologia” di indici metatestuali di Magné (1986 e 2002).