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4. C ALLIGRAMMI : CORTOCISCUITI SEMIOTICI TRA ESPRESSIONE E CONTENUTO

5.4 I L DISPOSITIVO FIGURALE

Se dunque il progetto sfrontato di Bartlebooth incanta e ipnotizza per la sua cieca202

fiducia nell’programmato e nel “regolare”, quello ben più sotterraneo e sottile di Winckler inquieta al contrario e “sommuove” per la lucida coscienza, stemperata dall’ironia, con cui accetta – prevedendola e addirittura provocandola – l’irruzione dell’irregolare in un ordine irrimediabilmente ingannevole. Analogamente, nel programma scritturale di Perec l’interdipendenza strutturale tra regolare e irregolare (tra stabilità e instabilità) non solo è ammessa come valore epistemico profondo e trasfigurata nella forma patemica dell’inquietudine, ma è anche coscientemente elevata a principio fondativo e generativo dell’oggetto testuale.

L’irregolarità – è bene sottolinearlo – si presenta qui innanzitutto come singolarità, luogo in cui l’instabilità spezza la stabilità. È forse questo un modo differente per interpretare la ricorrenza del sema /vacuità/ nel testo. L’irregolare, inteso come vuoto o avvallamento in un continuum regolare, è infatti costantemente messo in rilievo sotto forma di “smagliatura”, punto cieco eppure, al contempo, punto in cui “avviene qualcosa”: d’ironia e di malanimo” (ib.). Sembra che Winckler affidi a questi oggetti il compito di esprimere, come occhi appunto, il suo segreto stato d’animo, che per il resto mai trapela all’esterno. Poco dopo, nello stesso capitolo, viene infatti specificato che l’artigiano conservava sempre un incredibile controllo di sé (“una calma al limite dell’apatia, di una pazienza, di una dolcezza, di una rassegnazione a prova di bomba”). Questo tuttavia non contraddice la sua rabbia sorda e la sua ostinazione alla vendetta. Winckler non è affatto un passivo, ma possiede un forte lato polemico, solo abilmente occultato. L’atteggiamento serafico dell’artigiano è troppo estremo per non sembrare auto-imposto e per non far sorgere, anche nel lettore più distratto, il sospetto che nasconda in realtà una sensibilità eccessiva (la motivazione più probabile della vendetta ha radici passionali, legate alla morte della moglie). Questa sensibilità trattenuta non può comunque evitare di strabordare, e in modo radicalmente esplosivo, una volta superato un punto critico, che non a caso si dà sempre in situazioni polemiche (l’unica occasione in cui Winckler sembra regolarmente perdere il controllo è proprio una situazione di sfida, ovvero durante l’abituale partita “a giacchetto” con Morellet). 201 Nel mettere insieme, alla ricerca di un “tipo attoriale”, i ruoli tematici (il “polumetis”, il “senza luogo”, il “marginale”) e attanziali (soggetto privo di potere, dotato di sapere parziale) connessi implicitamente alla configurazione della tattica, è difficile resistere alla tentazione di riconoscervi la figura stereotipica dell’ebreo. Le ascendenze ebraiche di Perec, puro dettaglio autobiografico, sarebbero in effetti compatibili con i fenomeni strettamente testuali che abbiamo visto, ovvero con una valorizzazione dell’intelligenza interstiziale, tipica dei soggetti marginali e nomadi e delle loro pratiche di resistenza; tanto più se si considera che il senso di appartenenza di Perec alla comunità ebraica era dell’ordine dell’“immaginario” nel senso che Anderson (1991) darebbe a questo termine. Sarebbe interessante tentare di corroborare questa tesi traducendo il contesto di vita in termini testuali, ad esempio considerando le opere autobiografiche come inter-testi. Non ci sembra un caso che nella più importante e intima di queste opere, W ou souvenir d’infance, compaia proprio Winckler e la figura del vuoto sia altrettanto ricorrente, addirittura esplicitamente ricondotta a simboli e vicende ebraiche (cfr. più diffusamente infra par. 7.5). L’ipotesi di una connessione simbolica testualmente costruita tra ebraismo e figure del vuoto appare così qualcosa di più che una tentazione: una possibile direzione di ricerca.

202 Cecità dei folli, come ha visto molto bene Paul Auster : “Like many of the other stories in ''Life'', Bartlebooth's weird saga can be read as a parable (of sorts) about the efforts of the human mind to impose an arbitrary order on the world. Again and again, Perec's characters are swindled, hoaxed and thwarted in their schemes, and if there is a darker side to his book, it is perhaps to be found in this emphasis on the inevitability of failure” (AUSTER 1987 : 7, corsivo nostro).

estrema figurativizzazione della narratività nel senso più profondo. Del resto, è dalla ricorrenza di immagini di vuoto che promana l’effetto di senso che la critica più accorta ritiene predominante, quello dell’incompiutezza, modalizzata come “inesorabile” e manifestata discorsivamente in modo iterativo e con i mezzi più vari: narrativi, tematici e soprattutto figurativi. Solo per dare un esempio, oltre all’immagine del “pezzo mancante” nell’epilogo, si veda il riferimento alla “petite fille qui mord dans un coin un petit-beurre LU”, presente sia nel finale del capitolo LI, sia nella rassegna en abyme di storie interne del cap. LXI203 (entrambe collocazioni cruciali, come si vedrà oltre).

E tuttavia l’isotopia dell’incompiutezza non viene solo discorsivizzata; essa è anche, e soprattutto testualizzata: anche lo “spazio del testo” si presenta come una configurazione incompleta, organizzata intorno ad un punto cieco. Vedremo a questo proposito che la disposizione reciproca degli spazi testuali, considerata in una prospettiva planare, ricalca lo schema della pianta dello stabile in cui le vicende hanno luogo, riprodotta alla fine del libro (cfr. figura 5.1). Vedremo soprattutto come la “casella vuota” sia realizzata sul piano dell’espressione da un capitolo mancante che, nello spaccato di cui sopra, corrisponde alla stanza posta nell’angolo in basso a sinistra: esattamente il punto in cui la piccola morde il biscottino LU e in cui il simbolo ebraico (cfr. figura 5.2) riprodotto in W, ou Souvenir

d’infance rimane aperto204.

On remarquera cependant que le livre n’a pas 100 chapitres, mais 99. La petite fille de la page 205 et de la page 394 en est la seule responsable (PEREC 1979a : 51)

203 Si noti che questa rassegna interna (forse la più clamorosa delle mise en abyme presenti nel testo, pubblicata anche a parte, nella rivista Poésie, col titolo ironicamente latineggiante Compendium Libri de Vita et Modo Utendi) è a sua volta sottoposta a contraintes (ogni verso sessanta segni tipografici, spazi compresi). 204 In W ou souvenir d’infance, oltre a comparire il personaggio di Winckler (cfr. infra par. 7.5), è dunque presente anche una versione “ideogrammatica” della “struttura con casella vuota” de La Vie.

[Figura 5.1] [Figura 5.2]

Si noti che addossando all’ignara petite fille, ovvero ad un elemento testuale immanente, la responsabilità della sparizione del capitolo (cfr. par. 5.7), Perec sottolinea e autorizza, pur se ironicamente, la liceità di un collegamento diretto tra configurazione espressiva e le figure del piano discorsivo. Si noti inoltre che la manifestazione del vuoto è relegata “in un angolo”; la marginalità della posizione, da un punto di vista figurativo, è indubbiamente foriera di connotazioni complesse, ma nulla toglie al ruolo determinante che il vuoto assume da un punto di vista strutturale profondo.

In effetti, della ricchissima messe di immagini di incompletezza che il romanzo fornisce, ci interessa qui rilevare soprattutto il fondo comune, di carattere – almeno secondo la nostra ipotesi – eminentemente figurale. In altri termini, tenteremo di mostrare come le varie realizzazioni dell’isotopia della “casella vuota” si reggano tutte – a qualsiasi livello agiscano – su uno schema topologico. E che dunque il Discorso valoriale veicolato dal romanzo si regga su una sorta di ragionamento figurale, in cui una valorizzazione “timica” del paradosso è resa topologicamente attraverso una struttura peculiare – quella della cuspide – che permette di descrivere rigorosamente l’opposizione “vincolata” tra due poli semantici e valoriali: vuoto e pieno.

Come si è detto tale schema topologico trova un’ampia varietà di manifestazioni discorsive (di cui daremo migliore rassegna in 7.5). Tra tutte, naturalmente, la più pregnante è quella del puzzle, non solo per l’indubbia rilevanza che gli viene assegnata a livello narrativo (oggetto di valore dei due PN principali, quello di Bartlebooth e di Winckler) e metanarrativo (si veda il preambolo, ripetuto con lievi variazioni nel capitolo XLIV, in cui l’arte del puzzle in virtù delle sue caratteristiche strategiche e interazionali è esplicitamente paragonata alla dinamica di cooperazione interpretativa205); il puzzle è

rilevante soprattutto perché fornisce un analogon, a livello figurativo, della configurazione dello spazio testuale.

Detto altrimenti, crediamo che l’effetto estetico primario di questo testo sia indissolubilmente legato all’emergenza di un vuoto nell’organizzazione espressiva, che rivela un rapporto di motivazione tra forma del contenuto e forma dell’espressione, mediato da una figura simbolica che funge da “matrice” dell’isomorfismo: il puzzle, appunto.

[Figura 5.3 : Perec – “ometti” e “croci di Lorena”]

205 Il preambolo e la prima parte del capitolo XLIV (il secondo dedicato a Winckler) sono identici tranne che per la quantità delle tessere di puzzle riprodotte per ciascuna delle “classi eidetiche” possibili (“ometti”, “croci di Lorena” e “croci”), che figurano rispettivamente in numero di 4-3-2 nel preambolo e 3-2-1 nel cap XLIV. Anche qui, come si vede, vi è una “disparition”, una tessera soppressa per ogni classe eidetica. Aggiungiamo che la ripetizione di un’intera sequenza produce un fortissimo indice di rilievo per novità, che si somma al rilievo posizionale insito nella collocazione iniziale del preambolo e al rilievo semantico legato al ruolo narrativo di Winckler, a cui è dedicato il capitolo che ospita la ripetizione.

Alla luce di questo particolare piano di pertinenza, eminentemente figurale, i due protagonisti dell’epilogo da cui prende il via la lettura retrospettiva non sono tanto Bartlebooth, il vecchio e stravagante miliardario, ossessionato dalla composizione del puzzle, e l’artigiano Winckler, costruttore geniale e roso da un astio mai rivelato. A reggere la scena – meglio, a “polarizzarla” – non sono tanto degli attori, quanto piuttosto delle figure: da un lato la tessera presente e dall’altro il profilo vuoto definito dall’assenza della tessera stessa. Entrambe – tessera assente e tessera presente – possono essere definite solo in rapporto al puzzle che le contiene.

Da un punto di vista mereologico, le due figure rivelano la propria natura puramente formale e figurale. Poco importa qui, tranne che per l’effetto ironico di cui si è parlato, della loro caratterizzazione iconica, ovvero il fatto che rinviino a due segni – W e X – riconoscibili da un punto di vista culturale e denotativo206. Va sottolineato invece che sono

esattamente le loro proprietà figurali a rendere le due figure strutturalmente significative: mereologicamente complementari all’intero e al contempo incompatibili tra loro.207

On peut regarder une pièce d’un puzzle pendant trois jours et croire tout savoir de sa configuration et de sa couleur sans avoir le moins du monde avancé : seule compte la possibilité de relier cette pièce à d’autre pièce […]. […] considéré isolement une pièce d’un puzzle ne veut rien dire; elle est seulement question impossible, défi opaque ; mais à peine a- t-on réussi, au terme de plusieurs minutes d’essais et d’erreurs, ou en une demi-seconde prodigieusement inspirée, à la connecter à l’une de ses voisines, que la pièce disparaît, cesse d’exister en tant que pièce. (PEREC 1978a : 17-18)

Ora, defigurativizzando, o più precisamente deiconizzando la figura del puzzle, si scopre che al di là o al di sotto del suo rivestimento figurativo, essa nasconde un

dispositivo plastico, o meglio, topologico, ovvero un principio di configurazione spaziale

astratta, il cui funzionamento strutturale è descritto in dettaglio nel preambolo.

Au départ, l’art du puzzle semble un art bref, un art mince, tout entier contenu dans un maigre enseignement de la Gestalt-théorie. L’élément ne préexistant pas à l’ensemble, il n’est ni plus immédiat ni plus ancien, et ce ne sont pas les éléments qui déterminent l’ensemble, mais l’ensemble qui détermine les éléments. La connaissance du tout et de ses lois, de l’ensemble et de sa structure, ne saurait être déduite de la connaissance séparée des parties qui la composent. (ivi : 17)

Ciò che ci interessa in particolare è il fatto che questo principio di organizzazione spaziale – rappresentato al livello del contenuto come figura riconoscibile « del mondo » (il puzzle) – regge allo stesso tempo l’organizzazione del piano dell’espressione del testo. Come si è già accennato, ogni capitolo del libro corrisponde a una delle dieci camere dì uno dei dieci piani dello stabile parigino in cui la narrazione ha luogo (cfr. figura 5.1). Da 206 Anche se sarebbe interessante, tralasciamo di parlare del valore che la lettera “W” assume nella vicenda letteraria e personale di Perec, rimandando ai numerosi studi in proposito; basti solo ricordare il titolo dell’opera in cui il valore autobiografico della lettera è più evidente, fin dal titolo: W ou le souvenir d’infance.

207 Persino la sottile vendetta di Winckler, che si compie rendendo le due figure incompatibili e paralizzando così gli sforzi di Bartlebooth, si basa sulla deformazione di queste proprietà.

un punto di vista globale, questo dispositivo spaziale si presenta dunque come una scacchiera sulla quale lo sguardo del narratore-osservatore – e l’itinerario interpretativo del lettore – si sposta secondo il passo obliquo del “salto del cavallo”, che permette di “coprire la totalità di questo schema virtuale, evitando di tornare due volte sulla stessa casella”. 208

Il aurait été fastidieux de décrire l’immeuble étage par étage et appartement par appartement. Mais la succession des chapitres ne pouvait pas pour autant être laissée au seul hasard. J’ai donc décidé d’appliquer un principe dérivé d’un vieux problème bien connu des amateurs d’échecs : la polygraphie du cavalier […]; il s’agit de faire parcourir à un cheval les 64 cases d’un échiquier sans jamais s’arrêter plus d’un fois sur la même case. Il existe des milliers de solutions dont certaines, telle celle d’Euler, forment de surcroît des carrés magiques. Dans le cas particulier de La vie mode d’emploi, il fallait trouver une solution pour une échiquier de 10x10. J’y suis parvenu par tâtonnements, d’une manière plutôt miraculeuse. (PEREC 1979a :

51)

Persino la divisione del testo in sei parti è sottomessa alla poligrafia:

La division du livre en six parties provient du même principe: claque fois que le cheval est passé par les quatre bords du carré, commende une nouvelle partie. (ib.)

Il progetto del narratore-osservatore de La Vie è dunqe quello di restituire un frammento di realtà colto, come l’aleph di borgesiana memoria, attraverso l’esplosione spazio-temporale delle innumerevoli linee narrative che si dipartono da un istante e un luogo particolari, quelli della morte di Bartlebooth: il 23

giugno 1975, poco prima delle otto di sera, al numero 11 dell’immaginaria rue de Simon-Crubellier. In questo modo, come spiega (tra gli altri) Bertini,

[…] le vicende degli abitanti delle cento caselle si incrociano e si completano a vicenda come le orizzontali e le verticali di un gigantesco cruciverba. (BERTINI 2002 :

699)

L’organizzazione espressiva del testo rivela dunque un’identità plastica ben precisa, dipendente da costrizioni tipicamente planari e che oltrepassa, o meglio si somma, all’organizzazione lineare propria del dispositivo grafico

della scrittura. In altri termini, il libro “funziona” come un puzzle: lo svolgimento del suo piano espressivo ne rivela lo stesso dispositivo topologico.209 Da questa prospettiva, la 208 Per la descrizione dettagliata di questo dispositivo di composizione, nonché delle altre numerose contraintes utilizzate da Perec, nei Cahier des charges de "La Vie mode d'emploi" (PEREC 1993)

209 Questa analogia è valida non solo per l’aspetto enunciativo del testo, ma anche per quello dell’enunciazione, nel senso che il modello del puzzle regge allo stesso modo il processo di interpretazione. La pertinenza di questi due aspetti, peraltro, è ben confermata – in modo del tutto immanente – da numerose indicazioni presenti nel testo. Si veda, a questo proposito, la descrizione nel prologo della natura “interattiva” del gioco e in particolare della presenza implicita del “costruttore del puzzle” all’interno del puzzle stesso. [Figura 5.4: Poligrafia del cavaliere]

presenza nel discorso della figura del puzzle agisce – attraverso la sua identità figurale – come un indice di isomorfismo tra i due piani della significazione. Tale indice regge, sul piano del contenuto, la configurazione delle unità discorsive che, a loro volta, riproducono la configurazione dell’allestimento dello spazio rappresentato (lo stabile di 10x10 stanze). Ma questo indice regge anche sul piano dell’espressione l’insieme di relazioni semantiche multi-laterali tra i differenti capitoli del libro. Si possono riconoscere, in questo isomorfismo, le caratteristiche di un meccanismo di doppia spazialità, attraverso il quale, sottraendo le determinazioni iconiche allo spazio rappresentato nel discorso, di può discendere, rimanendo sul piano del contenuto, dalla sua dimensione figurativa al suo correlativo astratto, ovvero fino alla dimensione figurale (regolata da categorie topologiche come superiore/inferiore, centrale/periferico etc..).

Attraverso questa operazione di deiconizzazione è possibile ottenere una forma astratta, la quale permette di spiegare in modo rigoroso l’impressione superficiale di analogia. In altri termini, è possibile stabilire analiticamente il legame profondo di isomorfismo tra i due livelli – figurativo e figurale – e mostrare come, in un certo numero di casi, gli effetti di significazione legati alla dimensione spaziale dipendano non solo dai suoi tratti iconici, ma, in maniera semi-simbolica, dalle relazioni topologiche nascoste dal rivestimento figurativo.210 E ---- livello figurativo C deiconizzazione livello figurale

Si tratta tuttavia di un caso molto particolare di doppia spazialità nella misura in cui esso va a legare non due differenti livelli generativi del piano del contenuto ma, al contrario, quest’ultimo, che contiene in effetti una rappresentazione figurativa del puzzle, con il piano dell’espressione nella sua globalità, che di questa figura mostra la versione

figurale, il suo dispositivo topologico: una pura configurazione di rilievi, di salienze.211 La

Tutto ciò rimanda con forza alla relazione simulacrale tra autore e lettore modello. Come nell’interazione implicita nel puzzle, il primo agisce secondo un principio strategico, il secondo secondo un principio tattico : “On en déduira quelque chose qui est sans doute l’ultime vérité du puzzle : en dépit des apparences, ce n’est pas un jeu solitaire: chaque geste que fait le poseur de puzzle, le faiseur du puzzle l’a fait avant lui; chaque pièce qu’il prend et reprend, qu’il examine, qu’il caresse, chaque combinaison qu’il essaie encore, chaque tâtonnement, chaque intuition, chaque espoir, chaque découragement, ont été décidés, calculés, étudies par l’autre” (PEREC 1978a : 20).

210 Per un esempio applicativo del meccanismo di doppia spazialità nel testo letterario, si può vedere l’analisi, molto dettagliata e stimolante, fatta da Denis Bertrand su Germinal di Zola, nella quale l’autore mostra molto chiaramente come è esattamente l’organizzazione figurale sottesa alla messa in scena del racconto, attraverso una dialettica profonda tra i due domini spaziali “inferiore” e “superiore”, che regola o perlomeno rinforza gli effetti di senso legati alla metafora superficiale della “germinazione”. Si considera così la germinazione come una figura discorsiva che traduce in termini iconici la relazione figurale e orientata “dal basso all’alto”, la quale si rivela come la base di un discorso simbolico e ideologico, completamente inedito, celato dall’imperativo naturalista della descrizione (cfr. BERTRAND 1985).

211 Parliamo qui di salienza (e più avanti di pregnanza) secondo il senso che gli viene conferito dalla riflessione filosofica, e più precisamente fenomenologica, di René Thom (si veda in particolare THOM 1980b e

figura del puzzle funziona in questo modo non solo come una marca semantica, la cui pertinenza si manifesta solo all’interno del piano del contenuto, ma anche come una marca

trasversale tra le due dimensioni della significazione: il dispositivo figurale così ottenuto si

presenta in effetti come un’interfaccia, una sorta di indice formale che si indirizza tanto all’organizzazione semantica quanto a quella espressiva.212

E livello figurale ----

deiconizzazione

C livello figurativo

Si genera in questo modo un effetto di motivazione, che peraltro caratterizza in diverse misure ogni testo estetico e che si manifesta grazie a un dispositivo che potremmo definire di “appiattimento” dell’espressione sul contenuto213. La “totalità di senso” de La

vie si presenta, da un punto di vista eidetico, come un analogon di una figura rappresentata

al suo stesso interno, secondo una sorta di mise en abyme invertita.214

Occorre qui prestare attenzione: il rapporto di motivazione sembra procedere in modo proiettivo dal piano del contenuto a quello dell’espressione, secondo il tipico schema della ratio difficilis215. Ma la deiconizzazione è un’operazione meramente analitica, di

disimplicazione a posteriori. Lo stesso prefisso de- indica che essa si applica su un’iconizzazione precedente, ed è su questa operazione segnica che bisogna concentrarsi. Se ci si pone in una prospettiva generativa appare chiaro che seppure sul piano interpretativo l’effetto di motivazione sembra promanare dal contenuto, per progressiva